lunedì 30 luglio 2007

anche gli alieni hanno problemi con le cose che finiscono. e cosa significherebbe questa parola, "realtà"? mai coperta.
s.

sabato 28 luglio 2007

parcheggi creativi

(roma)

l’avevate mai visto, voi, un cesso usato come tieniparcheggio?
va bene che in questa città tentare di parcheggiare è diventato sempre più estenuante. va bene che ci si attacca a tutto. però. “a tutto” dovrebbe essere un’iperbole.
in genere il tieniparcheggio per eccellenza è la persona che il destino ha situato accanto al posto del guidatore: scendi e tienimi il posto mentre io faccio il giro. che è una cosa che io odio fare, perché ho sempre paura di essere insultata picchiata e investita, nel frattempo. poi ci sono quelli che si vogliono mantenere il posto sotto casa, e usano gli oggetti più disparati; è una pratica che io detesto. provo del rancore vero, nei confronti di questi mentecatti.
però, uno si indigna davanti a una sedia. a una cassetta di legno. un vaso. un oggetto qualsiasi.
ma, un water?
come si fa a indignarsi davanti a un water usato come tieniparcheggio? non si può. ti viene voglia di citofonare e conoscerli. anche offrirgli un caffè al bar. però non puoi farlo, perché non sai dove parcheggiare. peccato.

mercoledì 25 luglio 2007

Liber, libri,...com'era?

(bologna - terra di gatti alieni)

Breve incursione per dire che uno dei miei blog di riferimento(nel senso che me lo leggo più o meno tutti i giorni), ha aperto un gruppo su anobii.
Ecco.
Lo voglio anche io.
Dunque, riepilogando:
- un manifesto
- un gruppo su anobii

Questa la lista della spesa per il prossimo week-end.

martedì 24 luglio 2007

lunga vita e prosperità

(roma – vulcano – roma)

considerato che

- questo controchip emozionale non si trova neanche a porta portese
- gente che nemmeno conosco fa rapporto ai suoi superiori accusandomi di emotività ipertrofica
- i miei più cari amici sono concordi nel definirmi completamente pazza

ho deciso che io divento vulcaniana.
dominio della logica e perfetto controllo sulle proprie emozioni. basta con la distimia. basta con quelli che mi dicono che sono impulsiva, emotiva, lunatica, psicotica, fuori come un balcone.
sono avvantaggiata da tre fattori:
sono bravissima a fare il segno v con le dita, e non è che riesca a tutti.
metà dei miei cromosomi provengono da pochi metri a sud di vulcano (l’isola, ma è chiaramente un segno).
adoro le orecchie a punta. preferisco quelle degli elfi, che sono un po’ più piccole, ma mi adatto.
sono pronta ad arrivare là dove nessun vulcaniano è mai giunto prima. un manicomio terrestre, suppongo, di questo passo.
(la presente annulla tutti gli sms e le mail spediti nelle ultime 36 ore)

domenica 22 luglio 2007

nel regno della noia, indosso pantaloncini principeschi (leyner. deve averla pensata dopo 10 giorni di bronchite nell’afa)

(roma?)

allora. c’è questo quartiere, a roma. del tipo, popolare, ammesso che questa parola abbia ancora un senso. palazzoni grandi e alti, case popolari, poco concesso alla vista. ti ci inoltri dentro perché c’è un posto dove devi andare per fare contenti i tuoi amici. un posto all’aperto. tu sei ben lieta di fare contenti i tuoi amici, potendo, ma qui, l’unico posto all’aperto dove si possa far qualcosa, a tuo parere, è il marciapiede lì davanti. comunque segui le indicazioni, e inizi a trovare cartoncini che ti dicono di non disperare e andare avanti.

ed è una cosa assurda. in mezzo a un quadrilatero di enormi palazzi di minimo dieci piani, massicci e gretti e pesanti, c’è una collinetta. minuscola. su questa collinetta minuscola c’è un casale. a due piani. con terrazze, e spiazzi, e mostre, e bancarelle che vendono libri a un euro, e persone che parlano di romanzi, e altre persone che suonano, e altre ancora che cucinano, danno da bere, hanno sempre un posacenere, se ti serve, e se hai perso l’accendino te ne regalano uno.

naturalmente è una distorsione spazio-temporale. c’è un qualche neurone che cerca di avvertirti che, innanzitutto, non è possibile. a priori. secondo poi, se guardi da fuori, non c’è tutto questo spazio, che invece vedi dentro. e per finire, la notte qui ha un altro colore. fai mente locale. con chi vorresti stare, qui? e la risposta ti sorprende, ma neanche troppo.

mercoledì 18 luglio 2007

controchip

(roma)

che poi, se penso a quel demente di data, che ha smosso giganti rosse e buchi neri per il suo chip emozionale. che io non so cosa farei, invece, per un controchip emozionale.
o per avere qualche antenato vulcaniano.
facciamo un manifesto del blog? che ogni tanto vado a rileggermi quello della isbn. voglio un manifesto anch'io.
brutto inizio di giornata. brutto.
muri ovunque.
e battiato canta canzoni che confondono e fanno credere e invece no.
le cose irrealizzabili sono irrealizzabili e le cose cretine sono cretine. e le cose cretine e irrealizzabili, beh, sì, anche qui vanno di moda.
fai qualcosa, pennuta.

venerdì 13 luglio 2007

dai, una via di mezzo. li metto a cinque post a pagina.

(roma)

ho ritirato le analisi. pare che la mia appendice, al momento, resterà lì dov’è. beh, ne sono sinceramente felice; la conosco da una vita e avrei sofferto a dovermi separare da lei. in compenso tutti gli altri valori sono sballati al ribasso, come al solito, e questo vuol dire che quando andrò dal medico, lui mi rimetterà a dieta all’incontrario. sono l’unica abitante del blocco dell’ovest a cui il servizio sanitario nazionale consigli caldamente un’alimentazione a base di grassi, dolci e schifezze varie. che, peraltro, è esattamente la mia dieta standard.
detto ciò.
perché una volta questo blog visualizzava sette post e ora ne visualizza tre?
che è quella roba là sotto?
perché non mi hai detto che era il tuo compleanno, che saranno 5 anni che te lo chiedo? (e che me ne scordo, sì, e allora? tu ridimmelo e abbi fede).
no. non esiste fase della tua vita in cui ti lasci alle spalle l’acne ma freghi sul tempo le rughe, se non sei naturalmente portata per. se sei una donna reale, non di carta o pellicola o colore ad olio, le probabilità che tu sia naturalmente portata per sono sotto lo 0,00000001 per cento.
certo che arriverà il giorno in cui smetterai di avere dubbi, e farti assillanti domande su ogni gesto fatto o parola detta da quando sei nata, e cercare coerenza e non trovarla o non cercarla ma trovare qualcosa che ti fa sentire in colpa perché non l’hai cercata abbastanza. certo che arriverà. prima o poi si schiatta tutti, chetticredi.
auguri, piumata creatura. ti mando regalo in mail.

giovedì 12 luglio 2007

mi sono sempre piaciuti, gli autobus

(roma)

in genere ti succede quando stai su un autobus. sei uscita prestissimo e il freddo faceva male alla gola e agli occhi, e fumarsi una sigaretta voleva dire tirare fuori una mano, per quanto protetta da un guanto, dalla tasca, e proprio non te la sei sentita. e alla fermata saltellavi sul posto, per non perdere sensibilità alle gambe. hai sempre sofferto il freddo più del caldo, ogni inverno aspetti la primavera quasi con dolore. e poi sei salita e ti sei seduta, e mentre guardavi fuori, senza preavviso, ti sei sentita addosso il sole. un po’ patetico, sbiadito, debole, ma un raggio di calore su una guancia, all’improvviso, ti è arrivato. se fossi capace di fare top ten, ma non ne sei mai stata capace nemmeno tu, diresti che uno dei momenti migliori dell’anno è quando ti arriva il primo raggio di sole addosso, attraverso il vetro di un autobus.
e in piena estate, quando ti ritrovi in una macchina a fumare e parlare, coi finestrini giù e le voci che sfumano basse nella strada deserta, ti capita di interrompere il filo dei pensieri per accorgerti che tu sei quella che sta ascoltando. e stai ascoltando problemi di qualcun altro. e dolori che non sono tuoi. e apri una piccola parentesi tua, nel mondo ingarbugliato dei tuoi amici e dei loro amori, ed è una parentesi che non fa male. è molto piccola, ma pura. priva di dolore. e ti giri verso il finestrino. perché, all’improvviso, è come se.

martedì 10 luglio 2007

E la chiamano estate, quest'estate, senza teeee....

Ci sono diverse cose che macinano più o meno di continuo nel mio cervello, notte e giorno, mane e sera, a casa, al lavoro, mentre mi aperitivizzo, mentre stiro, mentre cucino, mentre.

Percui ho pensato aspetta che le scrivo, magari mi lasciano un po' in pace.

1. Arriverà un giorno in cui smetterò di mettere in dubbio (quotidianamente, anzi minuto per minuto) tutte le mie scelte presenti, passate e future? Voglio dire, uno ogni giorno deve prendere mille piccole decisioni: se prima di prendere ogni decisione deve riconsiderare tutte quelle precedenti, dalla scelta della scuola media, al vestito della prima comunione, al colore dei capelli, al tono da tenere con gli sconosciuti e via così... insomma è un calvario senza fine, una fatica d'ercole. E io non sono Ercole. E' come se il mio cervello si imponesse di creare attraverso i comportamenti, le scelte, le opinioni sulle cose e le persone un percorso coerente. E la coerenza, si sa, è sopravvalutata.
2. Esiste, nella vita di un essere umano, un momento, fosse solo un giorno, magari solo un'ora, in cui non ha più quell'orrenda acne tardiva post-adolescenziale MA non ha ancora le rughe? O i due fenomeni sono fatalmente destinati a sovrapporsi, generando una quantità di fastidio tale da muovere le turbine di una centrale elettrica per un anno?
Sembra un collegamento un po' azzardato, quello fra il punto 1 e il punto 2, me ne rendo conto. Ma sta tutto lì. Per me.
3. Ho capito finalmente perché odio il mio compleanno. Che, per inciso, era ieri.
Mica perché sono vecchia. No, che io ho l'autorizzazione a diminuire gli anni fino a farli coincidere con quelli dell'aspetto della mia pelle (che attualmente è orribile come quella di un quindicenne).
Ma non è questo il punto.
Il punto è che il giorno del proprio compleanno uno si aspetta cose incredibili. Voglio dire, è il SUO giorno. L'unico giorno dell'anno che è festa per lui e per nessun altro. E si chiede: cosa succederà? Ci saranno i fuochi d'artificio che scriveranno nel cielo il mio nome? le macchine per un giorno smetteranno di cercare di arrotarmi mentre attraverso in bici e si allineeranno tutte davanti alle striscie e strombazzeranno al mio arrivo? ritroverò quel calzino perso nel 1983? rientrerò nei miei mitici jeans? Cose così.
E invece.
Niente.
E' l'unica festività che mi provoca disturbi neurologici acuti per una settimana prima del suo arrivo. Neanche Natale, neanche capodanno, che pure odio. E neppure la Befana, a.k.a. l'Epifania, che da bambina mi portava aglio, cipolle e pure carbone.

venerdì 6 luglio 2007

L’Italia spensierata e i suoi pensierosi perché

(roma, italia)

e così, alla fine, l’ho letto. dopo che, da mesi, mi dicevano di leggerlo. e mi chiedevano, sconcertati: ancora non l’hai letto? e perché ancora non l’hai letto? e che ne so. se è per questo ancora non ho letto nemmeno guerra e pace o l’ulisse. però non me lo chiede mai nessuno. alla fine ildìo si è imposto: leggilo.
L’Italia spensierata, pennuta, qualora tu non l’abbia ancora letto (e anna karenina, l’hai letto? e perché?), di Francesco Piccolo. è presentato dai suoi estimatori come uno dei libri più divertenti pubblicati in questo quadrante della galassia. io ho riso solo due volte, mi sono interessata molto, mi sono irritata un po’, ma soprattutto, più di una volta, mi sono spaventata di brutto. prendi un intellettuale di sinistra, sbattilo tra il pubblico di domenica in, in due autogrill, in un multisala che dà natale a miami, a mirabilandia, nella notte bianca a roma. reagirà come è ovvio che reagisca: cercherà di prendere le distanze, si appassionerà, si commuoverà, si spaventerà, penserà che palle. il tutto mischiato insieme. cercherà di non sembrare troppo snob, e dichiarerà una poco credibile empatia con la signora che ci resta male perché luisa corna non la riconosce; confesserà che della notte bianca non ne può più, e nemmeno delle conferenze di McEwan (e lo capisco: la notte bianca è un’esperienza da cui mi riprenderò, credo, solo dopo dieci anni di analisi).
è un libro strano. è utile sapere in anticipo come mi sentirò a mirabilandia. è allarmante l’idea che in un autogrill un bambino possa abbracciarmi all’improvviso: conoscendomi, io salterei urlando sul bancone e poi denuncerei i genitori per omessa custodia. è irritante quel ripetere ogni cinque frasi che lui, col pubblico di boldi e de sica, non ha niente a che spartire; abbiamo capito che la cosa più commerciale che vedi sono i film polacchi v.o., rilassati.
ma soprattutto. mi è capitato, cosa strana, negli ultimi tre giorni, di affrontare con tre persone diverse un argomento che in genere, per autodifesa, evito: italianità e politica. ne parli, e ti chiedi perché. leggi un quotidiano qualsiasi, e ti chiedi perché. leggi l’italia spensierata, e ti chiedi perché. sommi il tutto, e smetti di chiederti perché. e inizi a chiederti se hai rinnovato il passaporto. e scopri che, no, ovviamente. e ti richiedi: perché? ma con tutto un altro tono.

martedì 3 luglio 2007

cartoline

(roma)

buongiorno. sigaretta? io inizio ancora le mie giornate in cucina, cambiando l’acqua al gatto e guardando il caffè uscire piano dalla moka. il tè non lo preparo a nessuno, la mattina. il pomeriggio, sì, c’è sempre qualche amica che usa questa casa come tana. ma la mattina il tavolo resta vuoto di tovagliette e tè e biscotti e io appoggiata a me stessa che ti guardo fare colazione. mi piaceva, lavare i piatti della sera prima mentre tu ancora dormivi, metterti su l’acqua del tè, e poi guardarti. la radio è tornata in cucina. in bagno non ho ancora messo la tenda alla doccia. avevo comprato dei grossi pesci colorati antiscivolo, ma li ho dovuti togliere perché spaventavano il gatto. chi ha paura di un gatto che ha paura di un pesce colorato antiscivolo, ha paura a sua volta di un pesce colorato antiscivolo? no, vero? qual era, il problema, che il gatto è vivo? un po’ come le scritte sui muri della città.
spesso dormo per terra. ho tirato via un materasso, il tuo, e l’ho messo sul pavimento. la tua parte dell’armadio è ancora la tua parte dell’armadio. la tua maglietta preferita è ancora lì. ci sono anche i tuoi regali. tanto, noi non abbiamo paura del buio, e il chiuderci nell’armadio ci è familiare. ho appeso una stoffa giapponese sul caminetto, rossa, con su ritratta una geisha. forse ti piacerebbe. c’è molto più disordine di quello che ricordi. c’è molto più silenzio.
come sai, non ho passato la revisione per via delle gomme. come sai, la tua gomma è esplosa tentando di uccidermi. come sai, le ho cambiate tutte. come sai, io comunque odio guidare, e preferisco che lo faccia tu. anche se tu odi guidare la mia macchina. e non la prendi bene, se ti chiedo se hai visto un parchimetro, mentre stai facendo una manovra assurda per parcheggiare.
mi piace scrivere di te. sei adatto a qualsiasi sentimento io abbia necessità di esprimere. copri le sfumature calde e quelle fredde, e da un po’ di tempo, finalmente, copri anche quelle tiepide o fresche. mi piace pensare che resterai nella mia vita come una specie di traduttore di sentimenti. quando mi sveglio la mattina e tutto è molto quieto, un po’ autunnale, con un vento leggerissimo e qualche foglia rossa che cade, e il cielo è grigio ma non è detto che piova. anzi, probabilmente non pioverà. in questo attimo, sei l’autunno. sei stato primavera, estate e inverno. mi serve l’idea di te, per poter dipingere le stagioni che cambiano. sei l’unico al mondo che può capirlo, credo.

lunedì 2 luglio 2007

Marco Travaglio - La scomparsa dei fatti

C’è chi nasconde i fatti perché non li conosce, è ignorante, impreparato, sciatto e non ha voglia di studiare, di informarsi, di aggiornarsi.
C’è chi nasconde i fatti perché trovare le notizie costa fatica e si rischia persino di sudare.
C’è chi nasconde i fatti perché se no lo attaccano e lui vuole vivere in pace.
C’è chi nasconde i fatti perché confonde l’equidistanza con l’equivicinanza.
C’è chi nasconde i fatti perché quelli che li raccontano se la passano male.
C’è chi nasconde i fatti perché certe cose non si possono dire.
C’è chi nasconde i fatti perché “hai visto che fine han fatto Biagi e Santoro”.
C’è chi nasconde i fatti anche a se stesso, perché ha paura di dover cambiare opinione.
C’è chi nasconde i fatti perché il coraggio uno non se lo può dare.
C’è chi nasconde i fatti perché nessuno gliel’ha ancora chiesto, ma magari, prima o poi, qualcuno glielo chiede.
C’è chi nasconde i fatti perché deve tutto a quella persona e non vuole deluderla.
C’è chi nasconde i fatti perché altrimenti poi la gente capisce tutto.
C’è chi nasconde i fatti perché è nato servo e, come diceva Victor Hugo, “c’è gente che pagherebbe per vendersi”.

c’è chi non ha copiato tutto perché iniziava ad avere i crampi, però volendo lo vendono in libreria, eh.
pennuta, non aggiungere alla lista, c’è già.

Storia di una MelaZeta e della Pennuta che le insegnò a bloggare (part I)

(Roma, Stazione Termini, 2002)

Ciondolava davanti al binario, in attesa che arrivasse il treno. Studiava la posizione migliore che le potesse permettere contemporaneamente di stare seduta, non farsi travolgere dai carrelli e avere una visuale perfetta sui passeggeri in arrivo. Che lei non l’aveva vista mai, una pennuta, dal vivo. Non era sicura di saperla riconoscere. Tutto ciò che le era stato detto era: ho la crestina. E lei, la crestina, finora, l’aveva vista in testa solo all’Amicogaio; a un volatile bolognese, mai. L’altoparlante aveva annunciato il treno in arrivo da Milano Centrale, Bologna Centrale, Firenze Santa Maria Novella, proprio nel momento esatto in cui lei aveva deciso, mi metto qui. In piedi, ma appoggiata. In sintesi, la sua filosofia di vita: se proprio devo stare in piedi, almeno mi appoggio.
Aveva studiato, fumando, i passeggeri che si avvicinavano a inizio binario. Una tizia le era sembrata promettente, e aveva fatto quasi mezzo passo nella sua direzione; ma poi si era accorta, niente crestina. Ed era rimasta al suo posto, appoggiata. Ormai la corrente si era diluita in pochi ritardatari pigri; c’era sempre meno gente che proveniva dal treno. E poi aveva visto una buffa tipa (perché la prima cosa che aveva pensato, sia tramandato ai posteri, era stata: che buffa) che avanzava toccandosi i capelli. Se quella era una crestina, aveva serissimi problemi di disfunzione erettile. Si era avvicinata. Si erano fissate, le due. Avevano, lor signore, l’aspetto di due tipe che si potevano essere conosciute sul forum di quello scrittore? Ebbene sì. Ce l’avevano.

˜

La pennuta aveva fatto irruzione nella sua casella di posta una notte di qualche mese prima. Lei aveva aperto yahoo, aveva letto in arrivo (1), ed era andata a controllare. Mittente mai visto, oggetto: ironia, ironia a sbadilate. Chiccazzosei, era la prima cosa che aveva pensato. E la seconda: sbadilate?
Scriveva, da un po’, in un forum. Ci era arrivata cercando in rete notizie su un certo scrittore. Aveva visto il forum. Le era piaciuto; le erano piaciute le persone che ci scrivevano. Aveva deciso: ci scrivo anch’io. E aveva lasciato la sua mail, perché in fondo, ma proprio in fondo, la vaga speranza di incontrare una forma di vita intelligente non l’aveva mai abbandonata. Ora, sembrava stesse raccogliendo i primi frutti della sua politica di socializzazione col mondo online. Aveva deciso, dall’oggetto, che doveva trattarsi di mail di protesta. Aveva scritto un post un po’ caustico, di recente. Costui/costei doveva essere qualcuno in vena di lamentazioni. E vabbè, apriamo, si era detta, e lì per lì non aveva capito.
Si sarebbe ricordata della perplessità provata a leggere quella mail, cinque anni dopo, quando, per la prima volta nella sua vita, si era trovata a scrivere a uno sconosciuto, per questioni di blog. Non è facile scrivere a gente che non conosciamo, pennuta, aveva pensato. Oh, come ti capisco, ora.
L’aveva lasciata perplessa il fatto che quella non era, o quantomeno non sembrava, una mail di protesta. Ma non sembrava nemmeno amichevole. Il tono più o meno era: ho queste cose da dire, e se non ti sta bene, vaffanculo.
Aveva riletto la mail una seconda volta. Aveva deciso, mi sta bene. Rispondi al mittente.
(to be continued)