lunedì 29 ottobre 2007

La vita è dura quando hai una gatta insonne e petomane

(bologna- più petomane che insonne in realtà)

Riguardo al tuo post del 24 ottobre: nel caso il tuo sia un tentativo di farti invitare in quel di cat-peto-land, sappi che già ci sei. Da una settimana stazioni sul divano di casa mia guardando il soffitto. Non so come tu cia sia arrivta, un giorno sono rientrata e tu stavi lì. Comunque -allucinazioni a parte- stai benone. Bevi, mangi - attualmente il tuo favore va alla pizza biancaneve- e ogni tanto urli fortissimo "non mi avrete mai!". Ma, come dicevo prima, nel complesso stai benone. Quindi nessuna allucinazione olfattiva, o meglio si tratta di una allucinazione nell'allucinazione.

Riguardo invece al tuo post del 21: avrei due o tre cose da dire a proposito. Sappi comunque che se tutto si infila presto avrò delle belle notizie da darti. Ma fai in tempo a riaverti, non ti preoccupare.

Ora ti copro che fa freschino e torno a lavorare. Mi raccomando qualunque cosa succeda non lasciare cibo incustodito.
Lamou ha fame anche quando dorme.

leprechaun street

(roma)

“devo ricordarmi che non sono un autobus”
l’imperatrice galattica (bloccando il traffico sul muro torto)


per dire, in che mani è finito il destino della galassia. altro che i governanti terrestri: qualcuno di loro sarà stato convinto di essere napoleone; ma un autobus, mai.

l’altra sera, dopo aver apportato il nostro fondamentale contributo alla teoria del parcheggio a roma (parcheggio a spina col semaforo, parcheggio sul marciapiede in curva sulle strisce arrivandoci contromano, parcheggio in comunione mistica con un autobus - un autobus vero, non l’imperatrice galattica in una delle sue crisi d’identità), siamo andati a un concerto per lepricauni e guinness.
funziona così: alcuni lepricauni invisibili forniscono al cantante un numero di pinte di guinness che parte da dieci e tende all’infinito; le pinte di guinness si fondono col cantante, si appropriano del microfono e rievocano la verde irlanda, mentre gli spettatori fanno scommesse su quando il cantante rotolerà giù dal palco. va detto che il concerto a me è piaciuto, i musicisti erano bravi, non avevo idea che esistesse il banjo elettrico, e il cantante non è rotolato giù dal palco.

poi, con sua galatticità abbiamo avuto quei due-tre secondi di, iniziamo un discorso rischiosamente serio sui luoghi cui sentiamo di appartenere, più che sentire che appartengano a noi, su dove e come è casa e dove pensiamo di andare e cos’è il tornare e. ma per fortuna siamo state interrotte, quindi siamo rimaste in modalità cazzeggio standard, che comunque ci dona.
però, passiamo tanto tempo a chiederci se esiste la persona per noi, e dov’è il luogo per noi, e cos’è che dobbiamo fare per essere noi, e io ho il sospetto che esistano persone che sono geneticamente impostate per cercare sempre, e non trovare mai, e temo di essere una di loro.

venerdì 26 ottobre 2007

come diventare cuscini vulcaniani

(roma)

ieri sera io, mobili e suppellettili abbiamo deciso, per questione di praticità, di fondere insieme le lezioni dei due corsi che stiamo seguendo: come diventare vulcaniani, e come non farsi rinchiudere in un manicomio criminale.
è stato stabilito che, di base, la mobilia vulcaniana non si sposta da sola, è facilmente riconoscibile anche senza attaccarci sopra post-it con su scritto “poltrona” e non parla. il cuscino del divano ha avanzato l’obiezione che tutto ciò responsabilizza troppo i mobili e deresponsabilizza il vulcaniano: a suo parere, è il vulcaniano che, per primo, deve porsi il problema di non parlare ai mobili. dopo un’accesa discussione è stato deciso quanto segue: sarà cura del vulcaniano evitare di rivolgere la parola al cuscino; ma, qualora ciò dovesse comunque succedere, sarà cura del cuscino rispondere usando la logica.
la riunione a questo punto è stata interrotta per cercare di capire da dove provenisse l’insistente odore di tabacco da pipa che si era diffuso nel soggiorno. poiché non è stata trovata traccia, in tutta la casa, di tabacco da pipa, il bastone della pioggia si è molto congratulato con i presenti in quanto, di tutti i tipi di allucinazioni, quelle olfattive sono in assoluto le più rare e valgono quanto un gronchi rosa. abbiamo convenuto che, in effetti, se proprio dobbiamo darci giù di allucinazioni, scegliere quelle più rare è molto, molto vulcan. quindi è chiaro che stiamo facendo progressi.

giovedì 25 ottobre 2007

in caso?

(roma)

l’importante nella vita è avere amici meravigliosi e rassicuranti.

- ma non ti era mai successo prima? cioè, le altre volte in cui avevi un comportamento incomprensibile, non era questo? (ildìo).
- ammazza che brutto aspetto che hai (dominique).
- prima o poi si muore tutti (tiè).
- non è mai lupus (dr. house).
- o hai avuto un ictus, e allora dovresti andare da un medico, o hai definitivamente svalvolato. avevo scommesso con giulia che avresti retto altri due anni, prima del trionfo della follia. quindi tifo per l’ictus (fidanzato di giulia).
- no, è che sei pazza, ma del resto si era capito (amica del quartiere paese).
- magari ti portiamo al pronto soccorso. cioè, sicuramente non è niente, ma magari prepara una valigia. cioè, non ti preoccupare, ma in caso a chi telefono? (giulia)

(in che senso, “in caso”?)

mercoledì 24 ottobre 2007

paura e delirio nel quartiere-paese

(roma)

ora, io avevo letto che dopo 72 ore senza dormire arrivavano delirio e allucinazioni. ma non era chiaramente specificato quando. che, a una lettura superficiale, poteva sembrare che uno stava 72 ore senza dormire, e dopo 72 ore arrivavano delirio e allucinazioni. mentre non è per niente detto. cioè, ho scoperto oggi che, volendo, uno sta 72 ore senza dormire, poi ricomincia a dormire, nel frattempo pensa a tutt'altro, e le allucinazioni arrivano dopo una, due, tre settimane.
cioè, metti che si erano scordate. metti che hanno il mio senso della puntualità.
insomma, non ho passato una gran bella serata.

poi, non c'entra niente, ma ti ho sognata, qualche sera fa. di nuovo in una strana periferia. in una strana casa. con strane persone. e una persona in particolare. e mi sono svegliata con un desiderio struggente, fisico, di vedere lui, e di rivedere te. perché poi questo tuo super ego teutonico serve anche a tranquillizzare le persone, oltre che a rendere la vita impossibile a te. e a me serve, essere tranquillizzata.
che mi sono spaventata tantissimo, io, oggi.
(roma-baires)
ma io non c'entro.
io non devo far parte delle persone che ti devono mancare.
io voglio far parte delle persone che ci sono.
voglio esserci anch'io.
anche se non mi fai venire, voglio esserci anch'io.
cioè, almeno devi promettere che, comunque, io ci sarò.

domenica 21 ottobre 2007

sono inquieta, direbbe qualcuno

(roma)

è da un po’ di tempo che faccio fatica a scrivere in prima persona. e non credo sia un buon segno.

parli in seconda persona come se ti osservassi dall’esterno, come se cercassi di fare da filtro tra te, e il mondo. o quella parte di mondo a cui serve un filtro, perché non ti accetta così come sei. perché sei destabilizzante, al punto che ti minaccia di smettere di parlarti. e questo destabilizza te. e ti ritrovi in un circolo vizioso che ha come centro il fatto che tu non vai bene. o agli altri, o a te stessa, ma comunque non vai bene. né come sei, né filtrata; né destabilizzante, né destabilizzata. e alla fine dei giochi, la voglia di parlarti passa a te.

per dire. per cui smetto di parlarmi, che tanto oggi posso al massimo darmi della cretina, e parlo con te.

sono cinque anni che ti leggo, pennuta, e osservo ribollire tutto quello che spazzi via sotto il tappeto. mi chiedo quando sarà il grande botto, se mai ci sarà. mi hanno insegnato che le persone scelgono sempre, per quanto inconsapevolmente, il male minore. ma non mi tornano i conti; perché, se poi alla fine in tanti fanno boom, vuol dire che qualcosa non quadra.
poi, gli anziani, accettare la realtà, i tarli, il pensiero circolare. accettare la realtà, che significa? una cosa del tipo, non capisco ma mi adeguo? va accettata per forza, questa realtà? perché? per stare bene? per stare meglio? perché così non si perde più tempo ad accettare se stessi? è come il gioco delle parole ripetute troppe volte, che alla fine perdono senso. non ha senso, la frase accettare la realtà. facci caso, spenné, continua a ripetertela: è solo rumore.

e poi, capiamoci. o non sei capace di amori impossibili, o ti è successo due volte. o al limite facciamo la media e decidiamo che ti è successo una volta. io direi che ti è successo perché lo descrivi proprio bene, eh. il dolore fisico. io non avrei usato le immagini del palo nello stomaco o della lama sulla testa; ti avrei parlato di guglie e lame e coperte, e mancanza di respiro e graffiare il cuscino con le unghie e morire, ma stiamo lì. dolore fisico. è un fatto reale, che ti piaccia o no.
hai deciso, tu, che reale è solo l’ingegner cane con cui dividi il ripostiglio in cui lavori; reali sono il traffico e lo smog e le multe e sirio; e gli amori impossibili non sono realtà, e il ronzio di sottofondo che ti senti dentro va eliminato perché è fastidioso, perché nella realtà non ci deve essere. poi, parli di accettarla, questa realtà, ma nemmeno sai bene cosa ci deve stare dentro e cosa no, e ti contraddici perché ti stai imponendo cose che non hai neanche ben focalizzato; perché questa realtà che va accettata e ubbidita, alla fine, non esiste.

venerdì 19 ottobre 2007

il nobel per la pace dovevano darlo al marito di mrs frog

(roma)

ieri ho partecipato, in qualità di sostegno morale, a una festa di bambini dell’asilo. io facevo finta di sostenere mrs frog, madre della festeggiata. lei faceva finta di essere all’altezza della situazione. in due ore in cui i miei timpani e svariate altre parti del mio corpo sono stati frantumati, ho dedotto che:
i bambini urlano. sempre.
quando non urlano, è perché stanno riprendendo fiato per urlare meglio.
le madri degli invitati urlanti sono odiose arpie svaccate, che dicono solo cose insulse e si fregano tutte le patatine fritte e le crocchette di pollo.
le odiose madri svaccate non dovrebbero fregarsi pollo e patatine, visto che quella più in forma tra loro pesava almeno venti chili più di me e occupava più spazio di un contenitore svuota-vassoi.
non è vera ‘sta storia che sono svaccate perché loro hanno avuto una gravidanza e io no: sono svaccate perché si fregano le patatine.
i padri single sono rari ma bellissimi.
i padri single sono rari, bellissimi ma inavvicinabili perché hanno sempre un bambino sociopatico attaccato alle ginocchia che si rifiuta di partecipare alla festa e resta avviluppato al genitore a mo’ di piovra gigante.
è impossibile provarci con un padre single bellissimo che ha un parassita sociopatico attaccato alle ginocchia.
le nuove generazioni sono cresciute da vacche iper-ansiose, padri vittime e animatrici melense che chiaramente di notte si trasformano in serial killer.
gli unici simpatici e sani di mente sono i nonni, alla faccia del tuo ultimo post.
la prossima volta mi porto le patatine da casa.

domenica 14 ottobre 2007

Promemoria per quando sarò vecchia

(primariamente bologna)

E' già da un po' che ci penso. Mi capita per vari motivi di avere spesso a che fare con persone che in un mondo normale sarebbero, per età e per livello di usura mentale, considerati anziani, e che invece qui sono parte attiva, integrante e portante della società civile e dell'economia locale.
Beh, ecco, in realtà in generale la gente che conosco e frequento è nella maggior parte dei casi più vecchia di me, che ormai più adulta non lo posso dire. Questo probabilmente ha conseguenze deleteree sulla mia ipertrofica e congenita tendenza ad analizzare tutto.
Ormai ho smesso di guardare dietro le spalle, pensare a come sarebbe andata se..
Forse è solo che ho meno tempo libero.
Ora penso a come andrà se.
Se mai riuscirò ad invecchiare dignitosamente,cioè senza devastanti problemi di salute, familiari, sul lavoro... perché checché ne dica il doctor house esistono vecchiaie e morti più o meno dignitose.
E già mi fermo.
Non conosco nessuno che ce l'abbia fatta.
Ma di sicuro tutti gli "anziani" che conosco hanno una cosa in comune.

Che buffo, ora che riguardo indietro i vecchi post scopro che questo blog nasce nello stesso mese in cui quattro anni prima abbiamo cominciato a scriverci. Maggio.

Ecco, è questo che intendo: gli anziani, e i vecchi di mente come me, non riescono a tenere un contatto costante con la realtà. Nella loro testa continuano a macinare dei tarli, che li fanno sbottare nel bel mezzo di una conversazione, una discussione, una riunione di lavoro, con cose che apparentemente non c'entrano nulla.
Oppure quei tarli fanno un tale rumore che non permettono di fare attenzione a quello che sta fuori, o ancora permettono un livello di attenzione leggero leggero, incostante, dietro un'apparenza di compita saggezza.
Un'altra cosa accomuna tutti gli anziani: il pensiero circolare. Di qualsiasi argomento si stia parlando, di chiunque, e in qualunque modo e sotto qualsiasi aspetto, sempre è necessario che ciò che gli altri dicono confermi quanto detto dal portatore di pensiero circolare all'inizio del discorso.
Come se tutto avesse una spiegazione, o come se fosse necessario creare delle spiegazioni certe, inattaccabili, incrollabili per interpretare la realtà.
Ecco, questo io vorrei evitare, diventare ovvia, ottusa e incapace di ascoltare quello che gli altri hanno da dire, nella foga di voler dimostrare che quanto dicono dà ragione alla mia visione autoreferenziale e autoconsolante del mondo.
Perché è triste, è ciò che rende gli anziani patetici: non voler più vedere la realtà per quello che è, perché non si è più capaci di accettarla.

Lo sai, non sono mai stata capace di veri amori impossibili, di farmi del male innamorandomi di qualcuno che per un motivo o per l'altro non avrebbe potuto riamarmi o stare con me. Forse per la sudditanza congenita all'analisi razionale di cui sopra.
Tranne due volte.
Allora mi sembrava di morire, di un dolore quasi fisico, come un palo piantato nello stomaco giorno e notte, una lama che oscillava sulla mia testa pronta a colpirmi non appena mi fosse sembrato che le cose potessero infilarsi, un fuoco che mi bruciava ogni cellula, e che mi faceva ustionare ogni volta che venivo a contatto con la realtà.
Adesso, le poche volte che ci ripenso, mi sembra di non essermi mai sentita viva come in quei momenti.
Ma la mia natura, che ogni giorno mi sforzo di accettare, è un'altra.
La mia natura dice che solo i fatti di ogni giorno sono reali.
E io, stanca di combattermi e di perdere quotidianamente, abbasso la testa e obbedisco.

parole che vengono, parole che vanno

(roma)

per innamorarsi ci vuole coraggio. innamorarsi fa tremare. perché sei senza rete.
(la tua amica dominique, nel tentativo di rispondere alle tue domande, dopo il quarto whisky – da leggersi strascicando molto le sillabe)


ti chiedono se sei innamorata e all’improvviso non sai che dire. prendi tempo e cerchi di ricordarti cosa significhi. dall’altra parte magari pensano che è un estremo tentativo di difesa o un rigurgito d’orgoglio. invece, alla fine, devi confessare che non lo sai, perché è una parola che non sai più usare. non applicata a te. non le trovi più un senso.
ti senti come un libro letto a metà, a cui abbiano cancellato una parola all’improvviso. da ogni pagina, anche quelle già lette. togliendo il senso a tutto.
ti ritrovi seduta per terra, appoggiata all’armadio, a ripetere amore innamorarsi innamorata amare. e come tutte le parole ripetute troppe volte, alla fine sono solo suoni senza più significato. ti chiedi se sia questo il problema. se lei hai ripetute troppe volte. se le hai consumate. se le hai rotte, usandole male. che adesso non funzionano più.

provi con altre parole. rifletti sul tuo vocabolario, quello scritto da te, negli anni. parole desuete. neologismi. parole che hanno cambiato significato. la parola amicizia c’è ancora, ma ti è chiaro che, rispetto a dieci anni fa, la definizione è cambiata. amore innamorarsi innamorata amare. ci sono, ma senza definizione. non c’è scritto in nessuna pagina, cosa vogliano dire.
ti vedi con la tua amica, e quando passate dal vino al whisky, sai già che tra poco tutto inizierà ad essere molto lento e dilatato e facilmente comprensibile, anche se solo in quel momento, perché poi quando l’effetto passerà quello che avrai intuito svanirà via. e quindi cerchi di ricordarti tutto, ogni sillaba, la ripeti tra te, e pensi, ci sarà una frase con cui mi sveglierò domani mattina, che mi dirà che.

la notte sogni che, in un grande studio blu a due passi dal mare, il poeta conduce un gioco sul sistema solare, o sulla galassia. puoi scaricarlo sul mac. vi siete arenati sulla domanda su saturno. c’è qualcuno in trappola, prigioniero, da qualche parte, che deve essere salvato. non sai chi sia.
innamorarsi fa tremare. ora dovresti chiedere alla tua amica se era una figura retorica, o se intendeva, proprio, tremare. fisicamente. perché tu una settimana fa tremavi. e non è un verbo che usi spesso. non lo usi mai. è una parola così intima, secondo te, così privata. ma adesso lei non si ricorderà nemmeno di aver parlato con te, figuriamoci poi di cosa, e comunque secondo te non intendeva tremare in quel senso; e comunque non ha senso nulla, in qualsiasi senso, tutto questo non ha senso.

venerdì 12 ottobre 2007

Gente Malvagia E Perfida (o, dell’arte del cucinare di sua galatticità)

(roma)

Gente Malvagia E Perfida mi sfotte da sempre perché non so cucinare.
Gente Malvagia E Perfida trova da ridire sui miei fidi surgelati, i miei amici liofilizzati e i miei alleati pizzaioli egiziani.
Gente Malvagia E Perfida mi invita a cena per dare sfoggio della sua abilità.
Gente Malvagia E Perfida mi invita a cena per sentirsi superiore e denigrarmi ulteriormente.
Gente Malvagia E Perfida mi invita a cena e poi fa bruciare la mia cena.
Gente Malvagia E Perfida mi fa mangiare crepes carbonizzate e ciliegine sciroppate fatte dallo zio.
Gente Malvagia E Perfida osa dare la colpa al mio innocente lettore mp3 che l’avrebbe distratta e alla mia incapacità in cucina che sarebbe contagiosa.
secondo me, Gente Malvagia E Perfida dovrebbe vergognarsi.
(questo post è stato scritto appositamente affinché Gente Malvagia E Perfida si vergogni).

mercoledì 10 ottobre 2007

l’ora di educazione musicale alle medie

(roma)

avevo quest’insegnante di pianoforte. non ci faceva studiare nulla. entrava in classe col suo registratore, metteva su musica e diceva, scrivete. tutto quello a cui questa musica vi fa pensare. scrivete.
non ce l’ho mai fatta. inventavo. me la cavavo bene, che sono bravina con le parole scritte e le invenzioni. ma non ho mai scritto una sola parola che fosse minimamente collegata alla musica che avevo ascoltato.
e ancora adesso non ci riesco. non riesco nemmeno a scrivere e ascoltare musica. non riesco in alcun modo a collegare scrittura e musica.
credo sia un problema di traduzione. si scrive, con parole, per tradurre qualcosa che si pensa, a parole. la musica non pensa a parole. la musica non ha bisogno di pensare, non ha bisogno di parole, è sentimento puro privo di. se devi scrivere quello che una musica ti fa provare, devi tradurre da senza-parole a con-parole.
non so. io non riesco a tradurre dall’inglese al giapponese. mi si aggroviglia la sintassi, mi si confondono le parole, faccio un casino. posso passare dall’inglese all’italiano, e dall’italiano al giapponese. e viceversa. ma inglese-giapponese, no.
dalla musica alla scrittura, si vede che mi manca un passaggio intermedio. devo arrivare dalla musica a qualcosa, e dal qualcosa alla scrittura.
ci sto provando. sarebbe l’unico modo per spiegare. o forse, non l’unico, ma un buon modo per spiegare. diciamo, il migliore. poi, quando penso a me stessa in piedi in mezzo a una stanza, auricolari nelle orecchie, che faccio finta di cantare satellite of love in un locale semibuio, di quelli con vecchi tavolini in legno e pubblico silenzioso che fuma e ha un bicchiere di whisky davanti, allora credo che il passaggio intermedio sia quello. perché lì nel mio locale immaginario io so benissimo cosa sto provando, e cosa sto cercando di dire, e non sono le parole della canzone, che interpreto. è proprio la musica.
quindi, ricomincio.
(hai ragione, spenné. sullo scrivere da soli per prendere coscienza. sei un genio di donna. in genere i post che mi servono per arrivare da un punto a un altro, poi li cancello. che tanto ormai. tipo, che sopravvive un post su 5, in media. ma questo lo lascio, perché 1) dovessi scordarmi 2) è una specie di introduzione a qualcosa che prima o poi arriverà a qualcuno 3) ci tengo a ribadirlo, che sei un genio di donna).

domenica 7 ottobre 2007

(is that alright?)

(roma)
(qualche volta la pioggia odora di ferro, e non aiuta a purificare e curare e anestetizzare. ma non ti importa, mentre ci cammini dentro, perché adesso stai andando in un’altra direzione, dove non c’è niente da far sgocciolare via. guardi il cielo e ci sono questi lampi da nuvola a nuvola e per un attimo tutto diventa viola e bellissimo. arrivi in piazza e fai sciogliere via cinque minuti. avresti potuto sfiorarlo.
e. stai. tremando.
e hai domande inutili, perché non puoi avere le risposte che vuoi. ed è il tipo di posto sbagliato, e il momento sbagliato, ma non stai commettendo nessun crimine, e non ti servono scuse, e sorridi alla ragazza dai capelli corti, che ti sta consegnando una pistola carica.)

venerdì 5 ottobre 2007

disse l'elefante viola

(roma)

ho letto da qualche parte che, dopo 72 ore senza dormire, gli esseri umani iniziano a sperimentare curiosi effetti collaterali tipo allucinazioni, delirio e altre amenità. quindi dovrei girare per casa e imbattermi in gnomi verdi, unicorni rosa invisibili e roba del genere, ma non ne vedo. anche l’elefante viola appollaiato sul divano conferma che non c’è traccia di gnomi verdi in soggiorno. sull’unicorno rosa, essendo invisibile, non si esprime.
in realtà ho dormito. ho dormito un’ora, ieri pomeriggio, prima che mi telefonasse una mia amica, svegliandomi, per sapere se avevo dormito un po’. poi ho dormito mezz’ora, prima che il parroco scampanasse l’ave maria. non ho ben capito cosa sia successo al parroco del quartiere-paese, se l’hanno sostituito o se ha avuto una crisi mistica. è da un po’ di tempo che gli è presa questa strana fissa dello scampanare a tutte le ore, ma non i classici din-don. scampana l’ave maria di, boh, qualcuno, e altri motivetti allegri. credo che le campane per un parroco equivalgano alla suoneria del cellulare per i laici.
comunque, come tutti quelli che oscillano tra insonnia acuta, insonnia cronica, insonnia così così e sporadica mancanza di insonnia, lo so perché non dormo. lo so ogni volta. sono arrabbiata. sono più che arrabbiata, in effetti. ho dichiarato a più di una persona che se mi trovassi davanti il mio ex, stavolta potrei ucciderlo. ora, come minimo, qualcuno lo ammazzerà davvero e verranno a citofonarmi le guardie dopo mezz’ora. svegliandomi. e il fatto che io mi trovi a cinque ore di treno da quella sciagura di uomo non varrà come alibi, perché magari potrei aver assoldato un sicario. ma io non sono assolutamente quel tipo di persona. cioè, non ho abbastanza soldi. beh, insomma, mi informerò presso la gilda degli assassini. o quella dei buffoni. male che vada, gli mando un pagliaccio a lanciargli una torta in faccia. che, pensandoci bene, è esattamente quello che si merita. buffone.

mercoledì 3 ottobre 2007

però quell’isola non c’era e mai nessuno l’ha trovata...

(roma)

premesso che non ho dormito. sono stata molto occupata a guatare una sfera nera radioattiva teletrasportatasi nella mia camera da letto in seguito a una telefonata del poeta h.r.
premesso che questa cosa che una manca da bologna per un annetto e prima le sòlano il lettone, e poi pure il materassino gonfiabile, è una vergogna.
io mi sento di escludere che fra quarant’anni all’ambos mundos citeremo alcunché. secondo me, staremo ancora discutendo sugli autobus notturni.
comunque, è esattamente quello che faccio adesso. starmene sul divano a leggere, mangiare schifezze, buttare giù qualsiasi cosa di alcoolico io trovi; però senza chiedermi come sarebbe andata se. non ci sono ancora arrivata. cioè, ogni tanto me lo chiedo, ma per cose tutto sommato secondarie. non credo ci sia ancora stato il grande SE, nella mia vita. e se c’è stato nemmeno me ne sono accorta, e questo è proprio sconfortante, a pensarci. e quindi non pensiamoci. sono già abbastanza sconfortata di mio, stamattina.
il bar che non c’è. se tu avessi una minima conoscenza dell’opera di guccini, ti rimanderei all’isola non trovata: appare, a volte, avvolta di foschia, magica e bella, ma se il pilota avanza su mari misteriosi è già volata via, tingendosi d'azzurro, color di lontananza...

lunedì 1 ottobre 2007

Bologna, mezz'ora dopo

A Bologna i notturni sono due: uno fa il giro in senso orario, l'altro in senso antiorario. Vanno entrambi a velocità folle e fanno entrambi il giro del mondo in 60 minuti primi. Tanto per sottolineare che nel centro e sulla rete urbana dell'ATC di Bologna non si può perdere nemmeno una romana.

Mettiti a dieta e alza quel culo.

Oggi sono insolitamente energica, si sente?!?

un anno fa, di questi tempi

(roma)

per esempio, pennuta, ieri era l’anniversario dell’ultima volta che ci siamo viste. un ameno sabato 30 settembre in cui mi avete scaricata alla stazione di bologna perché io prendessi un treno per milano (il che fa di oggi l’anniversario della mia ultima partenza da milano, ma avendo giurato a sua galatticità che non ne avrei parlato più, e temendo molto l’ira funesta di sua galatticità, mi limito a questa piccola annotazione e cambio discorso).
se non ricordo male le nostre ultime immortali parole pronunciate dal vivo sono state:
tu (sghignazzando) – guarda che devi andare dall’altra parte.
io (barcollando sotto il peso del borsone, dell’alcool della notte prima e degli eventi) – eh, lo so, cazzo, sto cercando di arrivarci.
magari la prossima volta ci prepariamo due frasi prima, così, qualcosa di un po’ più tramandabile ai posteri.
tutto ciò, a mio parere, dovrebbe ispirarti un post sulla gioia di avere tra i piedi la mia adorabile personcina; sull’entusiasmo dipinto sul tuo viso quando, dopo una giornata di lavoro e una serata passata a scarrozzarmi qua e là, poi io ti tengo sveglia altre tre ore per raccontarti nei dettagli roba ormai inutile non solo da dire ma anche da pensare; sull'affetto che ti ha portata a farmi ingoiare, una sera che avevo anche la febbre, del pesce crudo avariato. io poi, fossi in te, ci aggiungerei anche una postilla, sulla tua innegabile capacità di scegliere l’autobus notturno più adatto. no, che comunque io ci tenevo, a farmi tutta bologna by night.
lo so, è una vita che dico che sto per arrivare. ma, di caricarmi su un treno che fa quel percorso, ancora non so se mi va. è che i gradini dei treni sono altissimi, e a me sembra di essere troppo pesante per salirci su. poi però mi torna in mente di quando, sul treno che portava me a roma e te in calabria, ho fatto volare con la borsa il cappello di quella signora, e mi viene ancora da ridere a ripensare alla sua faccia. e se mi concentro su di te, sulla signora e sul suo cappello, magari tutta questa pesantezza se ne va.

Addì 1 octobre anno di dio 2007

(bononia)

E' il primo ottobre, sono le 9.53, tempo soleggiato, ma umido e freschino (siamo sui 15 gradi).
Questo blog per me è un esercizio. Un po' perché mi obbliga a riflettere su di me, cosa che peraltro mi viene abbastanza facile, ma soprattutto perché crea un ponte.
Un ponte fatto di barche, mobile, precario, ma non provvisorio.
Un'idea di ponte, un progetto di collegamento fra due realtà.
L'altro po' di esercizio è la scrittura a quattro mani. Non vorrai mica arrivare a 65-70 anni all'Avana, nella nostra suite già prenotata all'Ambos Mundos, così, senza nessuna preparazione, e improvvisarci autrici della pietra miliare della letteratura del ventunesimo secolo (almeno per quanto ci riguarda).
Ci vuole affiatamento, allenamento a superare gli scazzi quotidiani, gli sbalzi d'umore, i vuoti della comunicazione, gli stand-by del pensiero.
Mica potremo citare a vanvera versi di Macbeth e pensare di cavarcela così.
Non avremo mica spie sotto le spoglie di gestrici di locande da ricamarci sopra.
Ci serviranno argomenti concreti, flussi di coscienza solidificati da sciogliere sulla tastiera.
Va bene che saremo vecchie e forse un po' più atarassiche, ma insomma non si può mica far affidamento sulla saggezza della senescenza.
Detto ciò.
Il libro di Paolo Nori non l'ho letto, non so se lo leggerò a breve.
E che dio mi perdoni non conosco assolutamente la discografia di Guccini.
Però so dov'è viapaolofabbriquarantatré. Adesso. Prima neanche quello.
Comunque non mi sono mai sentita rappresentata da nessun esponente della bolognesità in ambito televisivo-massmediologico. In effetti a domanda:che cos'è la bolognesità? non saprei proprio cosa rispondere. A proposito: cos'è la romanità?

Piuttosto, stavo pensando.
A proposito delle parole delle opere e financo delle omissioni.
E' che o si paga un po' ogni giorno la propria codardia, la mancanza di coraggio di essere fino in fondo ciò che si è. (Cioè gente che tendenzialmente starebbe sul divano a fissare il soffitto, mangiare solo pizza e parlare e parlare e magari buttare giù anche una notevole quantità di alcool, chiedendosi come sarebbe andata se) E allora si lavora, si fa, si briga, ci si stanca e ci si fa violenza.
Oppure si ha il coraggio, la sfrontatezza, forse anche l'incoscienza di essere ciò a cui gli dei mono e politeisti ci hanno condannato. E si paga. Tuuto in una volta. O in comode rate. Ma non giorno per giorno.

Detto anche questo.
La tua prodigiosa memoria mi obnubila, come al solito.
Mi ricordo il pesce crudo, la febbre, le riflessioni sui massimi sistemi a tarda ora.
Ma il cappello, le ultime parole... (Così mi porto avanti col prossimo post di commenti/risposte)
Mi ricordo in più però la colazione prima che tu partissi.
In un posto che poi credo sia stato inghiottito dalla terra, perché non l'ho più ritrovato. Oppure è come quelle isole che emergono e vengono sommerse ogni tot tempo, o al cambiare della luna, delle maree, di non so più cosa...
Ecco forse quel caffè lì è soggetto alle melazete.

E torna, chista casa attende solu attìa.

(PS: hai già perso il primato di prima estimatrice del pneumogiaciglio)