mercoledì 23 aprile 2008

gli occhi grigi come la strada

(roma)

ti è rimasta quest’istantanea. di quelle immagini che poi non se ne vanno più. mai. ti volti verso sinistra. il buio. è tutto stretto, grigio, strano. magnetico. e all’improvviso quella figura bianca che ti fissa. a lungo.

non vado mai al concerto del primo maggio, perché ho paura della folla. per me, più di una persona, è folla. più di un milione, è follia. un paio di volte ho rimediato i pass per il backstage, ma la quantità di gente non cala molto; la qualità invece sì.
però quasi ogni anno vado a vedere le prove. seduta sul pratone, insieme a pochi altri. che poi è strano. gli artisti sono gli stessi che suoneranno il giorno dopo, il prato è lo stesso, le canzoni pure. perché ogni volta non c’è la folla? non lo so. ogni volta non c’è la folla. ne sono felice.
un anno lui mi fa, io qui ci ho visto de andré. all’una di notte. che suonava. e non c’era nessuno. nessuno. è che di notte le prove non le fanno, in genere. e lui passava in macchina, e ha visto il palco illuminato e ha sentito la musica. ha accostato, curioso. fabrizio de andré che provava, l’unico, a quell’ora. la piazza deserta. le luci sul buio. un solo spettatore, i tecnici, mezz’ora, poi basta. tutto spento. finito. un concerto di mezz’ora di de andré per un solo spettatore.

eri a genova. eri in via del campo. tiravi verso i vicoli alla tua sinistra, ma erano così scuri, anche in pieno giorno, e stretti, e deserti. non c’era proprio nessuno, dentro. e allora ogni volta ci provavi, facevi pochi metri, ma poi sentivi il freddo del buio, e il suo silenzio. e tornavi indietro nella folla, colore, luce, caldo, e continuavi così a ogni carruggio che incrociavi, qualche metro nella luce e qualche metro nel buio, colore e calore, notte e freddo, chiasso, luce, silenzio, buio. e poi ti sei voltata verso il grigio e c’era questa figura a metà del vicolo che ti fissava, vestita di bianco. davanti a un portone di un palazzo inclinato verso la strada. guardava te. e tu l’hai guardata. per lunghissimi secondi. e saresti tanto voluta andare lì, ma avevi paura. l’hai guardata quasi in lacrime, per quello che non sei, per il coraggio che non hai. e alla fine hai distolto lo sguardo, e sei andata via.

lunedì 21 aprile 2008

la natura vulcaniana è dentro di te (ma è sbagliata?)

(roma, in partenza per il pianeta vulcano)

siccome ieri è successo che un qualcosa è sbucato fuori all’improvviso da un qualche recesso di non so che e mi ha azzannata, ho deciso che riprendo le lezioni per diventare vulcaniana. ai vulcaniani non capita mai che un qualcosa sbuchi fuori all’improvviso e li azzanni; a meno che non abbiano seri problemi col pitbull del vicino. ma anche in quel caso, lo toccano sulla spalla e lui piomba a terra senza nemmeno fare caì (il pitbull; però, volendo, anche il vicino).
a differenza di data, che in teoria non dovrebbe provare emozioni se ha il chip emozionale disattivato (ma poi in realtà noi tutti sappiamo che le prova, ecco), i vulcaniani le controllano. i vulcaniani toccano sulla spalla le emozioni e loro piombano a terra inoffensive. data cerca disperatamente di provare emozioni, perché le considera meravigliose, perché vuole essere umano. i vulcaniani disprezzano gli umani. io sono un’aliena(ta) che aspira a diventare vulcaniana e che quando la notte non riesce a dormire perché le è ripresa l’insonnia, immagina che accanto a lei ci sia data a tenerle compagnia.
chi soffre di insonnia si crea una lunghissima serie di scenari paralleli, in cui riesce a dormire. ha svariate ore a sua disposizione, ogni notte, per farlo. io, negli anni, ho creato un continente su questo pianeta, studiato nei minimi dettagli; ho creato altri pianeti; ho creato interi universi. in più posso usufruire della comoda opzione di inserirmi in realtà già create da altri, libri film telefilm cartoni animati qualsiasi cosa, che uso quando ho litigato con qualche amica di un universo parallelo e non mi va di passare a trovarla.
poi ogni tanto mi viene il dubbio che magari esistono davvero, da qualche parte, tutti questi pianeti e universi e; e che magari davvero vengo da lì e quindi non li creo ma li sto solo ricordando. però, con una media standard di tre ore scarse di sonno a notte, questi dubbi verrebbero a chiunque, io credo. lo dice anche l’elefantino viola qui accanto, lo dice.

(è che quando cerchi di pensare a qualcosa che ti faccia stare bene, ti freghi da sola. è come quando cerchi di tenere sotto controllo la respirazione: la respirazione deve andare in automatico; se ti concentri, dopo un po’ assomigli a darth fener con un attacco d’asma. è la stessa cosa per i pensieri felici: stai lì che pensi, ora mi faccio venire in mente qualcosa di bello, di divertente, che mi faccia stare bene, e dopo tre minuti corri a piangere da data. perché, un po’ i ricordi sbagliati, un po’ gli scenari futuri sbagliati, un po’ i pensieri sbagliati... è che a certe ore della notte, dopo che certe cose ti hanno azzannata all’improvviso, è un po’ tutto sbagliato).

sabato 19 aprile 2008

del perché sostengo da anni l’idea di una sit-com sul quartiere-paese

(roma, quartiere-paese)

b. - ...e mentre caricavo il motorino ho incontrato il signore, quello tanto gentile, tanto distinto, no?
s. – ...
b. – che mi chiede come va e io gli dico, insomma, sto andando a trovare mia sorella in ospedale, e lui mi fa, mi spiace, spero niente di grave, e io gli dico no l’hanno operata di emorroidi...
s. – ... (una certa qual silenziosa perplessità di s. sull’opportunità di informare un estraneo riguardo le emorroidi della sorella di b.)
b. – e lui mi fa, ma in famiglia ce le avete tutti? perché le emorroidi sono una componente karmica familiare. insomma, dice che dipende dal karma della nostra famiglia. che il karma della nostra famiglia è un karma che ci dà le emorroidi.
s. - ... (a s. è andato il tè di traverso e si sta strozzando)
b. - ...
s. - ...
b. – oh, non ce lo facevo mica così new age.
s. - ... (cappottata sotto il tavolo).

martedì 15 aprile 2008

due o tre cose che sono successe ieri

(roma)

ieri sera, a x-factor. i due cantanti a rischio eliminazione sono quanto di più diverso si possa immaginare. il primo è un ragazzino molto, molto carino, con dei bellissimi occhioni azzurri, che ogni volta infila almeno un paio di terrificanti stecche a canzone. è bello, piace a certo pubblico, può ritagliarsi la sua brava fetta di mercato vendendo la sua immagine e poco altro, ma le adolescenti che urleranno al suo passaggio e spenderanno le loro paghette in concertini e ciddìini, questo vogliono. la seconda è una signora interprete, con una signora voce e una signora tecnica. è una donna e questo già la penalizza nell’ameno mercato discografico italiano, ha classe e questo già la penalizza nella vita, è brava. vince il ragazzino.
ieri sera, su flickete. un mio amico ha appena pubblicato due foto. una è banalotta, il classico primo piano di una ragazza carina ma niente di che, che si limita a guardare la macchina fotografica con aria rassegnata. una foto media, di una persona media, che evoca sensazioni medie. la seconda è una foto che a me piace tantissimo, per lo sfondo, i colori, la scena; è buffa, è originale, non punta tutto su un paio di begli occhi ma su un insieme che è sensato, divertente, fuori dalla media. né più alto né più basso della media, semplicemente fuori. ci siamo divertiti a seguire la gara di contatti fra la prima e la seconda foto. ha stravinto la prima.
ieri sera, in italia. è successo qualcosa, ma adesso non riesco proprio a ricordarmi cosa.

lunedì 14 aprile 2008

milano, special thanks to

(roma, もいちど a roma)

- il cielo su milano, che più che ridere al mio fianco sembra ridere di me, ma va bene così. alla fine, ci si affeziona anche, a quell’assurda tonalità grigio milano.
- il convoglio della metro che a cadorna ha deciso di provare a spiccare il volo sbattendo le alucce; sarebbe la mia reinterpretazione poetica di un treno fermo in stazione per un’eternità, che apre e chiude le porte convulsamente, mentre io ripasso i nomi di tutte le divinità che conosco e a ciascuna dedico un pensiero affettuoso.
- luca, andrea e il cameriere ignoto.
- il toro senza palle su cui è bello girare come una turista idiota, i desideri senza speranza che è comunque bello esprimere, i castelli senza (più) panchine che restano belli da vedere, ma a distanza.
- il tipo con le buste della spesa e la di lui fidanzata, perché sono una coppia stupenda.
- il gruppo di virtuosi che ha suonato per me simpathy for the devil: il cantante, che l’ha usata come pretesto per insultare a sangue il mio dio per due ore; il chitarrista, l’essere umano (vivo) più immobile che io abbia mai visto; il bassista, che non si può allontanare due minuti per comprare le sigarette che subito ci trova a fare i cretini (non era fare i cretini, per inciso: era il famigerato colpo della gru); il batterista, che di tutta l’opera di j.k.j. proprio quella frase doveva andare a pescare.
- il futon de la muerte, grazie al quale il mio rapporto col materassone gonfiabile della pennuta non potrà che migliorare.
- la mansarda tutta, perché per la prima volta nella mia vita mi sono sentita una donna molto ordinata.
- la mansarda tutta, di nuovo, perché poche volte nella vita mi sono sentita così a mio agio in casa d’altri, e comunque mai a milano.
- il tram anni ’30 con le panche di legno, che è bellissimo.
- chi c'era anche senza esserci.
- il mio angelo custode invisibile, che ha dovuto fare gli straordinari per farmi sopravvivere, tra tentativi di accecarmi, avvelenarmi col caffè fuso nel microonde, rompermi svariate ossa, staccarmi pezzi di pelle e riempirmi di lividi.
- il mio angelo custode visibile, che ha preso in consegna una donna stressata, affamata, stanca e incline a diventare bianca con ghirigori viola in metropolitana, è riuscito a nutrirla, a farla dormire, l’ha ascoltata, sopportata e supportata, le ha fatto fare il giro dei sorrisi uccisi senza protestare, e alla fine l’ha fatta ripartire in condizioni decisamente migliori di come gli era arrivata.
- me stessa. perché lo so che non è stato facile, per me, e apprezzo davvero molto tutto quello che ho fatto. ora mi scrivo una mail, mi ringrazio e mi dico che mi voglio molto bene.

giovedì 10 aprile 2008

è che milano ha dei cortili bellissimi

(roma, incredibilmente, a milano)

sei scesa dal treno proprio a milano, contro ogni previsione. ma non sei ancora convinta che questa sia davvero la grigia. sei seduta per terra in una mansarda sui navigli. non avevi mai visto questa parte della città. è bella. è così bella che, per quanto ci pensi su, per quanto sia consapevole di essere scesa alla stazione centrale, per quanto tu l’abbia anche riconosciuta, la stazione degli addii, proprio non ti riesce di crederci del tutto, che questa sia milano.
ti sembrano diverse anche le persone. ti sembra che ci sia un modo diverso di respirare, di muoversi. di avere a che fare con te. è che, per la prima volta, ti sembra che questa città ti accetti. e tu, grata, accetti lei.
sei esattamente all’opposto rispetto a dove stavi l’ultima volta, e non è solo una questione di nord-est e sud-ovest. ieri stavi seduta sul divano più assurdo del mondo, con i piedi sul primo gradino della scala per il soppalco. sul secondo c’erano posacenere e sigarette, sul terzo il bicchiere e una ciotola di olive, sul quarto la bottiglia di vino. accanto a te, il libro che stai leggendo adesso. ti sei guardata inserita in quell’insieme, tu, divano, libro, sigarette, olive e vino. hai pensato che la città non significa nulla; che poteva essere un posto qualsiasi nel mondo, ma era il tuo tipo di posto. e hai capito che non sono i luoghi, il problema; e, tutto sommato, nemmeno i ricordi.
l’ultima volta che sei stata qui stavi leggendo il lungo addio; adesso il libro accanto a te è dialettica di un periodo di transizione dal nulla al niente. all’inizio ti ci sei trovata in pieno, ma adesso hai deciso di cambiare il titolo. non ti sta bene, ora, il transitare dal nulla al niente. devi fare ancora qualche chilometro, si vede, ma da qualche parte, tu, ci vuoi arrivare.

giovedì 3 aprile 2008

e siccome è facile incontrarsi, anche in una grande città

(roma)

se la motrice non sente la necessità di deragliare per prati per cogliere margheritine, se il treno non impatta contro un esercito di locuste pronte all’invasione della padania, se gli ufi non decidono di atterrare sui binari, se un qualche passaggio a livello non cambia dimensione all’improvviso, se non si verificano eventi su cui trenitalia non ha responsabilità quali guerre, insurrezioni, rivoluzioni, inondazioni, tifoni, glaciazioni, battaglie fra pianeti, esplosioni di reattori nucleari, trasformazioni in vasi di petunie o capodogli, contatto fra materia e anti-materia, espulsione del nucleo dell’antimateria e inizio procedura di autodistruzione, distorsioni dimensionali dovute alla decisione di s. di tornare in quella città lì.
se tutto questo non accade, io, settimana prossima, sto a milano.
se tra dieci giorni non sono tornata, pennuta, fai dragare i navigli.

(e siccome è facile incontrarsi, anche in una grande città, io avverto, che sto arrivando. perché, qualora dovesse davvero succedere, di incontrarsi, si sappia che è meglio tirare dritto facendo finta di nulla. siamo più felici così)