sabato 29 dicembre 2007

onda di suoni e amore

(roma, sicilia)

d’inverno è il mare. già dal traghetto, quando sei ancora nel treno ingoiato nella pancia del pescecane-nave.
lo vedi, immenso, dal ponte, e poi dai finestrini, e ti accompagna, lungo tutta la costa, fino alla tua piccola stazione.
lo senti se è in tempesta, e ti cullerà tutte le notti, perché a te quel suono battito di cuore madre piace.
ne inspiri l’odore ed è struggente ed è casa.
te lo sbatte in faccia il vento, anche se sei lontana, ti arriva sulla pelle e disseta e brucia.
lo senti sulla lingua quando la passi sulle labbra, e non è acqua e non è sale, è qualcosa di più e altro. è il mare.
e come ogni volta, quando torni, lo passi a salutare. scendi in spiaggia ed è deserta, e scivoli sui piccoli sassi che sono da sempre il tuo tesoro di pietre preziose. scivoli e rotoli e gli sei davanti e vi guardate, e lui quest’anno è più calmo, e tu anche. e lui ha più voglia di giocare, e tu anche. e vi toccate, lui nel suo abbraccio grande e caldo alla tua piccola mano fredda. quest’anno stai bene e non c’è nessuno che vorresti chiamare per fargli sentire la voce del mare, non c’è più nessuno e non c’è ancora nessuno, ci sei tu e in qualche tuo modo sei felice.

lunedì 24 dicembre 2007

Buon Nasale a tutti

C'è che l'ultima settimana è stata forse la peggiore dell'anno (forse perché questa deve ancora finire), c'è che sono tutta gonfia e dolorante da quando i miei superpoteri di pilota su due ruote si sono scontrati con il cemento gelido e viscido, ecco cosa c'è.
E allora mi è passata un po' la voglia di festeggiare, stare insieme e lalalala-lalala.
E in teoria ne avevo, di voglia di stare insieme con parenti et alia.
Ma ora, tutta gonfia e dolorante, tengo l'anima coi denti, esclusivamente per non bestemmiare.
Nulla di irrisolvibile, ma proprio non ci voleva.
Il mio spirito natalizio ne esce ulteriormente ammaccato.
Non mi resta che godere delle piccole gioie: tipo la petomania della gatta sembra risolta, abbiamo ricevuto un sacco di regali mangerecci e poi alla fine poteva andare peggio. Poteva piovere. Appunto.
P.S.: anche a te nottetempo sul gommoso sotto il piumone ti sudava la schiena?

P.P.S.: attenta al meccanico Santa Claus, che potrebbe scambiarti per un robot avvinazzato!

domenica 16 dicembre 2007

cosa vorresti ora?

(roma)

con il mio amico, invece, ci chiedevamo all’improvviso “cosa vorresti ora?”; era ammessa qualsiasi risposta, la prima che ci venisse in mente, da un gelato, alla pace nel mondo, purché fosse sincera. devo ammettere che non mi pare nessuno abbia mai risposto “la pace nel mondo”; ma è anche vero che, per quanto fossimo attivissimi nel partecipare a qualsiasi manifestazione, corteo o sit-in, dal disarmo nucleare alla difesa della foca monaca, poi il nostro mondo era il liceo; e la pace ci sarebbe stata, per noi, semplicemente se maria e giulia avessero smesso di litigare per lo stesso ragazzo.
non smisero mai, e forse fu lì che iniziammo a pensare che la pace nel mondo fosse qualcosa di troppo aldilà delle nostre forze.
è una domanda semplice, cosa vorresti ora. così semplice, che può succedere che uno se la dimentichi. che smetta di chiederselo. e che vada completamente fuori rotta, per questo. per anni.
c’è una pubblicità che mi diverte molto, sul come ci vorrebbero gli altri: i genitori, il fidanzato, gli ex. l’ex di lui lo vorrebbe morto, l’ex di lei la vorrebbe all’inferno; i genitori li vorrebbero eterni bambini, e così via. fa ridere finché non ci si rende conto che a un certo punto succede, di smettere di chiederci come ci vorremmo, e iniziare a preoccuparsi di come ci vorrebbero. fa ridere finché non ci si rende conto che, prima ancora che come ci vorremmo, abbiamo dimenticato cosa vorremmo.

giovedì 13 dicembre 2007

Felicità è...

(bologna, troppo legno e troppe candele)

Nella mia vita precedente il mio primo lavoro è stato con una amica-sorella maggiore (che fatica crescere figli unici, così privi di punti di riferimento, negativi o positivi che siano). Allora siccome passavamo un sacco di tempo insieme avevamo tutta una serie di piccoli rituali, uno ad esempio era dire a bruciapelo, sotto la doccia, mentre si urlava ai bambini, dopo 15 ore di lavoro: "felicità è..."
E l'altra doveva tirare fuori lì per lì qualcosa di credibile, anche una sciocchezza, ma qualcosa che in quel particolare momento della sua vita la rendeva felice. Tipo: a quella stronza di ...... è venuto l'herpes, tanto per dire.
Beh, oggi è stato un bel tardo pomeriggio.
Percui, se qualcuno non fosse troppo indaffarato ad addobbare e finanziare, e me lo domandasse a bruciapelo adesso, qui, ora, risponderei: felicità è dimenticarsi una confezione di cioccolatini allo swine bar.
O meglio uscire dal lavoro, camminare verso un punto indefinito davanti a sè, entrare in un negozio nuovo, trovare l'attaccapanni che si cercava da mesi, anni, poi uscire, voltare l'angolo, rispondere al telefono e scoprire di essere a cento metri di distanza, aspettami lì che arrivo, dai andiamo ad aperitivizzarci, chiacchiere, chiacchiere, secondo giro grazie, ok, si va, dai ti accompagno al bus, chiacchiere, risate alticce, oh il bus, ciao, ciao a sabato allora, riprendere il telefono, c'è un problema: ho lasciato i cioccolatini al bar, ok passo a prenderli,messaggio:ecco cosa succede a noi ragazze quando siamo fuori allenamento, bastan due bicchieri e passano tutti i problemi, messaggio: giustissimo, sono passato dalla micia a prendere una cosa e ho dimenticato lì gli occhiali, decisamente, mai perdere l'allenamento, sorriso e doccia.
E sentirsi leggeri, così svagati da dimenticarsi le cose.
A me capita così: quando sono veramente rilassata e a mio agio perdo i pezzi.
Allora, forse, c'è una speranza. Attaccarsi alle felicità da due bicchieri, alle chiacchiere sui massimi sistemi e sui minimi cazzilli, e non crescere mai.
Per sentirsi così leggeri, e dimenticare le cose e perdere il senso del tempo.

C'è un problema però. Dopo che l'interpellata aveva risposto l'altra faceva un'altra domanda, per un altro di quegli impliciti e collaudati meccanismi, in questo caso anche un po' per scaramanzia: "la vita è una merda perché..."
Ma ora la risposta sarebbe troppo lunga, e io ho i capelli bagnati.

C'è un'altra cosa che mi piace assaje: la schizofrenia di blogger che se salvi un post in bozza il 6 e lo pubblichi il 13 lui te lo infila in mezzo agli altri, interrompendo una sequenza temporale, ma riprendendo un filo logico, come fosse una ghost track.

Che ci sono dei momenti belli, come quando arriva qualcuno da lontano, quando nevica e non hai nessun motivo per uscire di casa, quando capisci che stai finalmente iniziando a capire, ma quei momenti di pura grazia immotivata sono proprio qualcosa.

E che sia messo agli atti che non era colui che tutto puote, per una volta.

scomparire oltre

(roma)

una sottile falce di luna. gialla.
sopra l’insegna luminosa del luogo del dolore.
l’odore di legna bruciata, dai caminetti di questo antichissimo quartiere paese.
metto le cuffie, una ragazza giapponese canta, in questa sera senza troppe lacrime tristi.
attraverso la strada, non affondo in nessun mare, non vedo nessuno scomparire oltre gli edifici.
i versi in inglese piangono in blues, cercano parole di conforto, chiedono per favore.
passo alla traccia successiva.
non c’è nulla di certo per nessuno, mai.
ma odore di biscotti e qualche lampo di una vecchia vita.

mercoledì 12 dicembre 2007

oro, incenso e gas

(roma)

il tecnico della caldaia è alfin giunto. è entrato, ha schivato un paio di stalattiti, ha salutato i pinguini che giocavano a carte sul divano, mi ha guardata e ha postulato: freddino, qui, eh. gli ho scoccato un’occhiata gelida, l’unica a mia disposizione da domenica sera.
lui e la caldaia si sono parlati un po’. più che altro un monologo, visto che la caldaia ripete ossessivamente “EA” da tre giorni. alla fine il tecnico ha dichiarato: valvola del gas, sono ###,## euro. a quel punto ho iniziato a ripetere ossessivamente “eh-ah” anch'io.
stavolta mi sa che travesto il gatto da bue i giorni pari e da asinello quelli dispari, e vado a fare babbo natale fuori dai centri commerciali, cantando canzonaccia di paolo rossi. che è la mia segreta aspirazione da sempre.
comunque, ora la caldaia funziona ma fa freddo lo stesso. ho chiesto al tecnico, ma dice che per il freddo che ho io, non può farci nulla.
ma che passerà.

Tante sono le canzoni sul Natale, canzoni che parlan di spazzacamini, di bianca neve che scende giù, di campanellini che trillano... ma nessuno mai ha dedicato una canzone a quegli omini che di fronte ai grandi magazzini fanno i Babbi Natale... eccola.
son vestito da babbo natale a un incrocio un po' ubriaco e allieto questa mia città
fisso le vetrine illuminate e i tacchini giustiziati e un capitone mi fa, ciao!
dietro c'è un cartello, "paghi dopo, prendi prima", ma che bravi, non ti fanno preoccupare...
sento le campane qui vicino e tra i piedi un ragazzino mi ci butta un trick e track.
bastardo! non sai che io...
io ho finito i soldi, proprio il giorno di natal
qui pagheranno fra 2 mesi e il 31 m'arriva un creditor
e chi lo compra lo spumante per brindare con il mio amor?
penso a quel geometra in galera, piange, scrive, si dispera, ma ha un salmone da leccar
schizzan fra i re magi ed una volvo, stan cercando una cometa con in mano il cellular
passano le mogli riciclate e le amanti abbandonate fino a tutto il 26
il mafioso con la tv accesa si commuove senza posa per il film "la vita è...
...meravigliosa". e io, io, io...
io ho finito i soldi, proprio il giorno di natal
qui pagheranno fra 6 mesi e il 31 m'arriva un creditor
e chi lo compra lo spumante per brindare con il mio amor?
che ha finito i soldi, anche lei il giorno di natal
tra noi c'è stato un sol regalo...
...una bellissima cambial!
io ho finito i soldi proprio il giorno di natale
e non so neanche dove ho messo il mio abito normale
e chi me lo compra lo spumante per brindare con il mio amor?
che ha finito i soldi, anche lei il giorno di natal
avessi almeno le mie renne, farei una rapina a courmayer
e canto questa canzonaccia che tanti ascoltano a natal
tanti che son senza le renne e pur fanno babbo natal...
(paolo rossi)

giovedì 6 dicembre 2007

Credo tu abbia usato troppo inglese negli ultimi post

(bologna, madrelingua)

perché ora il pannello di controllo e tutto il resto dei titoli, le etichette è in inglese. O forse è stato blogger a tradurre parte dei tuoi post per adattarli alla sua linea editoriale.
Comunque.
Ieri sera, guardando House, mi sono accorta di una cosa che mi ha dato un certo fastidio: nel telefilm i personaggi medici sono trattati come se fossero diversi dagli altri esseri umani. Mi spiego: vengono agiti da altri per tutto ciò che non riguarda strettamente la loro professione. Se devono difendersi in una causa per negligenza è il loro avvocato che raccomanda di non tirarsi la zappa sui piedi. O se devono farsi avanti con qualcuno sono i pazienti che gli devono spiegare come dove e quando. Come se fossero dei robot-medico, non degli esseri umani che incidentalmente nella vita fanno i medici.
E forse è così, perché in un altro telefilm ospedaliero, Grey's anatomy, un'ortopedica dice che loro, gli specializzandi, hanno speso tutta la vita fin lì a studiare e sgomitare per diventare chirurghi, senza passare attraverso tutte quelle esperienze formative tipo innamorarsi, stare insieme, lasciarsi, stare male, riprendersi (pare non ne avessero tempo),e quindi ora hanno l'emotività di un quindicenne.
Da qui due cose: o i medici sono una razza a parte, o lo sono gli statunitensi, o entrambe le cose.

mercoledì 5 dicembre 2007

moon&sand, whisky&jazz

(roma)

penso che a volte la vita non sia un granché.
penso che ci sia qualche rimedio, però.
penso che mettere su chet baker e versarsi un po’ di whisky, sia qualcosa.
penso che il più delle volte i problemi che sembrano immensi siano in realtà piccoli.
penso che allo stesso modo, le soluzioni che sembrano piccole, siano in realtà immense.
penso che chet baker sia immenso.
penso che il riscaldamento che funziona, il whisky che scende giù, il gatto acciambellato sul plaid, quella voce così familiare, siano più forti.
penso che, anche se quasi tutto mi sembra più forte di me, non debba essere per forza un male.
penso che molte cose buone, siano più forti di me.
penso che basti lasciar fare a loro.
penso di non essere pronta a salutare qualcuno, anche se penso che dovrei.
penso che, but how strange the change from major to minor, every time we say goodbye.

lunedì 3 dicembre 2007

bologna, special thanks to

(roma. a roma)

-la pennuta, donna che la sa lunghissima, perché, perché e perché.
-il pulcione, per essere rimasto la persona gentile che ricordavo, ma soprattutto per le previsioni meteo.
-sasha, che ha mantenuto un suo certo equilibrio mentre sfrecciava per le vie di bologna con noi due squilibrate sopra, nonostante le curve quadrate, le partenze da ferme e gli autobus schivati.
-i due autobus che avrebbero potuto fare di noi una frittata e non l’hanno fatto.
-la mou, perché, pur odiandomi, non ha mai tentato di uccidermi.
-il materassone gonfiabile, perché, pur tentando svariate volte di uccidermi, non ci è mai riuscito (vabbè, per ora).
-il ghetto, per essere rimasto lì dov’era.
-giosuè, giosué e giosue.
-i finestroni sul cortile dell’archiginnasio, perché mi hanno ricordato una malinconia antica e mi hanno aiutato a sfumarne una nuova.
-le anatre del lago dei giardini margherita, che comunque non ho capito dove vanno quando il lago gela.
-il molise, che è un luogo del cuore più che della mente (eviva?).
-l’osteria dove avremmo dovuto pranzare, che è senza dubbio un luogo della mente.
-il parcheggio in via san felice, che è un non luogo.
-lo spritz, il vino e il mirto per aver passato la notte più dura a ripetermi don’t panic.
-bejerò, che io all’inizio pensavo fosse una persona sola.
-il robot da cucina, per essersi impietosito e aver deciso di collaborare prima che the pulch radesse al suolo la casa.
-la feroce thaivietcinese, per non averci fatto del male (e ciripiripìccodak lì accanto).
-trenitalia, che per non farmi sentire troppo lo shock del ritorno, mi ha concesso del tempo in più per abituarmi all’idea, facendo arrivare il mio treno a roma con 90 minuti di ritardo.
-la pennuta, di nuovo, perché mi sono resa conto che con nessun altro potrei condividere questo luogo (che è un luogo della mente, un luogo del cuore, un non luogo, e un luogo in molise).
-bologna, che è sempre bologna.
-hamster, per le ore più belle.

giovedì 29 novembre 2007

bologna

(roma, ma a bologna)
(finalmente)

dai balconi di bologna, la mattina, si vedono persone stanche che camminano verso lavori stanchi e salgono gradini stanchi.
dai balconi di bologna, la notte, si vede una strada grande e deserta e una bicicletta solitaria e luci che vanno via.
dai balconi di bologna, la mattina, si vede il capopalazzo che controlla che il quartiere vada come deve andare e che la somma della vita, dell'universo e di tutto quanto faccia sempre 42.
dai balconi di bologna, la notte, si vede il fiato che diventa bianco e si mischia al fumo, e verso nord-ovest ci sono muri altissimi.
sui balconi di bologna, di mattina, si può essere felici e confusi e pieni di entusiasmo, e di notte, felici, confusi e un po' soli. e non molto proattivi.
sui balconi di bologna, non importa più che ora sia, quando i treni partono in orario e si portano via il tempo e la luce e il buio.
sui balconi di bologna si fuma e non si sa nulla se non che fa freddo. molto.
sui balconi di bologna, ogni volta, si pensa a qualcuno, e ogni volta sembra sempre la fine del mondo.
per una volta, magari, è il paese delle meraviglie.

martedì 20 novembre 2007

questa mia pessima abitudine di dimenticare tutto in giro

(roma)

e continuo a guardarmi dall’esterno, a parlarmi in seconda persona, a sentirmi a metà; però ci provo. esco. faccio cose, vedo gente. vado all’opera, alle presentazioni dei libri, ai concerti, addirittura agli aperitivi. frequento corsi di yoga e di francese e di tutto quello che mi viene in mente di settimana in settimana. mando curriculum a responsabili risorse umane milanesi, con cui ho il coraggio di sostenere che il trasferirmi a milano mi renderebbe felice. che poi, a questo punto, perché escluderlo. tanto non mi cambia niente.
mi è venuto il dubbio che, magari, sento che mi manca qualcosa perché è ormai più di un mese che il mio corpo astrale se ne sta stravaccato sul tuo divano a litigarsi la pizza con la mou e a bere qualsiasi cosa di vagamente alcolico gli capiti vicino. ho il sospetto che gli sia passata la mania di urlare non mi avrete mai. comunque, tra una settimana me lo vengo a riprendere. perché, a priori, io voglio bologna, voglio il divano, la pizza a mezzi con la mou e qualsiasi cosa io riesca a bere. tutto il resto viene dopo. se poi verrà.
e poi non posso lasciare corpi astrali in giro per mesi. come lascio gli ombrelli ovunque, come perdo le sacche da viaggio chissà dove, come mi scivolano via di tasca le sigarette e gli accendini, come non mi ricordo mai dove ho lasciato i guanti. non è lo stesso, lasciarmi, perdermi, farmi scivolare via, dimenticarmi. ovunque io sia rimasta, torno indietro e mi porto via.

venerdì 16 novembre 2007

no, è che.

(roma)

ho provato.
ho fallito.
non importa.
riproverò.
fallirò meglio.
(samuel beckett)

lunedì 12 novembre 2007

ritorno al passato

(roma)

la de lorean, dopo le modifiche di doc alla fine del primo film, volava. il che poteva comportare dei rischi: chiaro che se qualcuno avesse lanciato qualcosa in aria, avrebbe potuto colpire un passeggero.
perché la de lorean volava.
la de lorean.
p.s.
dopo lunga discussione con e.:
io non sono ciò che tu leggi, ma sono ciò che scrivo (su questo lui non è pienamente d’accordo, ma fa nulla. basta dirgli “m e d i a t o” e se ne fa una ragione).
ciò che scrivo io coincide con ciò che sono, ma non con ciò che tu leggi. ergo, ciò che tu leggi, non coincide con ciò che sono.
un mal di testa, guarda.
comunque, secondo lui, tu hai sempre ragione.

sabato 10 novembre 2007

tu quoque, pennuta?

(roma)

ora anche la pennuta scrive in minuscolo, si diletta in flussi di coscienza ed è già ubriaca alle dieci di sera. adoro avere una pessima influenza sulle persone.

ieri sera, mentre leggevo il tuo post su come siamo o dovremmo essere on/offline, in tv c’era un dibattito sul delitto di perugia; il tema, internet e i blog. perché due degli indagati hanno, apriti cielo, un blog.
mi piace il dinamismo dell’informazione in italia. la settimana scorsa era tutta colpa dei rom, questa settimana è tutta colpa di internet, la prossima si vedrà. suggerirei, è tutta colpa di murakami, è tutta colpa di ratman, è tutta colpa degli ufi, o l’evergreen è tutta colpa dei cartoni animati.

comunque, pennuta, tornando a noi.

non sono diversa da ciò che scrivo. a differenza di te, non ho necessità di grandi arrovellamenti o illuminazioni o depressioni cosmiche: mi viene in mente una cosa, mi va di dirla, la scrivo. punto. poi, cosa ne venga fuori, nell’insieme, a me non è chiaro. sono pezzetti di me, non so che impressione facciano, non mi sono mai posta il problema. ovvio che un po’ compenso: se fuori sono più dura, se non mi piace ammettere il dolore, men che mai la paura, se con gli estranei (e non solo) tiro a cazzeggiare, poi qui ci riverso altre riflessioni, altri sentimenti, altre necessità. e comunque sono io, e potrei dirti che magari io sono più sincera qui dentro che non lì fuori, o magari no, ma sono seghe mentali. non riesco ad essere sempre pienamente me stessa con nessuno e in nessun luogo, neanche da sola, figuriamoci se posso mettermi a fare paragoni fra me qui, me lì e me chissà dove e con chi. sono sciocchezze da dibattito televisivo, a questo livello, secondo me. se poi il punto è che non sai bene chi sono, beh, non lo so bene nemmeno io, e quindi proprio non posso illuminarti a riguardo. posso solo darti un pezzetto per volta, e avvertirti che non è detto che alla fine il puzzle venga come raffigurato sulla scatola. sorry.

venerdì 9 novembre 2007

(l'avvento della penny press mi ha illuminato)

(bologna!!!comprate bologna!!!tutti i più raccapriccianti dettagli sull'omicidio del secolooo!!!un penny per bologna!!!)

pensavo: in realtà la mostra conoscenza reciproca è un'esperienza per così dire mediata.
Cioé io ti conosco essenzialmente per quello che scrivi, è quello che mi ha creato nella mente l'immagine di te. tutto il resto, gli incontri reali, ci si sono infilati dentro a questa struttura che ho in testa.
solo che, ad esempio, io e quello che scrivo siamo due cose molto diverse. io scrivo di solito cose su cui mi arrovello, oppure attimo in cui mi sembra di avere chiarissimo qualcosa, tipo ora, oppure scrivo le cose che penso quando sono di umore tetro e meditabondo, tutto ciò però non mi rappresenta. io di solito sono abbastanza diversa.
e allora mi è venuto in mente che potrebbe essere così anche per te.
magari sei una burlona, e io non me ne sono mai accorta.

ci ho messo quasi sei anni, ma mi sembra che il concetto sia abbastanza chiaro.

massimo coppola, brand:new, luglio 2001. per la pennuta.

(roma)

direttamente dal commento lì sotto. la frase più sensata ed esaustiva che io abbia mai letto su genova 2001. non per niente, nella lista sempre troppo lunga degli uomini della mia vita, massimo coppola detiene sempre, saldamente, la prima posizione.

"Due giorni dopo siamo andati a Genova, al G8. Siamo andati e siamo tornati. Come tutti. Come quasi tutti".
(m.c.)

mercoledì 7 novembre 2007

comunque

(roma)

ho qualche saltuario, lievissimo problema a far coincidere fra loro i vari universi in cui mi sposto, e ho il vago sospetto che ci sia proprio un problema di fondo, dovuto al fatto che dovrei muovermi in un universo solo.
a parte questo, va tutto bene.

(La tragedia principale della mia vita è, come ogni tragedia, un’ironia del Destino. Rifiuto la vita reale come una condanna; rifiuto il sogno come una liberazione ignobile. Ma vivo la parte più sordida e più quotidiana della vita reale; e vivo la parte più intensa e più costante del sogno. Sono come uno schiavo che si ubriaca durante il riposo: due miserie in un unico corpo. – F. Pessoa)

(E ora? Anche ora ci si sente come in due. Da una parte l’uomo inserito che attraversa ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana, e dall’altra il gabbiano, senza più neanche l’intenzione del volo, perché ormai, il sogno, si è rattrappito. Due miserie, in un corpo solo. – G. Gaber)

martedì 6 novembre 2007

piazza alimonda, qualche anno dopo

(roma)

da: l.a.
a: s.
oggetto: svegliaaaaaaa!!!!
(...) la notizia della non-commissione d’inchiesta su Genova, e tu hai scritto una parola o almeno l’hai pensata? (...) Se conosco la parte pensante (?) del tuo cervello, è concentrata su qualche uomo (...) ci eri andata apposta a Genova, 5 anni fa, per non dimenticare, un anno dopo, e 5 anni dopo che fai, dimentichi.... e allora potevi restartene a casa!! (...) Ti rimando quello che hai scritto 5 anni fa, che io avevo stampato e attaccato sul frigorifero, e leggi la fine di quello che hai scritto TU, perché è quello che hai fatto TU (...)


(seguono insulti di vario genere, tutti giustificati. ha ragione lei)

Wed, 5 Jun 2002
(...che quel posto dove andiamo non ci inghiotte e non torniamo più...)

E contro cosa ha rimbalzato quel proiettile? Contro il cielo? Contro una nuvola? Contro una vita?
Sono stata a Genova per qualche giorno, per un matrimonio. Avevo due posti dove andare, prima di tutto. A via del Campo ci sono arrivata accompagnata da un trans in cui mi ero imbattuta in un vicoletto buio e strettissimo (perché, tanto per cambiare, mi ero persa).
A piazza Alimonda sono riuscita ad arrivarci da sola. E non era la piazza Alimonda che mi aspettavo, che avevo visto al telegiornale, in foto, ovunque. E' una piazza qualsiasi, un'aiuola con fiori rossi e una palma, una chiesa, il chiosco di un'edicola, i tavolini sul marciapiede di un ristorante, alcune panchine, le saracinesche dei negozi. E un angolo pieno di fiori e di scritte e di foto. Scritte bugiarde, di quelle bugie che fanno bene ai vivi e non servono per niente ai morti. Carlo vive, c'era scritto, ma Carlo è morto. Carlo eroe, c'era scritto, ma Carlo Giuliani non era un eroe. Era un ragazzino. Ho letto la data di nascita e di morte e ho cercato di inquadrare me stessa, com'ero, dov'ero, quando avevo la sua età. E tutte le cose che mi sono successe dopo. Tutta la musica che ho ascoltato, i concerti a cui sono andata, i libri che ho letto. Le scopate di una notte, le storie che ti fanno perdere la testa per un mese, la storia che andrebbe scritta con la esse maiuscola perché ha fatto da spartiacque tra le storie prima e le storie dopo. Le risate e le lacrime, le bottiglie di vino bevute, le canne rollate male, i botti in macchina e in motorino, i lavori avuti e persi, gli esami dati all'università e passati, gli esami dati altrove, mai passati. Le amiche abbracciate, le amiche che abbracciano. Gli ex, quelli pazienti e quelli infuriati. Coupedeville cantata piano a un uomo che non mi ha perdonata.
The last journey to nowhere. Non l'hanno lasciato tornare ai suoi temporali.
Ho mandato un messaggio stanco a Pink, che, come da tradizione di coincidenze che fanno di una persona un'amica, se ne stava a Milano per un matrimonio, era in un centro commerciale e guardava sui maxi schermi le immagini di Genova un anno prima. E mi pensava, l'empatica. E ce ne siamo rimaste in silenzio, lei a Milano a guardare piazza Alimonda com'era, io a Genova a guardare piazza Alimonda com'è, questa piazza Alimonda che tra neanche troppo tempo diventerà un'idea come un'altra.

venerdì 2 novembre 2007

la stazione tor di quinto resterà chiusa per lavori dal 5 novembre. ci scusiamo per gli eventuali disagi.

(roma)

la signora sbuffa, mentre l’inviato di qualche tg cerca nasi sotto cui piazzare il suo microfono. la signora sbuffa e a bassa voce elenca: il treno infrequentabile, le stazioni che sono una peggio dell’altra e quella di tor di quinto non era neanche la più pericolosa, le rapine ai parcheggi quando non ti fregano direttamente la macchina, due volte a me è successo, e la mattina alle otto sali e sono tutti già ubriachi e c’è un odore di fiato di alcool che fa schifo, e la sera chi si fida più a venire in stazione; e ora se ne accorgono e arrivano a fare visite e interviste, e domani se ne sono già scordati. la signora sbuffa e fa la sua tirata e sbuffano anche le altre signore accanto a lei, soprattutto quando il giornalista riesce a trovare un uomo disposto a dargli retta. gli schiaffa il microfono davanti alla bocca e chiede: com’è questo treno? e l’uomo ride amaro, ovviamente. mentre le signore sbuffano.

ho fatto un giro in centro per comprare un regalo a un’amica. sono entrata in stazione per prendere il treno che porta al quartiere paese. c’era un cartello che diceva, la stazione di tor di quinto resterà chiusa per lavori dal 5 novembre. ho pensato, meglio. io a quella stazione non sono scesa mai. che mi fa molta più paura della mia, il che è un bel record. un paio d’ore dopo in stazione è entrata una donna. avrà visto il cartello, si sarà posta il problema, perché lei lì ci abitava. ci avrà pensato una mezz’ora, non di più. poi è scesa dal treno. fine.

non sopporto chi si rivolge alla pancia della gente. si deve parlare alla testa delle persone, a volte al cuore, mai alla pancia. la pancia del quartiere paese, e di tutta la linea che segue il fiume e la ferrovia, dice, paura. ma lo dicono anche cuore e testa, e lo dicevano da prima. che qui non si è sorpreso proprio nessuno. abbiamo raggiunto un nostro equilibrio testa cuore pancia paura, e ci sopravviviamo. abbastanza spaventati da avere il problema di difendere la nostra vita, non abbastanza da smettere di viverla. ora in teoria dovrebbero saltarci gli equilibri, e il primo politico in pre-campagna elettorale che arriva e si rivolge alla pancia, dovrebbe trovare terreno fertile. e invece no. quello che ottiene sono fastidio e signore sbuffanti e uomini che ridono amaro. e questo è ovvio e chiaro, e lo capirebbe se vivesse qui. c’è tutto un insieme di contrasti che dal di fuori non sono comprensibili, ed è difficile spiegarli. e ci sono pensieri che fa male confessare anche a se stessi. la paura che c’è ed è dolorosamente giustificata, ma anche la fierezza per il quartiere paese che non se n’è uscito (almeno non in massa) con discorsi forcaioli; la solidarietà, anzi, la tenerezza per i vicini rumeni che non escono di casa da giorni e aspettano che passi anche questa, e per il commesso del negozio in piazza che ha perso parecchia della sua verve e che sta lì a controllare se lo si guarda male, ma anche il sollievo perché sono spariti pure gli “irregolari” e per qualche giorno, una settimana almeno, si terranno alla larga, e la speranza dura e inconfessabile che se ne vadano all’inferno per sempre; la rabbia per la morte di quella donna, così prevedibile e annunciata e chiara a tutti fuorché a chi davvero doveva porsi il problema, e la consapevolezza che non puoi far vivere gli esseri umani come se fossero rifiuti, e poi sdegnarti se non si comportano più da esseri umani ma da rifiuti; lo sguardo obliquo che lanciamo a chi vediamo rovistare nei cassonetti, caricando roba che noi abbiamo buttato, su biciclette che una volta erano nostre, ma ci sono state rubate; la comprensione e la pietà che si fermano dove comincia la nostra pelle. poi arriva uno che magari qui nemmeno c’era mai stato, e dice vergogna. che è esattamente quello che pensiamo noi, vergogna, ma in tutt’altro senso.

lunedì 29 ottobre 2007

La vita è dura quando hai una gatta insonne e petomane

(bologna- più petomane che insonne in realtà)

Riguardo al tuo post del 24 ottobre: nel caso il tuo sia un tentativo di farti invitare in quel di cat-peto-land, sappi che già ci sei. Da una settimana stazioni sul divano di casa mia guardando il soffitto. Non so come tu cia sia arrivta, un giorno sono rientrata e tu stavi lì. Comunque -allucinazioni a parte- stai benone. Bevi, mangi - attualmente il tuo favore va alla pizza biancaneve- e ogni tanto urli fortissimo "non mi avrete mai!". Ma, come dicevo prima, nel complesso stai benone. Quindi nessuna allucinazione olfattiva, o meglio si tratta di una allucinazione nell'allucinazione.

Riguardo invece al tuo post del 21: avrei due o tre cose da dire a proposito. Sappi comunque che se tutto si infila presto avrò delle belle notizie da darti. Ma fai in tempo a riaverti, non ti preoccupare.

Ora ti copro che fa freschino e torno a lavorare. Mi raccomando qualunque cosa succeda non lasciare cibo incustodito.
Lamou ha fame anche quando dorme.

leprechaun street

(roma)

“devo ricordarmi che non sono un autobus”
l’imperatrice galattica (bloccando il traffico sul muro torto)


per dire, in che mani è finito il destino della galassia. altro che i governanti terrestri: qualcuno di loro sarà stato convinto di essere napoleone; ma un autobus, mai.

l’altra sera, dopo aver apportato il nostro fondamentale contributo alla teoria del parcheggio a roma (parcheggio a spina col semaforo, parcheggio sul marciapiede in curva sulle strisce arrivandoci contromano, parcheggio in comunione mistica con un autobus - un autobus vero, non l’imperatrice galattica in una delle sue crisi d’identità), siamo andati a un concerto per lepricauni e guinness.
funziona così: alcuni lepricauni invisibili forniscono al cantante un numero di pinte di guinness che parte da dieci e tende all’infinito; le pinte di guinness si fondono col cantante, si appropriano del microfono e rievocano la verde irlanda, mentre gli spettatori fanno scommesse su quando il cantante rotolerà giù dal palco. va detto che il concerto a me è piaciuto, i musicisti erano bravi, non avevo idea che esistesse il banjo elettrico, e il cantante non è rotolato giù dal palco.

poi, con sua galatticità abbiamo avuto quei due-tre secondi di, iniziamo un discorso rischiosamente serio sui luoghi cui sentiamo di appartenere, più che sentire che appartengano a noi, su dove e come è casa e dove pensiamo di andare e cos’è il tornare e. ma per fortuna siamo state interrotte, quindi siamo rimaste in modalità cazzeggio standard, che comunque ci dona.
però, passiamo tanto tempo a chiederci se esiste la persona per noi, e dov’è il luogo per noi, e cos’è che dobbiamo fare per essere noi, e io ho il sospetto che esistano persone che sono geneticamente impostate per cercare sempre, e non trovare mai, e temo di essere una di loro.

venerdì 26 ottobre 2007

come diventare cuscini vulcaniani

(roma)

ieri sera io, mobili e suppellettili abbiamo deciso, per questione di praticità, di fondere insieme le lezioni dei due corsi che stiamo seguendo: come diventare vulcaniani, e come non farsi rinchiudere in un manicomio criminale.
è stato stabilito che, di base, la mobilia vulcaniana non si sposta da sola, è facilmente riconoscibile anche senza attaccarci sopra post-it con su scritto “poltrona” e non parla. il cuscino del divano ha avanzato l’obiezione che tutto ciò responsabilizza troppo i mobili e deresponsabilizza il vulcaniano: a suo parere, è il vulcaniano che, per primo, deve porsi il problema di non parlare ai mobili. dopo un’accesa discussione è stato deciso quanto segue: sarà cura del vulcaniano evitare di rivolgere la parola al cuscino; ma, qualora ciò dovesse comunque succedere, sarà cura del cuscino rispondere usando la logica.
la riunione a questo punto è stata interrotta per cercare di capire da dove provenisse l’insistente odore di tabacco da pipa che si era diffuso nel soggiorno. poiché non è stata trovata traccia, in tutta la casa, di tabacco da pipa, il bastone della pioggia si è molto congratulato con i presenti in quanto, di tutti i tipi di allucinazioni, quelle olfattive sono in assoluto le più rare e valgono quanto un gronchi rosa. abbiamo convenuto che, in effetti, se proprio dobbiamo darci giù di allucinazioni, scegliere quelle più rare è molto, molto vulcan. quindi è chiaro che stiamo facendo progressi.

giovedì 25 ottobre 2007

in caso?

(roma)

l’importante nella vita è avere amici meravigliosi e rassicuranti.

- ma non ti era mai successo prima? cioè, le altre volte in cui avevi un comportamento incomprensibile, non era questo? (ildìo).
- ammazza che brutto aspetto che hai (dominique).
- prima o poi si muore tutti (tiè).
- non è mai lupus (dr. house).
- o hai avuto un ictus, e allora dovresti andare da un medico, o hai definitivamente svalvolato. avevo scommesso con giulia che avresti retto altri due anni, prima del trionfo della follia. quindi tifo per l’ictus (fidanzato di giulia).
- no, è che sei pazza, ma del resto si era capito (amica del quartiere paese).
- magari ti portiamo al pronto soccorso. cioè, sicuramente non è niente, ma magari prepara una valigia. cioè, non ti preoccupare, ma in caso a chi telefono? (giulia)

(in che senso, “in caso”?)

mercoledì 24 ottobre 2007

paura e delirio nel quartiere-paese

(roma)

ora, io avevo letto che dopo 72 ore senza dormire arrivavano delirio e allucinazioni. ma non era chiaramente specificato quando. che, a una lettura superficiale, poteva sembrare che uno stava 72 ore senza dormire, e dopo 72 ore arrivavano delirio e allucinazioni. mentre non è per niente detto. cioè, ho scoperto oggi che, volendo, uno sta 72 ore senza dormire, poi ricomincia a dormire, nel frattempo pensa a tutt'altro, e le allucinazioni arrivano dopo una, due, tre settimane.
cioè, metti che si erano scordate. metti che hanno il mio senso della puntualità.
insomma, non ho passato una gran bella serata.

poi, non c'entra niente, ma ti ho sognata, qualche sera fa. di nuovo in una strana periferia. in una strana casa. con strane persone. e una persona in particolare. e mi sono svegliata con un desiderio struggente, fisico, di vedere lui, e di rivedere te. perché poi questo tuo super ego teutonico serve anche a tranquillizzare le persone, oltre che a rendere la vita impossibile a te. e a me serve, essere tranquillizzata.
che mi sono spaventata tantissimo, io, oggi.
(roma-baires)
ma io non c'entro.
io non devo far parte delle persone che ti devono mancare.
io voglio far parte delle persone che ci sono.
voglio esserci anch'io.
anche se non mi fai venire, voglio esserci anch'io.
cioè, almeno devi promettere che, comunque, io ci sarò.

domenica 21 ottobre 2007

sono inquieta, direbbe qualcuno

(roma)

è da un po’ di tempo che faccio fatica a scrivere in prima persona. e non credo sia un buon segno.

parli in seconda persona come se ti osservassi dall’esterno, come se cercassi di fare da filtro tra te, e il mondo. o quella parte di mondo a cui serve un filtro, perché non ti accetta così come sei. perché sei destabilizzante, al punto che ti minaccia di smettere di parlarti. e questo destabilizza te. e ti ritrovi in un circolo vizioso che ha come centro il fatto che tu non vai bene. o agli altri, o a te stessa, ma comunque non vai bene. né come sei, né filtrata; né destabilizzante, né destabilizzata. e alla fine dei giochi, la voglia di parlarti passa a te.

per dire. per cui smetto di parlarmi, che tanto oggi posso al massimo darmi della cretina, e parlo con te.

sono cinque anni che ti leggo, pennuta, e osservo ribollire tutto quello che spazzi via sotto il tappeto. mi chiedo quando sarà il grande botto, se mai ci sarà. mi hanno insegnato che le persone scelgono sempre, per quanto inconsapevolmente, il male minore. ma non mi tornano i conti; perché, se poi alla fine in tanti fanno boom, vuol dire che qualcosa non quadra.
poi, gli anziani, accettare la realtà, i tarli, il pensiero circolare. accettare la realtà, che significa? una cosa del tipo, non capisco ma mi adeguo? va accettata per forza, questa realtà? perché? per stare bene? per stare meglio? perché così non si perde più tempo ad accettare se stessi? è come il gioco delle parole ripetute troppe volte, che alla fine perdono senso. non ha senso, la frase accettare la realtà. facci caso, spenné, continua a ripetertela: è solo rumore.

e poi, capiamoci. o non sei capace di amori impossibili, o ti è successo due volte. o al limite facciamo la media e decidiamo che ti è successo una volta. io direi che ti è successo perché lo descrivi proprio bene, eh. il dolore fisico. io non avrei usato le immagini del palo nello stomaco o della lama sulla testa; ti avrei parlato di guglie e lame e coperte, e mancanza di respiro e graffiare il cuscino con le unghie e morire, ma stiamo lì. dolore fisico. è un fatto reale, che ti piaccia o no.
hai deciso, tu, che reale è solo l’ingegner cane con cui dividi il ripostiglio in cui lavori; reali sono il traffico e lo smog e le multe e sirio; e gli amori impossibili non sono realtà, e il ronzio di sottofondo che ti senti dentro va eliminato perché è fastidioso, perché nella realtà non ci deve essere. poi, parli di accettarla, questa realtà, ma nemmeno sai bene cosa ci deve stare dentro e cosa no, e ti contraddici perché ti stai imponendo cose che non hai neanche ben focalizzato; perché questa realtà che va accettata e ubbidita, alla fine, non esiste.

venerdì 19 ottobre 2007

il nobel per la pace dovevano darlo al marito di mrs frog

(roma)

ieri ho partecipato, in qualità di sostegno morale, a una festa di bambini dell’asilo. io facevo finta di sostenere mrs frog, madre della festeggiata. lei faceva finta di essere all’altezza della situazione. in due ore in cui i miei timpani e svariate altre parti del mio corpo sono stati frantumati, ho dedotto che:
i bambini urlano. sempre.
quando non urlano, è perché stanno riprendendo fiato per urlare meglio.
le madri degli invitati urlanti sono odiose arpie svaccate, che dicono solo cose insulse e si fregano tutte le patatine fritte e le crocchette di pollo.
le odiose madri svaccate non dovrebbero fregarsi pollo e patatine, visto che quella più in forma tra loro pesava almeno venti chili più di me e occupava più spazio di un contenitore svuota-vassoi.
non è vera ‘sta storia che sono svaccate perché loro hanno avuto una gravidanza e io no: sono svaccate perché si fregano le patatine.
i padri single sono rari ma bellissimi.
i padri single sono rari, bellissimi ma inavvicinabili perché hanno sempre un bambino sociopatico attaccato alle ginocchia che si rifiuta di partecipare alla festa e resta avviluppato al genitore a mo’ di piovra gigante.
è impossibile provarci con un padre single bellissimo che ha un parassita sociopatico attaccato alle ginocchia.
le nuove generazioni sono cresciute da vacche iper-ansiose, padri vittime e animatrici melense che chiaramente di notte si trasformano in serial killer.
gli unici simpatici e sani di mente sono i nonni, alla faccia del tuo ultimo post.
la prossima volta mi porto le patatine da casa.

domenica 14 ottobre 2007

Promemoria per quando sarò vecchia

(primariamente bologna)

E' già da un po' che ci penso. Mi capita per vari motivi di avere spesso a che fare con persone che in un mondo normale sarebbero, per età e per livello di usura mentale, considerati anziani, e che invece qui sono parte attiva, integrante e portante della società civile e dell'economia locale.
Beh, ecco, in realtà in generale la gente che conosco e frequento è nella maggior parte dei casi più vecchia di me, che ormai più adulta non lo posso dire. Questo probabilmente ha conseguenze deleteree sulla mia ipertrofica e congenita tendenza ad analizzare tutto.
Ormai ho smesso di guardare dietro le spalle, pensare a come sarebbe andata se..
Forse è solo che ho meno tempo libero.
Ora penso a come andrà se.
Se mai riuscirò ad invecchiare dignitosamente,cioè senza devastanti problemi di salute, familiari, sul lavoro... perché checché ne dica il doctor house esistono vecchiaie e morti più o meno dignitose.
E già mi fermo.
Non conosco nessuno che ce l'abbia fatta.
Ma di sicuro tutti gli "anziani" che conosco hanno una cosa in comune.

Che buffo, ora che riguardo indietro i vecchi post scopro che questo blog nasce nello stesso mese in cui quattro anni prima abbiamo cominciato a scriverci. Maggio.

Ecco, è questo che intendo: gli anziani, e i vecchi di mente come me, non riescono a tenere un contatto costante con la realtà. Nella loro testa continuano a macinare dei tarli, che li fanno sbottare nel bel mezzo di una conversazione, una discussione, una riunione di lavoro, con cose che apparentemente non c'entrano nulla.
Oppure quei tarli fanno un tale rumore che non permettono di fare attenzione a quello che sta fuori, o ancora permettono un livello di attenzione leggero leggero, incostante, dietro un'apparenza di compita saggezza.
Un'altra cosa accomuna tutti gli anziani: il pensiero circolare. Di qualsiasi argomento si stia parlando, di chiunque, e in qualunque modo e sotto qualsiasi aspetto, sempre è necessario che ciò che gli altri dicono confermi quanto detto dal portatore di pensiero circolare all'inizio del discorso.
Come se tutto avesse una spiegazione, o come se fosse necessario creare delle spiegazioni certe, inattaccabili, incrollabili per interpretare la realtà.
Ecco, questo io vorrei evitare, diventare ovvia, ottusa e incapace di ascoltare quello che gli altri hanno da dire, nella foga di voler dimostrare che quanto dicono dà ragione alla mia visione autoreferenziale e autoconsolante del mondo.
Perché è triste, è ciò che rende gli anziani patetici: non voler più vedere la realtà per quello che è, perché non si è più capaci di accettarla.

Lo sai, non sono mai stata capace di veri amori impossibili, di farmi del male innamorandomi di qualcuno che per un motivo o per l'altro non avrebbe potuto riamarmi o stare con me. Forse per la sudditanza congenita all'analisi razionale di cui sopra.
Tranne due volte.
Allora mi sembrava di morire, di un dolore quasi fisico, come un palo piantato nello stomaco giorno e notte, una lama che oscillava sulla mia testa pronta a colpirmi non appena mi fosse sembrato che le cose potessero infilarsi, un fuoco che mi bruciava ogni cellula, e che mi faceva ustionare ogni volta che venivo a contatto con la realtà.
Adesso, le poche volte che ci ripenso, mi sembra di non essermi mai sentita viva come in quei momenti.
Ma la mia natura, che ogni giorno mi sforzo di accettare, è un'altra.
La mia natura dice che solo i fatti di ogni giorno sono reali.
E io, stanca di combattermi e di perdere quotidianamente, abbasso la testa e obbedisco.

parole che vengono, parole che vanno

(roma)

per innamorarsi ci vuole coraggio. innamorarsi fa tremare. perché sei senza rete.
(la tua amica dominique, nel tentativo di rispondere alle tue domande, dopo il quarto whisky – da leggersi strascicando molto le sillabe)


ti chiedono se sei innamorata e all’improvviso non sai che dire. prendi tempo e cerchi di ricordarti cosa significhi. dall’altra parte magari pensano che è un estremo tentativo di difesa o un rigurgito d’orgoglio. invece, alla fine, devi confessare che non lo sai, perché è una parola che non sai più usare. non applicata a te. non le trovi più un senso.
ti senti come un libro letto a metà, a cui abbiano cancellato una parola all’improvviso. da ogni pagina, anche quelle già lette. togliendo il senso a tutto.
ti ritrovi seduta per terra, appoggiata all’armadio, a ripetere amore innamorarsi innamorata amare. e come tutte le parole ripetute troppe volte, alla fine sono solo suoni senza più significato. ti chiedi se sia questo il problema. se lei hai ripetute troppe volte. se le hai consumate. se le hai rotte, usandole male. che adesso non funzionano più.

provi con altre parole. rifletti sul tuo vocabolario, quello scritto da te, negli anni. parole desuete. neologismi. parole che hanno cambiato significato. la parola amicizia c’è ancora, ma ti è chiaro che, rispetto a dieci anni fa, la definizione è cambiata. amore innamorarsi innamorata amare. ci sono, ma senza definizione. non c’è scritto in nessuna pagina, cosa vogliano dire.
ti vedi con la tua amica, e quando passate dal vino al whisky, sai già che tra poco tutto inizierà ad essere molto lento e dilatato e facilmente comprensibile, anche se solo in quel momento, perché poi quando l’effetto passerà quello che avrai intuito svanirà via. e quindi cerchi di ricordarti tutto, ogni sillaba, la ripeti tra te, e pensi, ci sarà una frase con cui mi sveglierò domani mattina, che mi dirà che.

la notte sogni che, in un grande studio blu a due passi dal mare, il poeta conduce un gioco sul sistema solare, o sulla galassia. puoi scaricarlo sul mac. vi siete arenati sulla domanda su saturno. c’è qualcuno in trappola, prigioniero, da qualche parte, che deve essere salvato. non sai chi sia.
innamorarsi fa tremare. ora dovresti chiedere alla tua amica se era una figura retorica, o se intendeva, proprio, tremare. fisicamente. perché tu una settimana fa tremavi. e non è un verbo che usi spesso. non lo usi mai. è una parola così intima, secondo te, così privata. ma adesso lei non si ricorderà nemmeno di aver parlato con te, figuriamoci poi di cosa, e comunque secondo te non intendeva tremare in quel senso; e comunque non ha senso nulla, in qualsiasi senso, tutto questo non ha senso.

venerdì 12 ottobre 2007

Gente Malvagia E Perfida (o, dell’arte del cucinare di sua galatticità)

(roma)

Gente Malvagia E Perfida mi sfotte da sempre perché non so cucinare.
Gente Malvagia E Perfida trova da ridire sui miei fidi surgelati, i miei amici liofilizzati e i miei alleati pizzaioli egiziani.
Gente Malvagia E Perfida mi invita a cena per dare sfoggio della sua abilità.
Gente Malvagia E Perfida mi invita a cena per sentirsi superiore e denigrarmi ulteriormente.
Gente Malvagia E Perfida mi invita a cena e poi fa bruciare la mia cena.
Gente Malvagia E Perfida mi fa mangiare crepes carbonizzate e ciliegine sciroppate fatte dallo zio.
Gente Malvagia E Perfida osa dare la colpa al mio innocente lettore mp3 che l’avrebbe distratta e alla mia incapacità in cucina che sarebbe contagiosa.
secondo me, Gente Malvagia E Perfida dovrebbe vergognarsi.
(questo post è stato scritto appositamente affinché Gente Malvagia E Perfida si vergogni).

mercoledì 10 ottobre 2007

l’ora di educazione musicale alle medie

(roma)

avevo quest’insegnante di pianoforte. non ci faceva studiare nulla. entrava in classe col suo registratore, metteva su musica e diceva, scrivete. tutto quello a cui questa musica vi fa pensare. scrivete.
non ce l’ho mai fatta. inventavo. me la cavavo bene, che sono bravina con le parole scritte e le invenzioni. ma non ho mai scritto una sola parola che fosse minimamente collegata alla musica che avevo ascoltato.
e ancora adesso non ci riesco. non riesco nemmeno a scrivere e ascoltare musica. non riesco in alcun modo a collegare scrittura e musica.
credo sia un problema di traduzione. si scrive, con parole, per tradurre qualcosa che si pensa, a parole. la musica non pensa a parole. la musica non ha bisogno di pensare, non ha bisogno di parole, è sentimento puro privo di. se devi scrivere quello che una musica ti fa provare, devi tradurre da senza-parole a con-parole.
non so. io non riesco a tradurre dall’inglese al giapponese. mi si aggroviglia la sintassi, mi si confondono le parole, faccio un casino. posso passare dall’inglese all’italiano, e dall’italiano al giapponese. e viceversa. ma inglese-giapponese, no.
dalla musica alla scrittura, si vede che mi manca un passaggio intermedio. devo arrivare dalla musica a qualcosa, e dal qualcosa alla scrittura.
ci sto provando. sarebbe l’unico modo per spiegare. o forse, non l’unico, ma un buon modo per spiegare. diciamo, il migliore. poi, quando penso a me stessa in piedi in mezzo a una stanza, auricolari nelle orecchie, che faccio finta di cantare satellite of love in un locale semibuio, di quelli con vecchi tavolini in legno e pubblico silenzioso che fuma e ha un bicchiere di whisky davanti, allora credo che il passaggio intermedio sia quello. perché lì nel mio locale immaginario io so benissimo cosa sto provando, e cosa sto cercando di dire, e non sono le parole della canzone, che interpreto. è proprio la musica.
quindi, ricomincio.
(hai ragione, spenné. sullo scrivere da soli per prendere coscienza. sei un genio di donna. in genere i post che mi servono per arrivare da un punto a un altro, poi li cancello. che tanto ormai. tipo, che sopravvive un post su 5, in media. ma questo lo lascio, perché 1) dovessi scordarmi 2) è una specie di introduzione a qualcosa che prima o poi arriverà a qualcuno 3) ci tengo a ribadirlo, che sei un genio di donna).

domenica 7 ottobre 2007

(is that alright?)

(roma)
(qualche volta la pioggia odora di ferro, e non aiuta a purificare e curare e anestetizzare. ma non ti importa, mentre ci cammini dentro, perché adesso stai andando in un’altra direzione, dove non c’è niente da far sgocciolare via. guardi il cielo e ci sono questi lampi da nuvola a nuvola e per un attimo tutto diventa viola e bellissimo. arrivi in piazza e fai sciogliere via cinque minuti. avresti potuto sfiorarlo.
e. stai. tremando.
e hai domande inutili, perché non puoi avere le risposte che vuoi. ed è il tipo di posto sbagliato, e il momento sbagliato, ma non stai commettendo nessun crimine, e non ti servono scuse, e sorridi alla ragazza dai capelli corti, che ti sta consegnando una pistola carica.)

venerdì 5 ottobre 2007

disse l'elefante viola

(roma)

ho letto da qualche parte che, dopo 72 ore senza dormire, gli esseri umani iniziano a sperimentare curiosi effetti collaterali tipo allucinazioni, delirio e altre amenità. quindi dovrei girare per casa e imbattermi in gnomi verdi, unicorni rosa invisibili e roba del genere, ma non ne vedo. anche l’elefante viola appollaiato sul divano conferma che non c’è traccia di gnomi verdi in soggiorno. sull’unicorno rosa, essendo invisibile, non si esprime.
in realtà ho dormito. ho dormito un’ora, ieri pomeriggio, prima che mi telefonasse una mia amica, svegliandomi, per sapere se avevo dormito un po’. poi ho dormito mezz’ora, prima che il parroco scampanasse l’ave maria. non ho ben capito cosa sia successo al parroco del quartiere-paese, se l’hanno sostituito o se ha avuto una crisi mistica. è da un po’ di tempo che gli è presa questa strana fissa dello scampanare a tutte le ore, ma non i classici din-don. scampana l’ave maria di, boh, qualcuno, e altri motivetti allegri. credo che le campane per un parroco equivalgano alla suoneria del cellulare per i laici.
comunque, come tutti quelli che oscillano tra insonnia acuta, insonnia cronica, insonnia così così e sporadica mancanza di insonnia, lo so perché non dormo. lo so ogni volta. sono arrabbiata. sono più che arrabbiata, in effetti. ho dichiarato a più di una persona che se mi trovassi davanti il mio ex, stavolta potrei ucciderlo. ora, come minimo, qualcuno lo ammazzerà davvero e verranno a citofonarmi le guardie dopo mezz’ora. svegliandomi. e il fatto che io mi trovi a cinque ore di treno da quella sciagura di uomo non varrà come alibi, perché magari potrei aver assoldato un sicario. ma io non sono assolutamente quel tipo di persona. cioè, non ho abbastanza soldi. beh, insomma, mi informerò presso la gilda degli assassini. o quella dei buffoni. male che vada, gli mando un pagliaccio a lanciargli una torta in faccia. che, pensandoci bene, è esattamente quello che si merita. buffone.

mercoledì 3 ottobre 2007

però quell’isola non c’era e mai nessuno l’ha trovata...

(roma)

premesso che non ho dormito. sono stata molto occupata a guatare una sfera nera radioattiva teletrasportatasi nella mia camera da letto in seguito a una telefonata del poeta h.r.
premesso che questa cosa che una manca da bologna per un annetto e prima le sòlano il lettone, e poi pure il materassino gonfiabile, è una vergogna.
io mi sento di escludere che fra quarant’anni all’ambos mundos citeremo alcunché. secondo me, staremo ancora discutendo sugli autobus notturni.
comunque, è esattamente quello che faccio adesso. starmene sul divano a leggere, mangiare schifezze, buttare giù qualsiasi cosa di alcoolico io trovi; però senza chiedermi come sarebbe andata se. non ci sono ancora arrivata. cioè, ogni tanto me lo chiedo, ma per cose tutto sommato secondarie. non credo ci sia ancora stato il grande SE, nella mia vita. e se c’è stato nemmeno me ne sono accorta, e questo è proprio sconfortante, a pensarci. e quindi non pensiamoci. sono già abbastanza sconfortata di mio, stamattina.
il bar che non c’è. se tu avessi una minima conoscenza dell’opera di guccini, ti rimanderei all’isola non trovata: appare, a volte, avvolta di foschia, magica e bella, ma se il pilota avanza su mari misteriosi è già volata via, tingendosi d'azzurro, color di lontananza...

lunedì 1 ottobre 2007

Bologna, mezz'ora dopo

A Bologna i notturni sono due: uno fa il giro in senso orario, l'altro in senso antiorario. Vanno entrambi a velocità folle e fanno entrambi il giro del mondo in 60 minuti primi. Tanto per sottolineare che nel centro e sulla rete urbana dell'ATC di Bologna non si può perdere nemmeno una romana.

Mettiti a dieta e alza quel culo.

Oggi sono insolitamente energica, si sente?!?

un anno fa, di questi tempi

(roma)

per esempio, pennuta, ieri era l’anniversario dell’ultima volta che ci siamo viste. un ameno sabato 30 settembre in cui mi avete scaricata alla stazione di bologna perché io prendessi un treno per milano (il che fa di oggi l’anniversario della mia ultima partenza da milano, ma avendo giurato a sua galatticità che non ne avrei parlato più, e temendo molto l’ira funesta di sua galatticità, mi limito a questa piccola annotazione e cambio discorso).
se non ricordo male le nostre ultime immortali parole pronunciate dal vivo sono state:
tu (sghignazzando) – guarda che devi andare dall’altra parte.
io (barcollando sotto il peso del borsone, dell’alcool della notte prima e degli eventi) – eh, lo so, cazzo, sto cercando di arrivarci.
magari la prossima volta ci prepariamo due frasi prima, così, qualcosa di un po’ più tramandabile ai posteri.
tutto ciò, a mio parere, dovrebbe ispirarti un post sulla gioia di avere tra i piedi la mia adorabile personcina; sull’entusiasmo dipinto sul tuo viso quando, dopo una giornata di lavoro e una serata passata a scarrozzarmi qua e là, poi io ti tengo sveglia altre tre ore per raccontarti nei dettagli roba ormai inutile non solo da dire ma anche da pensare; sull'affetto che ti ha portata a farmi ingoiare, una sera che avevo anche la febbre, del pesce crudo avariato. io poi, fossi in te, ci aggiungerei anche una postilla, sulla tua innegabile capacità di scegliere l’autobus notturno più adatto. no, che comunque io ci tenevo, a farmi tutta bologna by night.
lo so, è una vita che dico che sto per arrivare. ma, di caricarmi su un treno che fa quel percorso, ancora non so se mi va. è che i gradini dei treni sono altissimi, e a me sembra di essere troppo pesante per salirci su. poi però mi torna in mente di quando, sul treno che portava me a roma e te in calabria, ho fatto volare con la borsa il cappello di quella signora, e mi viene ancora da ridere a ripensare alla sua faccia. e se mi concentro su di te, sulla signora e sul suo cappello, magari tutta questa pesantezza se ne va.

Addì 1 octobre anno di dio 2007

(bononia)

E' il primo ottobre, sono le 9.53, tempo soleggiato, ma umido e freschino (siamo sui 15 gradi).
Questo blog per me è un esercizio. Un po' perché mi obbliga a riflettere su di me, cosa che peraltro mi viene abbastanza facile, ma soprattutto perché crea un ponte.
Un ponte fatto di barche, mobile, precario, ma non provvisorio.
Un'idea di ponte, un progetto di collegamento fra due realtà.
L'altro po' di esercizio è la scrittura a quattro mani. Non vorrai mica arrivare a 65-70 anni all'Avana, nella nostra suite già prenotata all'Ambos Mundos, così, senza nessuna preparazione, e improvvisarci autrici della pietra miliare della letteratura del ventunesimo secolo (almeno per quanto ci riguarda).
Ci vuole affiatamento, allenamento a superare gli scazzi quotidiani, gli sbalzi d'umore, i vuoti della comunicazione, gli stand-by del pensiero.
Mica potremo citare a vanvera versi di Macbeth e pensare di cavarcela così.
Non avremo mica spie sotto le spoglie di gestrici di locande da ricamarci sopra.
Ci serviranno argomenti concreti, flussi di coscienza solidificati da sciogliere sulla tastiera.
Va bene che saremo vecchie e forse un po' più atarassiche, ma insomma non si può mica far affidamento sulla saggezza della senescenza.
Detto ciò.
Il libro di Paolo Nori non l'ho letto, non so se lo leggerò a breve.
E che dio mi perdoni non conosco assolutamente la discografia di Guccini.
Però so dov'è viapaolofabbriquarantatré. Adesso. Prima neanche quello.
Comunque non mi sono mai sentita rappresentata da nessun esponente della bolognesità in ambito televisivo-massmediologico. In effetti a domanda:che cos'è la bolognesità? non saprei proprio cosa rispondere. A proposito: cos'è la romanità?

Piuttosto, stavo pensando.
A proposito delle parole delle opere e financo delle omissioni.
E' che o si paga un po' ogni giorno la propria codardia, la mancanza di coraggio di essere fino in fondo ciò che si è. (Cioè gente che tendenzialmente starebbe sul divano a fissare il soffitto, mangiare solo pizza e parlare e parlare e magari buttare giù anche una notevole quantità di alcool, chiedendosi come sarebbe andata se) E allora si lavora, si fa, si briga, ci si stanca e ci si fa violenza.
Oppure si ha il coraggio, la sfrontatezza, forse anche l'incoscienza di essere ciò a cui gli dei mono e politeisti ci hanno condannato. E si paga. Tuuto in una volta. O in comode rate. Ma non giorno per giorno.

Detto anche questo.
La tua prodigiosa memoria mi obnubila, come al solito.
Mi ricordo il pesce crudo, la febbre, le riflessioni sui massimi sistemi a tarda ora.
Ma il cappello, le ultime parole... (Così mi porto avanti col prossimo post di commenti/risposte)
Mi ricordo in più però la colazione prima che tu partissi.
In un posto che poi credo sia stato inghiottito dalla terra, perché non l'ho più ritrovato. Oppure è come quelle isole che emergono e vengono sommerse ogni tot tempo, o al cambiare della luna, delle maree, di non so più cosa...
Ecco forse quel caffè lì è soggetto alle melazete.

E torna, chista casa attende solu attìa.

(PS: hai già perso il primato di prima estimatrice del pneumogiaciglio)

lunedì 24 settembre 2007

i treni hanno qualcosa a che vedere col principio e con la fine (o. soriano)

(roma, stazione termini)

partono. partono sempre. a volte ti sembra di non aver fatto altro, nella tua vita, che vederli salire su un treno e andarsene. o guardarli mentre accompagnavano te, alla stazione. mentre vedevano te, salire su un treno e andartene.
ami le stazioni. ami i treni. ma quelli che fanno su e giù tra roma e milano, iniziano a pesarti. non riesci a cristallizzarti nel momento in cui il treno arriva. ti resta addosso, ogni volta, il momento in cui riparte. perché hai sempre paura che sia l’ultima volta.

ti ricordi ogni arrivo e ogni partenza. ti ricordi un poeta nascosto dietro una grande vasca. ti ricordi quando i capelli prendevano una falsa piega nel sonno. ti ricordi quando arrivavi da sola in stazione centrale scendendo con l’altro treno a cadorna. ti ricordi che ripartire da sola non ti piaceva. ti ricordi qualcuno che camminava piano verso roma, trascinando nel bagaglio la sua paura. ti ricordi che alla carrozza dieci si erano rotti i freni. ti ricordi di quanto certi addii riescano a dilatarsi. ti ricordi due persone in piedi alla fine del binario. ti ricordi il sedile rosso di un saluto senza diritti su nessuno. ti ricordi amici incontrati di sera aspettando eurostar in ritardo. ti ricordi libri scambiati prima della partenza dell’ultimo treno. perché hai sempre paura che sia l’ultimo treno.

ti restano oggetti con cui giocare, presi per te in posti lontani. hai bambole russe e stoffe africane e collane sud-americane. ti regalano sempre la lontananza. hai smesso di credere che si possa essere vicini. hai smesso di credere che un giorno si troverà un luogo a metà strada. ma hai la necessità di credere che dall’altra parte del treno, prima o poi, andrà tutto bene. anche se tu non puoi fare nulla. perché sei sempre troppo lontana.

venerdì 21 settembre 2007

pensieri parole opere e soprattutto omissioni

(roma)

quello che dirò fra poco, nel quartiere-paese: ciao, un pacchetto di.
quello che penserò davvero: ciao, figlio della tabaccaia. tipo, del sesso, io e te, senza patogene implicazioni sentimentali, così, giusto per?

quello che dirò verso le sette, in una libreria in centro: un romanzo che nella complessità dell’intreccio si sostiene su un sapiente equilibrio di etc. etc.
quello che penserò davvero: vi odio. odio parlare in pubblico, odio voi che siete il pubblico, odio me stessa che vi parlo e odio questa brillante artista emergente che in quanto mia amica mi ha costretta a venire qui a fare questa figura da idiota. odio i vostri sguardi stolidi mentre vi lusingo con termini come eterodiegetico e fabula e, mentre quello che sto pensando, molto semplicemente, è che questo romanzo non vi piacerà e se vi piacerà sarà perché non avete capito un cazzo; perché qui dentro c’è scritto che voi tutti vi dividete in due categorie, chi fa schifo e chi fa pena. non siete fra coloro che si salvano, e questo lo vedo dai vostri vestiti, dai vostri capelli, dai vostri sorrisi, dai vostri occhioni truccati e opachi. nel migliore dei casi galleggiate ed è inutile che vi dica come, e siete pieni di giustificazioni e buona volontà, e vi dispiacerà per il protagonista e lo prenderete in simpatia perché in fondo empatizzate, perché avete passato una vita ad abbassare gli occhi e la testa e la schiena, sorretti dalla gloriosa convinzione che avevate dei motivi nobili per farlo, e io qui vi dico che il vostro unico motivo nobile era, è e sarà che avete paura. e questo noi dall’altra parte del tavolo col microfono lo sappiamo, perché abbiamo abbassato gli occhi anche noi e abbiamo avuto paura anche noi, e quando abbiamo rialzato gli occhi abbiamo comunque continuato ad avere paura e abbiamo pagato così tanto che abbiamo deciso di festeggiare ogni nostro errore perché ci restasse almeno la festa dopo la sconfitta. se il nostro motto, qui, è che gli errori servono per andare con lo spumante lì davanti, un motivo ci sarà. a parte il fatto che da queste parti si tende naturalmente all’alcolismo.

quello che dirò verso le nove, alla stazione: ciao.
quello che penserò davvero: non. pensare.

mercoledì 19 settembre 2007

Elite con l'accento acuto sulla prima e che nelle maiuscole è un casino

(siam poi gente delicata, noi bolognesi)

Questo tuo post dal colore ambrato e sapore di muschio, caciocavallo e fichi mi sorprende.
Non è nel tuo stile, non trattandosi di flusso di coscienza.
In quanto parlare, anzi scrivere da soli e per sé soli serve a prendere coscienza.
Il fatto poi che io sia un'asociale e non abbia abbastanza stima di me stessa per obbligare tutti quelli che conosco a leggere e commentare i cazzi miei, e tu scriva cose che abitualmente lasciano con la bocca aperta, privando il lettore di qualsiasi facoltà di rispondere o semplicemente reagire, è un altro conto.
Di solito leggo i tuoi post ogni giorno. Ma non rispondo. Ne prendo atto. Lo so, le vecchie abitudini sono dure a morire.
Comunque, dopo i pizzini, ecco l'ennesima auto-imposizione: non userò più i commenti. Mai. Risponderò con un post (sempre se riuscirò a chiudere la bocca).
Che io ci penso, e tanto, alle cose, ma ho decisamente più facilità a dire che a scrivere (non parliamo poi del fare).
Oppure no, è solo questione di tempo.

Per inciso, noi lurker avvezzi diremmo OT, sta per uscire/è uscito il nuovo di Paolo Nori, che parla di bologna e bolognesi.

mio, tuo, nostro

(roma)

sì, beh, non mi piace che sia mio/nostro. lo preferirei nostro/nostro. soprattutto perché per molto tempo, quasi tutto il tempo, sono stata io a considerarlo tuo/nostro. perché l’idea era stata tua, il nome l’avevi scelto tu, i colori e la grafica anche, etc.

ma soprattutto l’idea. perché a me, dei blog, non me ne fregava niente. tanto che prima che nascesse questo, non ne avevo letto mezzo. né avevo mai avuto la minima curiosità di. poi, chiaro, il giochino mi ha appassionata, mi entusiasmo subito, io, si sa. ho iniziato a girare per blog e mi sono fatta una cultura, anche. ho scoperto che c’è una specie di elite (non mi ricordo mai dove va l’accento) dei blog. ho scoperto che ci sono dei “bloggers per antonomasia” (mica pizza&fichi). ho scoperto che c’è gente che quando commenta, lo fa tipo critico letterario: bel post questo, non il tuo solito stile, qui, questo invece, no, non è all’altezza della media, eh.

e quindi continuo a chiedermi perché, i blog. io, semplicemente, perché da sempre, dove c’è uno spazio bianco, ci scrivo dentro. perché non sono capace di parlare, e questo è un gran casino, per me, perché ho troppe cose da dire o semplicemente da espellere. così non ci ho messo molto ad occupare questo spazio, ad allargarmici dentro e, dopo un po’, scavarmici una nicchia comoda. anche se continuo a non abituarmi all’idea che chiunque possa leggermi. e quindi continuo a scriverci dentro con troppa leggerezza. per esempio, ieri ho scoperto che non è molto saggio parlare d’amore in un blog, soprattutto perché nei blog il tempo si ferma lì dove scrivi, ma poi la realtà invece continua, e il blog lo supera e poi lo doppia anche.

è che questo posto doveva essere un modo di comunicare fra noi che andasse oltre le mail, che partisse da lì, da una realtà in cui siamo amiche ma lontane, e che trovasse altro. a me sembra, anzi, così è, che invece niente più mail e niente blog. niente blog nostro, ma di volta in volta o mio o tuo. più che altro mio, causa mio pessimo carattere e tua pigrizia; tradotto, mia continua patologica necessità di trovare un modo qualsiasi per lasciarmi scivolare le cose dalle dita e guardarle allontanarsi sui tasti, sperando che disperse in rete si allontanino davvero; tuo inattaccabile rifiuto di scrivere di qualcosa che ti tocchi davvero e che vada oltre la scorza.

mi piacevano di più i bei vecchi tempi dei forum, enormi metablog in cui a scrivere eravamo a decine (tranne te, come al solito, che leggevi in silenzio). lì, non mi rivolgevo mai a nessuno, ma c’era un mucchio di gente che mi rispondeva; qui, mi rivolgo a una persona e mi sembra sempre di parlare da sola.

s.

martedì 18 settembre 2007

Odio.Questo.Fottuto.Touchpad.

(Tirol über alles)

Entro in questo tuo/nostro blog come in casa dei miei genitori da un anno a questa parte: è sempre casa mia, ma ringrazio prima di uscire.
Mi sento un po' latitante, da questo tuo/nostro blog.
Percui, visto che il tempo e lo spazio mentale latitano, anche la mia comunicazione sarà latitante: pizzini e registratore siano.
Perciò fa che non svieni se ogni tanto trovi un post telegrafico-esistenziale.
Fa conto che sia un biglietto sul frigo, tipo compra le zucchine quelle-scure-non-quelle-chiare o ricordati di buttare il pattume.
Il tuo pessimo carattere e la mia pigrizia non avranno la meglio.
Ce la possiamo fare, ce la dobbiamo fare.

Ah, meno uno.

Stray strong between 20th and 23rd.

venerdì 14 settembre 2007

bologna dreamin'

(roma, oniricamente bologna)

per dire, pennuta, che io non solo ti penso, ma ti sogno anche. credo che sia stata la pizza con la ‘nduja di ieri; comunque, il sogno è che.
arrivo a bologna. ma è una bologna un po’ diversa, tipo, scenario post-apocalittico. anche il tuo taglio di capelli è molto post-apocalittico. e il tuo modo di vestire, ma di questo ne parliamo dopo.
la città è divisa in due: c’è una parte centrale, sollevata rispetto al resto, che sembra ancora normale, ma è inaccessibile, protetta da mura e filo spinato e. poi c’è la parte periferica che è, praticamente, solo degrado e cemento e altro cemento. noi stiamo qui, in un albergo ex di lusso. tu sei venuta a stare in questo posto dopo che la tua famiglia è scomparsa; e quando dico scomparsa intendo proprio scomparsa: il tutto ha a che fare con degli ufi crudeli, il che dimostra come il mio inconscio stia subendo un po’ troppo l’influenza di un altro blog. comunque.
vivi in questo albergo, insieme al tuo gruppo. vestite in modo folle, e ne andate anche fieri. passate il vostro tempo libero a cercare capi di vestiario totalmente assurdi. tipo, spennata, ti dovresti vedere, come stai bene con certi completini scozzesi e tirolesi. il tuo ex, l’uomo più bello del mondo, se ne va in giro con un poncho o con mantelli vari, ma essendo l’uomo più bello del mondo può farlo. attualmente è fidanzato con un tuo amico gay, che assomiglia a una versione diciottenne di jack di will&grace. nel gruppo ci sono altre persone, principalmente donne con colori di capelli che nemmeno io ho mai osato provare. ho avuto la vaga percezione che ci fosse anche un tuo fidanzato, ma non l’ho mai visto. i miei ossequi a colui che tutto puote, comunque. ogni giorno vi dividete in turni e andate a presidiare una zona della periferia post-apocalittica (cosa controllate? gli ufi crudeli?). ad esempio, tu una mattina esci e mi dici, se ti va di venirmi a trovare oggi faccio la guardia sotto il ponte nord della ferrovia.
la camera che dividiamo non è nemmeno male, e soprattutto tu possiedi un mangianastri con porta usb, che è il mio vero sogno segreto: poter riversare sul lettore mp3 tutto il contenuto delle centinaia di cassette che ho.

o.t. qualcuno potrebbe, per favore, inventare un mangianastri con porta usb? assomiglia a un normale mangianastri con radio, e va a pile, delle strane pile quadrate. grazie.

una mattina la versione diciottenne di jack viene da me con della roba che è vernice che sembra droga o droga che sembra vernice, e che serve a combattere gli ufi crudeli. scatta l’allarme, e iniziano a darci la caccia sui tetti di cemento e le strade di cemento della periferia di cemento. poi, ho cambiato sogno, mi sono ritrovata in macchina lungo le coste della sicilia. avevano i loro problemi con gli ufi crudeli anche lì, ma essendo fuori zona non te lo racconto. spero che ve la siate cavata tutti e che non vi abbiano catturati. fatemi sapere.

lunedì 10 settembre 2007

un altro mondo è possibile?

(roma, piove)

è che è la settimana del mio compleanno. quindi non sono di pessimo umore perché è lunedì. sono di pessimo umore e basta, e continuerò ad esserlo fino a domenica. e poi forse continuerò anche oltre domenica. per giungere là, dove il pessimo umore dell'umanità non era mai giunto prima.
odio i compleanni. odio i compleanni di tutti, ma soprattutto il mio. e odio compiere anni pari. ho deciso che se il diconiglio scende a roma, allora, ok, sono disposta ad accettare che domenica sia il mio compleanno. altrimenti, no. quest'anno si salta un turno.

ci tenevo a dire a certe vegetariane di mia conoscenza, che si sono molto spaventate al suggerimento di gio di mangiare salsicce non per le salsicce in sé, ma per il rischio che le cucinassi io, che:
- ogni tanto, in occasione di particolari congiunzioni astrali, persino io riesco a cucinare roba passabile.
- gli amici stanno lì per essere felici quando sentono che stai bene, per esserci e basta quando sentono che non stai bene. porsi il problema di non stare bene e quindi essere un peso per un amico è una cazzata. in un mondo perfetto tu staresti sempre bene, non saresti vegetariana e cucineresti sempre tu. in questo mondo, ogni tanto non sei esattamente al massimo della forma (mettiamola così), mangi roba verde e scansi i pezzettini microscopici di derivati suini dall'insalata di riso, e quando vieni da me andiamo a prenderci una pizza dagli egiziani all'angolo così nessuno si intossica. va bene così. mi sono consultata con gli egiziani all'angolo e anche loro sono d'accordo.
e comunque, come è stato detto, un altro mondo è possibile.

l'italianità nel mondo

(roma, italia, mondo)

ho sentito una quantità sconfortante di persone, persone che in linea di massima sarebbero anche sensate, che in altri tempi e in altri luoghi si sono mostrate in grado di esprimere concetti non del tutto deliranti, dire che il suo più grande merito sia stato quello di esportare l'italianità nel mondo.
spiegatemi. cos'è l'italianità? come la si esporta? chiunque sia famoso all'estero ha esportato l'italianità nel mondo? un sarto, un mafioso, un cuoco, un attore, un cantante, un politico, un calciatore, un nobel, fanno tutti parte della categoria degli esportatori di italianità nel mondo?
e quelli che l'italianità nel mondo non ci tenevano affatto a esportarla, ma l'hanno dovuto fare per forza, perché della loro italianità in italia non gliene fregava niente a nessuno? i cosiddetti cervelli in fuga, che peraltro è un'immagine davvero raccapricciante (visualizzo sempre 'sti fagotti grigi e molli che fuggono saltellando qua e là).
e poi. il suo più grande merito?
io di lirica non capisco niente e i grandi eventi a scopo benefico li guardo con sospetto. ma mi dicono che fosse un eccelso tenore, e che in effetti grandi cose, con la sua fondazione, le abbia fatte.
quindi a uno che è stato un grandissimo tenore, e che ha aiutato un mucchio di gente, deve essere riconosciuto, come più grande merito, quello di avere esportato l'italianità nel mondo?

il lunedì mattina, in genere, io mi sveglio ancora più polemica, infastidita e spaccapalle che nel resto della settimana. ma poi mi passa. più o meno verso martedì.

martedì 4 settembre 2007

e comunque, male che vada, ci sono i piccioni viaggiatori

(roma)

sto cercando di convincere il cellulare che non è che, visto che l’adsl ha deciso di funzionare, allora lui è tenuto a smettere di farlo. possono tranquillamente coesistere nella mia vita. comunque adesso si è acceso, il che mi ha ovviamente molto preoccupata. sono andata a controllare e ho scoperto che è entrata in crisi esistenziale la posta.
questa è una discussione con i vari aspetti della mia vita che porto avanti da anni. la mia teoria è che se una cosa va bene non devono necessariamente andare male tutte le altre, per compensare. può tranquillamente andare tutto bene, senza che nessuno debba farsene un problema.
alla fine il concetto pare sia stato assimilato, con un solo piccolo neo: è stato assimilato al contrario. siccome una cosa va male, non è che qualcos’altro debba andare bene per compensare. può andare tranquillamente tutto male.
beh, io sono contenta lo stesso. l’idea di fondo è passata. poi, è più facile, secondo me, intervenire e rovesciare qualcosa di completamente sbagliato, che non qualcosa che un po’ va bene e un po’ no.
credo.

domenica 2 settembre 2007

e portano pure sfiga

(roma – misano)

pronto? ciao, vieni a pranzo da noi? no? perché? chi corre dove? ma scherzi? ma non vieni per vedere quella roba, ma sei matta? ma lo sai chi c’è? ma un pranzo fantastico, tutte persone di spessore... sì, artisti di avanguardia... eh, le avanguardie... la mia amica, quella regista, quella che ha fatto uno spettacolo sull’uomo in coma... sì, ma suggestivo, guarda, toccante... no, un atto unico... no, lui è in coma tutto il tempo... eh, te l’ho detto, tutta una questione di suggestioni... ma come che palle? ma è avanguardia, scusa! no, dai, poi t. ci legge la sua ultima commedia, quella sull’imperialismo amerikano... sì col kappa... e poi c’è il fidanzato... no, di lei... quello dell’installazione bianca... dai, quello che gli hai chiesto se faceva l’imbianchino, no, ti trova simpatica... ma per favore, poi, scusa, pure quello, le tasse, bella figura... ma noi, che c’entra noi, questa è arte, è un’altra cosa, e poi quello è bollito, ormai, ma gli sta bene... ma figurati che come minimo cade... ma sì, ma quello secondo me esce dopo due giri... ma come vaffanculo? ma come vaffanculo voi e le avanguardie? ma... (click).

le avanguardie si trovano spesso ad essere superate dal resto dell’esercito
(ennio flaiano)


a parte tutto, sono molto affascinata dai cambiamenti in corso sullo spot dello scoiattolo che salva la foresta. mi devo essere persa qualche rovente polemica, mi sa. che peccato, era uno spot così d’avanguardia.

sabato 1 settembre 2007

chi va e chi resta

(roma, un po’ più vuota)

sono successe molte cose in questi due anni. e molte volte avrei avuto bisogno di chiamarti. e del resto è sempre andata così. che io chiamavo sempre, quando stavo male. tu, mai. ed è andata come è andata. ho cercato di imparare qualcosa dalla tua morte, ma non ci sono riuscita. però ho pensato, spesso, che avevo molte cose da imparare dalla tua vita. ci sto ancora provando. non so quanto tempo ho per farlo, ma faccio del mio meglio.

ti ricordi il signor d.? è tornato, anche se sarebbe più corretto dire che non è mai andato via. coldìo ora siamo amici. non ho notizie di manolo. stefano. non ha più voluto vedermi, né parlarmi, né. non so se sia venuto a trovarti. io e il barone siamo venuti, insieme. non avevo dietro scirocco, da farti ascoltare. ma ti ho portato la casa dei doganieri. io spero che non l’abbiano tolta. l’abbiamo incastrata dietro il vaso dei fiori finti. te l’ho scritta a mano, su un foglio, e ti ho comprato una cornice. davvero, spero che non l’abbiano tolta. non so. da gente che ha scelto quella foto, e che ha messo la tua vera data di nascita, io mi aspetto di tutto.

ho i capelli corti. lo so che le doppie punte fanno volume, ma a me non piacciono.

eri l’allegato a della mia tesi. eri la persona che volevo diventare.

ed è passato pochissimo tempo. dal momento in cui ci siamo incontrate, per la prima volta, davanti a un ristorante cinese, e tu avevi degli occhiali da sole orrendi (scusa, ma erano davvero brutti). dalla sera in cui mi sono messa con stefano, e la nostra prima notte insieme l’abbiamo passata da te, la sera del tuo compleanno. che poi sarebbe oggi. dal capodanno in cui ha telefonato il signor d., la tua espressione mentre guardavi la mia espressione mentre immaginavo la sua, lontano centinaia di chilometri in un mondo freddo. dall’ultima volta che ci siamo viste, sulla panchina nel parco. è una storia di anni, la nostra, ma a me sembrano giorni. è che a volte penso che sarebbe tutto molto più facile, se potessi prendere quell’autobus assurdo e farmi la nomentana e riconoscere la fermata giusta e scendere e poi fare la strada sterrata e citofonare e venire da te e mangiare insieme cose che ci fanno male e parlare e stappare bottiglie con le tenaglie e incastrare cassette e macchinette per rollare e fare dispetti alla iattapecora e restare a dormire lì e la mattina dopo ripartire. sarebbe tutto molto più facile, credo.

Tu non ricordi la casa dei doganieri
sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:
desolata t'attende dalla sera
in cui v'entrò lo sciame dei tuoi pensieri
e vi sostò irrequieto.
Libeccio sferza da anni le vecchie mura
e il suono del tuo riso non è più lieto:
la bussola va impazzita all'avventura
e il calcolo dei dadi più non torna.
Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s'addipana.
Ne tengo ancora un capo; ma s'allontana
la casa e in cima al tetto la banderuola
affumicata gira senza pietà.
Ne tengo un capo; ma tu resti sola
né qui respiri nell'oscurità.
Oh l'orizzonte in fuga, dove s'accende
rara la luce della petroliera!
Il varco è qui? (Ripullula il frangente
ancora sulla balza che scoscende...).
Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.
(E. Montale)


tam-pù

venerdì 31 agosto 2007

astronomia sentimentale

(roma, universo)

le coppie si comportano un po’ come le stelle. alcune bruciano all’improvviso, diventano enormi giganti rosse, si consumano, stingono in pallide nane bianche, in attesa di spegnersi.
alcune esplodono. e fanno davvero un gran bel botto. alcune collassano su se stesse e diventano buchi neri.
i vulcaniani osservano, riflettono, tacciono. inarcano il sopracciglio sinistro, ma non intervengono. al limite, tirano fuori le lenzuola degli ospiti e mettono in lavatrice l’accappatoio bianco e blu. il tutto, schivando frammenti di stelle esplose e cercando di non farsi risucchiare dai buchi neri. che hanno già il loro da fare ad allontanarsi dal proprio, in cerca di altri pensieri, di altre fortune.

giovedì 30 agosto 2007

repentini cambi d'umore

(roma)

è abbastanza tipico delle donne. degli uomini non so. però a me piace.
che stai lì a ripeterti, sono una cretina, anzi un'idiota, no una cretina, no un'idiota, e dopo un po' ti arriva l'illuminazione.
no, veramente, è ####### lui.

(è stata apportata una censura al testo originale perché tanto lo so che quando mi passa poi mi dispiace. e ci manca solo che mi dispiaccia)

mercoledì 29 agosto 2007

e basta...

(roma)

e oggi ho gironzolato un po' con la mia amica; che è sposata, e che ha passato l'intero pomeriggio a lamentarsi del marito. insomma, tutta la gente fidanzata/sposata che conosco, negli ultimi mesi sta dando completamente di matto.
queste coppie scoppiate iniziano a darmi ai nervi. è tutto un continuo battibeccare e lamentarsi e litigare e polemizzare e. un incubo. tutto un ripetersi di, questa cosa non dirla a lui, questa cosa non farla sapere a lei, e perché lui mi ha risposto male, e lei ha questo carattere, e lui è così, e lei è cosà...
cheppalle.
se siete innamorati, state insieme, se non lo siete, lasciatevi, se siete perplessi, prendetevi la classica pausa di riflessione, andate, scopate, cornificatevi, fate un po' quel che cazzo vi pare, ma smettetela. cioè, io vi capirei pure, se veniste con gli occhioni lucidi perché l'altro/a vi ha lasciati. ah, se non vi capisco io. ma qui nessuno lascia nessuno, continuate a stare insieme e odiarvi. ma cosa siete, completamente dementi? c'è un concorso per la coppia peggiore, vince chi non si sopporta più, chi viene soffocato dalla nausea al solo sentire nominare la sua dolce metà, chi sogna di accoltellarsi alla schiena, chi alla fine lo fa davvero?
e soprattutto. che si vince? no, davvero. cosa diamine state vincendo?

sabato 25 agosto 2007

felice non compleanno

(roma)

tra circa tre settimane sarà il mio compleanno, e mia madre mi telefonerà alle 16.00 precise, come ogni anno, per ricordarmi che:
- sono nata prematura fregandole un mese di ferie per maternità
- alla mia età lei era già sposata
- alla mia età lei aveva già una figlia di tre anni
- alla mia età lei aveva già un contratto a tempo indeterminato.

io sospirerò, ricordandole che:
- le ho risparmiato un mese di mal di schiena e vene varicose
- il suo matrimonio è allegramente naufragato già da un bel po’
- sua figlia è una totale delusione sotto qualsiasi punto di vista
- era un lavoro di cui si è lamentata ogni giorno fino alla pensione (anticipata).

tra una settimana sarebbe il compleanno di una persona che non lo festeggerà, né quest’anno, né il prossimo, né mai più, perché è ormai passato da quasi due anni, il suo ultimo compleanno.
io me lo ricordo, perché in qualche modo si deve riparare. in qualche modo si deve bilanciare. in qualche modo, noi che restiamo, dobbiamo pagare pegno ai nostri sensi di colpa, e lo facciamo in modi vari e ameni; sobbarcandoci viaggi infiniti verso tombe con foto che non ci piacciono; ricordando date ormai prive di torte e regali; salutando le domeniche in settembre che non sono più dedicate al cucinare schifezze atte a distruggerci il fegato; sentendoci stringere qualcosa, dentro, quando qualcuno ci viene in mente all’improvviso; qualcuno che, con somma ingratitudine, non vorremmo più ricordare, a meno che non ci venga concesso il ricordo privo di dolore, privo di rimorso, privo di altro che non sia l’essere stati semplicemente felici di esserci incontrati.

giovedì 16 agosto 2007

maciste contro oblomov

(roma, quartiere-paese)

mi piace restare a roma ad agosto perché mi affascina la città che si ribalta in una settimana. soprattutto nel quartiere-paese dove vivo. soprattutto dopo ferragosto.
è tornata la tabaccaia, che l’universo l’abbia in gloria. e il di lei figlio, e che l’universo abbia in gloria soprattutto lui (mi fa sesso, quel ragazzo. si può dire in un blog?).
l’adolescente che si credeva flea, ma che ora si crede paul, è partito, e un po’ mi manca. oggi nessuno ha massacrato i beatles, nemmeno per 5 minuti. ho cercato di sostituirlo io cantando sotto la doccia, ma non è la stessa cosa (io sono peggio, però non faccio vibrare le finestre).
soprattutto, è tornato il mutanda, secondo l’orrida ma perfetta definizione che gli ha appioppato quella del terzo piano. il mutanda è un soggetto raccapricciante che passa le sue giornate passeggiando in terrazzo, in mutande (appunto), a parlare al cellulare. esattamente di fronte al suo balcone ci sto io, che passo le mie giornate sdraiata sul divano, in tanga, a rileggere l’antologia di spoon river. lo so che messa così sembra una guerra d’idee o uno di quei film tipo maciste contro zorro, ma in realtà nessuno fa la guerra a nessuno; semplicemente assecondiamo le rispettive nature.
già da lunedì quasi tutto tornerà a scorrere come prima, e tra dieci giorni ogni cosa sarà esattamente come l’avevamo lasciata, e agosto se ne andrà senza lasciare traccia. interromperanno le repliche di saranno famosi su rai3, gli autobus non passeranno mai non perché c’è l’orario estivo ma perché c’è il traffico autunnale, flea-paul si troverà una nuova ragazza e si identificherà in un altro bassista, comincerà a piovere, verrà il mio compleanno, io litigherò col mio ex, me ne andrò a bologna, troverò un nuovo lavoro, a natale scenderò giù dai miei, tornata a roma mi farò un paio di storie inutili giusto per ribadire che sono nonostante tutto ancora viva, a primavera lascerò il lavoro, in estate mi affaccerò sul balcone a fumarmi una sigaretta benedicendo la tabaccaia e mi commuoverò quasi perché, ancora una volta, il mutanda sarà tornato.
che palle.
cambiamo qualcosa. prossimamente su questi schermi, i miei buoni propositi per il prossimo settembre-agosto. tipo, trovare un fidanzato, un lavoro serio, fumare di meno, ridurre l’alcool... sì, la deriva alla bridget jones è ormai inarrestabile. aiuto.

martedì 14 agosto 2007

tappetini nuovi, vita nuova?

(roma, vulcano)

oggi, a tre anni dal trasloco, ho finalmente comprato il tappetino del bagno. già che c’ero ne ho comprati due; l’altro sta davanti al letto. cioè, ultimamente ho preso l’abitudine di dormire su un materasso per terra, per cui l’altro sta davanti al mio naso, più o meno, ma non importa.
ieri ho scritto una cosa vera. a una persona vera.
ma stanotte penso qualcosa di incerto su una persona incerta.
io non mi ricordo chi ha detto che non ci si deve mai innamorare di qualcuno che abbiamo visto solo di spalle, e non so se avesse ragione.
in effetti in questo momento non so niente.
a parte che mi piacciono molto i tappetini che ho preso.
e che ogni mio tentativo di usare la logica e comportarmi da persona razionale è destinato a fallire perché, semplicemente, io non sono una persona razionale.
se penso che provo qualcosa per il mio ex glielo dico, e pace.
se penso che provo qualcosa per qualcun altro, cerco di non dirglielo, perché mi rendo conto che non è proprio il caso, ma mi pesa.
se penso che ho passato un anno a cercare di non provare niente, e la persona che mi ha fatto uscire dalla tana è proprio quella con cui dovrei essere razionale, mi pesa ancora di più.
poi però faccio un supremo sforzo vulcaniano per mettere ordine in me stessa, e quello che trovo è il caos. non so cosa dire a chi. non so cosa provo per chi. credo che andrò dal tappetino in bagno a dirgli che lo amo gratis, e dal tappetino in camera a dirgli che mi manca. poi li chiudo tutti e due nell’armadio e dormo sul divano.
farò così.
che donna.

lunedì 6 agosto 2007

il diario di bridget jones

(roma, come se fosse londra)

a parte che la scena della rissa fra mark darcy e daniel cleaver secondo me è uno dei momenti più alti del cinema di tutti i tempi.
a parte che sono ubriaca.
a parte che io ho parecchi centimetri di altezza di più e parecchi chili di peso di meno.
poi c’è il fatto che.
l’attitudine a parlare in pubblico è la stessa.
la sfiga con gli uomini è la stessa.
la capacità di farsi dei film pazzeschi col peggior bastardo appena incontrato è la stessa.
la sanità mentale di parenti e amici di famiglia è la stessa.
la quantità di sigarette fumate e vino bevuto è la stessa.
la follia di amici gay e amiche single è la stessa.
l’antipatia per le cene con i felicemente sposati è la stessa.
però, cazzo, io quegli slip zebrati non ce li ho.
a questo punto, tanto vale che.

venerdì 3 agosto 2007

va tutto bene

(roma)

novità.
convivo.
shockati? ribaltati sotto le scrivanie? no, tranquilli. sono sempre io. non vivo mica con un fidanzato. non vivo neanche, genericamente, con un uomo.
è che ieri c’è stato un piccolo, piccolissimo, insignificante problema tra due amici. ma proprio piccolo e insignificante e risolvibilissimo. infatti lei ha fatto le valigie ed è venuta a stare da me.
ma è per poco, perché adesso si risolverà tutto, andrà tutto bene.
no, è che lei questo blog ogni tanto lo legge, quindi ora ripetete tutti in coro: si risolverà tutto, andrà tutto bene.
la vera novità, invece, è che per una pura questione di statistica e roba così, secondo me l’uomo della mia vita si profila all’orizzonte. perché, il discorso è semplice. finché avevo casa libera, una camera da letto solo per me, etc etc, l’uomo della mia vita (che in quanto uomo della mia vita deve essere una calamità naturale, per forza di cose) non si è fatto vedere nemmeno da lontano. e certo. troppo facile.
ora che queste due camere cucina e bagno invece le spartiamo equamente tra single (ma va tutto bene, è per poco, si risolverà tutto), e quindi avere un uomo della vita in giro sarebbe terribilmente scomodo, imbarazzante e anche poco delicato nei confronti di lei, beh, vuoi mettere. ora sì che.
certo che non si fa vivo nemmeno adesso, io inizio seriamente ad irritarmi, eh.
detto questo, io andrei a fare la spesa. qualcuno ha una vaga idea di cosa mangia una vegetariana in crisi esistenziale?

giovedì 2 agosto 2007

..

(roma, milano)

se riuscirai a trovare una linea telefonica prima di partire.
o anche se non ci riuscirai, non importa.
tanto pensiamo sempre le stesse cose, nello stesso momento.
non so se ti è chiaro, ma io in questo momento sto pensando che voglio, fortemente, che tu stia bene. è che l’ho voluto fortemente per tantissimo tempo, e non è servito a molto, pare. io non ci sono riuscita. forse volerlo adesso vale di più. perché adesso non è, voglio che tu stia bene con me. è, voglio che tu stia bene. punto.
così forse è meglio, no? anche se sono altri piccoli punti che saltano. l’ombra di peter pan che non è stata cucita a dovere. e continua a staccarsi, giorno dopo giorno. anche il volerti bene fa saltare dei punti. ma è così che va, e basta.
continueremo a scrivere per noi.
continueremo a finire le cose con due puntini. non uno, che è un punto fermo. non tre, che sospendono in attesa di chissà cosa. due.
ci siamo inguaiati dall’inizio, con questa storia dei due puntini, mi sa..

lunedì 30 luglio 2007

anche gli alieni hanno problemi con le cose che finiscono. e cosa significherebbe questa parola, "realtà"? mai coperta.
s.

sabato 28 luglio 2007

parcheggi creativi

(roma)

l’avevate mai visto, voi, un cesso usato come tieniparcheggio?
va bene che in questa città tentare di parcheggiare è diventato sempre più estenuante. va bene che ci si attacca a tutto. però. “a tutto” dovrebbe essere un’iperbole.
in genere il tieniparcheggio per eccellenza è la persona che il destino ha situato accanto al posto del guidatore: scendi e tienimi il posto mentre io faccio il giro. che è una cosa che io odio fare, perché ho sempre paura di essere insultata picchiata e investita, nel frattempo. poi ci sono quelli che si vogliono mantenere il posto sotto casa, e usano gli oggetti più disparati; è una pratica che io detesto. provo del rancore vero, nei confronti di questi mentecatti.
però, uno si indigna davanti a una sedia. a una cassetta di legno. un vaso. un oggetto qualsiasi.
ma, un water?
come si fa a indignarsi davanti a un water usato come tieniparcheggio? non si può. ti viene voglia di citofonare e conoscerli. anche offrirgli un caffè al bar. però non puoi farlo, perché non sai dove parcheggiare. peccato.

mercoledì 25 luglio 2007

Liber, libri,...com'era?

(bologna - terra di gatti alieni)

Breve incursione per dire che uno dei miei blog di riferimento(nel senso che me lo leggo più o meno tutti i giorni), ha aperto un gruppo su anobii.
Ecco.
Lo voglio anche io.
Dunque, riepilogando:
- un manifesto
- un gruppo su anobii

Questa la lista della spesa per il prossimo week-end.

martedì 24 luglio 2007

lunga vita e prosperità

(roma – vulcano – roma)

considerato che

- questo controchip emozionale non si trova neanche a porta portese
- gente che nemmeno conosco fa rapporto ai suoi superiori accusandomi di emotività ipertrofica
- i miei più cari amici sono concordi nel definirmi completamente pazza

ho deciso che io divento vulcaniana.
dominio della logica e perfetto controllo sulle proprie emozioni. basta con la distimia. basta con quelli che mi dicono che sono impulsiva, emotiva, lunatica, psicotica, fuori come un balcone.
sono avvantaggiata da tre fattori:
sono bravissima a fare il segno v con le dita, e non è che riesca a tutti.
metà dei miei cromosomi provengono da pochi metri a sud di vulcano (l’isola, ma è chiaramente un segno).
adoro le orecchie a punta. preferisco quelle degli elfi, che sono un po’ più piccole, ma mi adatto.
sono pronta ad arrivare là dove nessun vulcaniano è mai giunto prima. un manicomio terrestre, suppongo, di questo passo.
(la presente annulla tutti gli sms e le mail spediti nelle ultime 36 ore)

domenica 22 luglio 2007

nel regno della noia, indosso pantaloncini principeschi (leyner. deve averla pensata dopo 10 giorni di bronchite nell’afa)

(roma?)

allora. c’è questo quartiere, a roma. del tipo, popolare, ammesso che questa parola abbia ancora un senso. palazzoni grandi e alti, case popolari, poco concesso alla vista. ti ci inoltri dentro perché c’è un posto dove devi andare per fare contenti i tuoi amici. un posto all’aperto. tu sei ben lieta di fare contenti i tuoi amici, potendo, ma qui, l’unico posto all’aperto dove si possa far qualcosa, a tuo parere, è il marciapiede lì davanti. comunque segui le indicazioni, e inizi a trovare cartoncini che ti dicono di non disperare e andare avanti.

ed è una cosa assurda. in mezzo a un quadrilatero di enormi palazzi di minimo dieci piani, massicci e gretti e pesanti, c’è una collinetta. minuscola. su questa collinetta minuscola c’è un casale. a due piani. con terrazze, e spiazzi, e mostre, e bancarelle che vendono libri a un euro, e persone che parlano di romanzi, e altre persone che suonano, e altre ancora che cucinano, danno da bere, hanno sempre un posacenere, se ti serve, e se hai perso l’accendino te ne regalano uno.

naturalmente è una distorsione spazio-temporale. c’è un qualche neurone che cerca di avvertirti che, innanzitutto, non è possibile. a priori. secondo poi, se guardi da fuori, non c’è tutto questo spazio, che invece vedi dentro. e per finire, la notte qui ha un altro colore. fai mente locale. con chi vorresti stare, qui? e la risposta ti sorprende, ma neanche troppo.

mercoledì 18 luglio 2007

controchip

(roma)

che poi, se penso a quel demente di data, che ha smosso giganti rosse e buchi neri per il suo chip emozionale. che io non so cosa farei, invece, per un controchip emozionale.
o per avere qualche antenato vulcaniano.
facciamo un manifesto del blog? che ogni tanto vado a rileggermi quello della isbn. voglio un manifesto anch'io.
brutto inizio di giornata. brutto.
muri ovunque.
e battiato canta canzoni che confondono e fanno credere e invece no.
le cose irrealizzabili sono irrealizzabili e le cose cretine sono cretine. e le cose cretine e irrealizzabili, beh, sì, anche qui vanno di moda.
fai qualcosa, pennuta.

venerdì 13 luglio 2007

dai, una via di mezzo. li metto a cinque post a pagina.

(roma)

ho ritirato le analisi. pare che la mia appendice, al momento, resterà lì dov’è. beh, ne sono sinceramente felice; la conosco da una vita e avrei sofferto a dovermi separare da lei. in compenso tutti gli altri valori sono sballati al ribasso, come al solito, e questo vuol dire che quando andrò dal medico, lui mi rimetterà a dieta all’incontrario. sono l’unica abitante del blocco dell’ovest a cui il servizio sanitario nazionale consigli caldamente un’alimentazione a base di grassi, dolci e schifezze varie. che, peraltro, è esattamente la mia dieta standard.
detto ciò.
perché una volta questo blog visualizzava sette post e ora ne visualizza tre?
che è quella roba là sotto?
perché non mi hai detto che era il tuo compleanno, che saranno 5 anni che te lo chiedo? (e che me ne scordo, sì, e allora? tu ridimmelo e abbi fede).
no. non esiste fase della tua vita in cui ti lasci alle spalle l’acne ma freghi sul tempo le rughe, se non sei naturalmente portata per. se sei una donna reale, non di carta o pellicola o colore ad olio, le probabilità che tu sia naturalmente portata per sono sotto lo 0,00000001 per cento.
certo che arriverà il giorno in cui smetterai di avere dubbi, e farti assillanti domande su ogni gesto fatto o parola detta da quando sei nata, e cercare coerenza e non trovarla o non cercarla ma trovare qualcosa che ti fa sentire in colpa perché non l’hai cercata abbastanza. certo che arriverà. prima o poi si schiatta tutti, chetticredi.
auguri, piumata creatura. ti mando regalo in mail.

giovedì 12 luglio 2007

mi sono sempre piaciuti, gli autobus

(roma)

in genere ti succede quando stai su un autobus. sei uscita prestissimo e il freddo faceva male alla gola e agli occhi, e fumarsi una sigaretta voleva dire tirare fuori una mano, per quanto protetta da un guanto, dalla tasca, e proprio non te la sei sentita. e alla fermata saltellavi sul posto, per non perdere sensibilità alle gambe. hai sempre sofferto il freddo più del caldo, ogni inverno aspetti la primavera quasi con dolore. e poi sei salita e ti sei seduta, e mentre guardavi fuori, senza preavviso, ti sei sentita addosso il sole. un po’ patetico, sbiadito, debole, ma un raggio di calore su una guancia, all’improvviso, ti è arrivato. se fossi capace di fare top ten, ma non ne sei mai stata capace nemmeno tu, diresti che uno dei momenti migliori dell’anno è quando ti arriva il primo raggio di sole addosso, attraverso il vetro di un autobus.
e in piena estate, quando ti ritrovi in una macchina a fumare e parlare, coi finestrini giù e le voci che sfumano basse nella strada deserta, ti capita di interrompere il filo dei pensieri per accorgerti che tu sei quella che sta ascoltando. e stai ascoltando problemi di qualcun altro. e dolori che non sono tuoi. e apri una piccola parentesi tua, nel mondo ingarbugliato dei tuoi amici e dei loro amori, ed è una parentesi che non fa male. è molto piccola, ma pura. priva di dolore. e ti giri verso il finestrino. perché, all’improvviso, è come se.