giovedì 29 novembre 2007

bologna

(roma, ma a bologna)
(finalmente)

dai balconi di bologna, la mattina, si vedono persone stanche che camminano verso lavori stanchi e salgono gradini stanchi.
dai balconi di bologna, la notte, si vede una strada grande e deserta e una bicicletta solitaria e luci che vanno via.
dai balconi di bologna, la mattina, si vede il capopalazzo che controlla che il quartiere vada come deve andare e che la somma della vita, dell'universo e di tutto quanto faccia sempre 42.
dai balconi di bologna, la notte, si vede il fiato che diventa bianco e si mischia al fumo, e verso nord-ovest ci sono muri altissimi.
sui balconi di bologna, di mattina, si può essere felici e confusi e pieni di entusiasmo, e di notte, felici, confusi e un po' soli. e non molto proattivi.
sui balconi di bologna, non importa più che ora sia, quando i treni partono in orario e si portano via il tempo e la luce e il buio.
sui balconi di bologna si fuma e non si sa nulla se non che fa freddo. molto.
sui balconi di bologna, ogni volta, si pensa a qualcuno, e ogni volta sembra sempre la fine del mondo.
per una volta, magari, è il paese delle meraviglie.

martedì 20 novembre 2007

questa mia pessima abitudine di dimenticare tutto in giro

(roma)

e continuo a guardarmi dall’esterno, a parlarmi in seconda persona, a sentirmi a metà; però ci provo. esco. faccio cose, vedo gente. vado all’opera, alle presentazioni dei libri, ai concerti, addirittura agli aperitivi. frequento corsi di yoga e di francese e di tutto quello che mi viene in mente di settimana in settimana. mando curriculum a responsabili risorse umane milanesi, con cui ho il coraggio di sostenere che il trasferirmi a milano mi renderebbe felice. che poi, a questo punto, perché escluderlo. tanto non mi cambia niente.
mi è venuto il dubbio che, magari, sento che mi manca qualcosa perché è ormai più di un mese che il mio corpo astrale se ne sta stravaccato sul tuo divano a litigarsi la pizza con la mou e a bere qualsiasi cosa di vagamente alcolico gli capiti vicino. ho il sospetto che gli sia passata la mania di urlare non mi avrete mai. comunque, tra una settimana me lo vengo a riprendere. perché, a priori, io voglio bologna, voglio il divano, la pizza a mezzi con la mou e qualsiasi cosa io riesca a bere. tutto il resto viene dopo. se poi verrà.
e poi non posso lasciare corpi astrali in giro per mesi. come lascio gli ombrelli ovunque, come perdo le sacche da viaggio chissà dove, come mi scivolano via di tasca le sigarette e gli accendini, come non mi ricordo mai dove ho lasciato i guanti. non è lo stesso, lasciarmi, perdermi, farmi scivolare via, dimenticarmi. ovunque io sia rimasta, torno indietro e mi porto via.

venerdì 16 novembre 2007

no, è che.

(roma)

ho provato.
ho fallito.
non importa.
riproverò.
fallirò meglio.
(samuel beckett)

lunedì 12 novembre 2007

ritorno al passato

(roma)

la de lorean, dopo le modifiche di doc alla fine del primo film, volava. il che poteva comportare dei rischi: chiaro che se qualcuno avesse lanciato qualcosa in aria, avrebbe potuto colpire un passeggero.
perché la de lorean volava.
la de lorean.
p.s.
dopo lunga discussione con e.:
io non sono ciò che tu leggi, ma sono ciò che scrivo (su questo lui non è pienamente d’accordo, ma fa nulla. basta dirgli “m e d i a t o” e se ne fa una ragione).
ciò che scrivo io coincide con ciò che sono, ma non con ciò che tu leggi. ergo, ciò che tu leggi, non coincide con ciò che sono.
un mal di testa, guarda.
comunque, secondo lui, tu hai sempre ragione.

sabato 10 novembre 2007

tu quoque, pennuta?

(roma)

ora anche la pennuta scrive in minuscolo, si diletta in flussi di coscienza ed è già ubriaca alle dieci di sera. adoro avere una pessima influenza sulle persone.

ieri sera, mentre leggevo il tuo post su come siamo o dovremmo essere on/offline, in tv c’era un dibattito sul delitto di perugia; il tema, internet e i blog. perché due degli indagati hanno, apriti cielo, un blog.
mi piace il dinamismo dell’informazione in italia. la settimana scorsa era tutta colpa dei rom, questa settimana è tutta colpa di internet, la prossima si vedrà. suggerirei, è tutta colpa di murakami, è tutta colpa di ratman, è tutta colpa degli ufi, o l’evergreen è tutta colpa dei cartoni animati.

comunque, pennuta, tornando a noi.

non sono diversa da ciò che scrivo. a differenza di te, non ho necessità di grandi arrovellamenti o illuminazioni o depressioni cosmiche: mi viene in mente una cosa, mi va di dirla, la scrivo. punto. poi, cosa ne venga fuori, nell’insieme, a me non è chiaro. sono pezzetti di me, non so che impressione facciano, non mi sono mai posta il problema. ovvio che un po’ compenso: se fuori sono più dura, se non mi piace ammettere il dolore, men che mai la paura, se con gli estranei (e non solo) tiro a cazzeggiare, poi qui ci riverso altre riflessioni, altri sentimenti, altre necessità. e comunque sono io, e potrei dirti che magari io sono più sincera qui dentro che non lì fuori, o magari no, ma sono seghe mentali. non riesco ad essere sempre pienamente me stessa con nessuno e in nessun luogo, neanche da sola, figuriamoci se posso mettermi a fare paragoni fra me qui, me lì e me chissà dove e con chi. sono sciocchezze da dibattito televisivo, a questo livello, secondo me. se poi il punto è che non sai bene chi sono, beh, non lo so bene nemmeno io, e quindi proprio non posso illuminarti a riguardo. posso solo darti un pezzetto per volta, e avvertirti che non è detto che alla fine il puzzle venga come raffigurato sulla scatola. sorry.

venerdì 9 novembre 2007

(l'avvento della penny press mi ha illuminato)

(bologna!!!comprate bologna!!!tutti i più raccapriccianti dettagli sull'omicidio del secolooo!!!un penny per bologna!!!)

pensavo: in realtà la mostra conoscenza reciproca è un'esperienza per così dire mediata.
Cioé io ti conosco essenzialmente per quello che scrivi, è quello che mi ha creato nella mente l'immagine di te. tutto il resto, gli incontri reali, ci si sono infilati dentro a questa struttura che ho in testa.
solo che, ad esempio, io e quello che scrivo siamo due cose molto diverse. io scrivo di solito cose su cui mi arrovello, oppure attimo in cui mi sembra di avere chiarissimo qualcosa, tipo ora, oppure scrivo le cose che penso quando sono di umore tetro e meditabondo, tutto ciò però non mi rappresenta. io di solito sono abbastanza diversa.
e allora mi è venuto in mente che potrebbe essere così anche per te.
magari sei una burlona, e io non me ne sono mai accorta.

ci ho messo quasi sei anni, ma mi sembra che il concetto sia abbastanza chiaro.

massimo coppola, brand:new, luglio 2001. per la pennuta.

(roma)

direttamente dal commento lì sotto. la frase più sensata ed esaustiva che io abbia mai letto su genova 2001. non per niente, nella lista sempre troppo lunga degli uomini della mia vita, massimo coppola detiene sempre, saldamente, la prima posizione.

"Due giorni dopo siamo andati a Genova, al G8. Siamo andati e siamo tornati. Come tutti. Come quasi tutti".
(m.c.)

mercoledì 7 novembre 2007

comunque

(roma)

ho qualche saltuario, lievissimo problema a far coincidere fra loro i vari universi in cui mi sposto, e ho il vago sospetto che ci sia proprio un problema di fondo, dovuto al fatto che dovrei muovermi in un universo solo.
a parte questo, va tutto bene.

(La tragedia principale della mia vita è, come ogni tragedia, un’ironia del Destino. Rifiuto la vita reale come una condanna; rifiuto il sogno come una liberazione ignobile. Ma vivo la parte più sordida e più quotidiana della vita reale; e vivo la parte più intensa e più costante del sogno. Sono come uno schiavo che si ubriaca durante il riposo: due miserie in un unico corpo. – F. Pessoa)

(E ora? Anche ora ci si sente come in due. Da una parte l’uomo inserito che attraversa ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana, e dall’altra il gabbiano, senza più neanche l’intenzione del volo, perché ormai, il sogno, si è rattrappito. Due miserie, in un corpo solo. – G. Gaber)

martedì 6 novembre 2007

piazza alimonda, qualche anno dopo

(roma)

da: l.a.
a: s.
oggetto: svegliaaaaaaa!!!!
(...) la notizia della non-commissione d’inchiesta su Genova, e tu hai scritto una parola o almeno l’hai pensata? (...) Se conosco la parte pensante (?) del tuo cervello, è concentrata su qualche uomo (...) ci eri andata apposta a Genova, 5 anni fa, per non dimenticare, un anno dopo, e 5 anni dopo che fai, dimentichi.... e allora potevi restartene a casa!! (...) Ti rimando quello che hai scritto 5 anni fa, che io avevo stampato e attaccato sul frigorifero, e leggi la fine di quello che hai scritto TU, perché è quello che hai fatto TU (...)


(seguono insulti di vario genere, tutti giustificati. ha ragione lei)

Wed, 5 Jun 2002
(...che quel posto dove andiamo non ci inghiotte e non torniamo più...)

E contro cosa ha rimbalzato quel proiettile? Contro il cielo? Contro una nuvola? Contro una vita?
Sono stata a Genova per qualche giorno, per un matrimonio. Avevo due posti dove andare, prima di tutto. A via del Campo ci sono arrivata accompagnata da un trans in cui mi ero imbattuta in un vicoletto buio e strettissimo (perché, tanto per cambiare, mi ero persa).
A piazza Alimonda sono riuscita ad arrivarci da sola. E non era la piazza Alimonda che mi aspettavo, che avevo visto al telegiornale, in foto, ovunque. E' una piazza qualsiasi, un'aiuola con fiori rossi e una palma, una chiesa, il chiosco di un'edicola, i tavolini sul marciapiede di un ristorante, alcune panchine, le saracinesche dei negozi. E un angolo pieno di fiori e di scritte e di foto. Scritte bugiarde, di quelle bugie che fanno bene ai vivi e non servono per niente ai morti. Carlo vive, c'era scritto, ma Carlo è morto. Carlo eroe, c'era scritto, ma Carlo Giuliani non era un eroe. Era un ragazzino. Ho letto la data di nascita e di morte e ho cercato di inquadrare me stessa, com'ero, dov'ero, quando avevo la sua età. E tutte le cose che mi sono successe dopo. Tutta la musica che ho ascoltato, i concerti a cui sono andata, i libri che ho letto. Le scopate di una notte, le storie che ti fanno perdere la testa per un mese, la storia che andrebbe scritta con la esse maiuscola perché ha fatto da spartiacque tra le storie prima e le storie dopo. Le risate e le lacrime, le bottiglie di vino bevute, le canne rollate male, i botti in macchina e in motorino, i lavori avuti e persi, gli esami dati all'università e passati, gli esami dati altrove, mai passati. Le amiche abbracciate, le amiche che abbracciano. Gli ex, quelli pazienti e quelli infuriati. Coupedeville cantata piano a un uomo che non mi ha perdonata.
The last journey to nowhere. Non l'hanno lasciato tornare ai suoi temporali.
Ho mandato un messaggio stanco a Pink, che, come da tradizione di coincidenze che fanno di una persona un'amica, se ne stava a Milano per un matrimonio, era in un centro commerciale e guardava sui maxi schermi le immagini di Genova un anno prima. E mi pensava, l'empatica. E ce ne siamo rimaste in silenzio, lei a Milano a guardare piazza Alimonda com'era, io a Genova a guardare piazza Alimonda com'è, questa piazza Alimonda che tra neanche troppo tempo diventerà un'idea come un'altra.

venerdì 2 novembre 2007

la stazione tor di quinto resterà chiusa per lavori dal 5 novembre. ci scusiamo per gli eventuali disagi.

(roma)

la signora sbuffa, mentre l’inviato di qualche tg cerca nasi sotto cui piazzare il suo microfono. la signora sbuffa e a bassa voce elenca: il treno infrequentabile, le stazioni che sono una peggio dell’altra e quella di tor di quinto non era neanche la più pericolosa, le rapine ai parcheggi quando non ti fregano direttamente la macchina, due volte a me è successo, e la mattina alle otto sali e sono tutti già ubriachi e c’è un odore di fiato di alcool che fa schifo, e la sera chi si fida più a venire in stazione; e ora se ne accorgono e arrivano a fare visite e interviste, e domani se ne sono già scordati. la signora sbuffa e fa la sua tirata e sbuffano anche le altre signore accanto a lei, soprattutto quando il giornalista riesce a trovare un uomo disposto a dargli retta. gli schiaffa il microfono davanti alla bocca e chiede: com’è questo treno? e l’uomo ride amaro, ovviamente. mentre le signore sbuffano.

ho fatto un giro in centro per comprare un regalo a un’amica. sono entrata in stazione per prendere il treno che porta al quartiere paese. c’era un cartello che diceva, la stazione di tor di quinto resterà chiusa per lavori dal 5 novembre. ho pensato, meglio. io a quella stazione non sono scesa mai. che mi fa molta più paura della mia, il che è un bel record. un paio d’ore dopo in stazione è entrata una donna. avrà visto il cartello, si sarà posta il problema, perché lei lì ci abitava. ci avrà pensato una mezz’ora, non di più. poi è scesa dal treno. fine.

non sopporto chi si rivolge alla pancia della gente. si deve parlare alla testa delle persone, a volte al cuore, mai alla pancia. la pancia del quartiere paese, e di tutta la linea che segue il fiume e la ferrovia, dice, paura. ma lo dicono anche cuore e testa, e lo dicevano da prima. che qui non si è sorpreso proprio nessuno. abbiamo raggiunto un nostro equilibrio testa cuore pancia paura, e ci sopravviviamo. abbastanza spaventati da avere il problema di difendere la nostra vita, non abbastanza da smettere di viverla. ora in teoria dovrebbero saltarci gli equilibri, e il primo politico in pre-campagna elettorale che arriva e si rivolge alla pancia, dovrebbe trovare terreno fertile. e invece no. quello che ottiene sono fastidio e signore sbuffanti e uomini che ridono amaro. e questo è ovvio e chiaro, e lo capirebbe se vivesse qui. c’è tutto un insieme di contrasti che dal di fuori non sono comprensibili, ed è difficile spiegarli. e ci sono pensieri che fa male confessare anche a se stessi. la paura che c’è ed è dolorosamente giustificata, ma anche la fierezza per il quartiere paese che non se n’è uscito (almeno non in massa) con discorsi forcaioli; la solidarietà, anzi, la tenerezza per i vicini rumeni che non escono di casa da giorni e aspettano che passi anche questa, e per il commesso del negozio in piazza che ha perso parecchia della sua verve e che sta lì a controllare se lo si guarda male, ma anche il sollievo perché sono spariti pure gli “irregolari” e per qualche giorno, una settimana almeno, si terranno alla larga, e la speranza dura e inconfessabile che se ne vadano all’inferno per sempre; la rabbia per la morte di quella donna, così prevedibile e annunciata e chiara a tutti fuorché a chi davvero doveva porsi il problema, e la consapevolezza che non puoi far vivere gli esseri umani come se fossero rifiuti, e poi sdegnarti se non si comportano più da esseri umani ma da rifiuti; lo sguardo obliquo che lanciamo a chi vediamo rovistare nei cassonetti, caricando roba che noi abbiamo buttato, su biciclette che una volta erano nostre, ma ci sono state rubate; la comprensione e la pietà che si fermano dove comincia la nostra pelle. poi arriva uno che magari qui nemmeno c’era mai stato, e dice vergogna. che è esattamente quello che pensiamo noi, vergogna, ma in tutt’altro senso.