giovedì 29 maggio 2008

lo yo-yo atomico

(roma, anni ’80)

in uno dei commenti al post su hiroshima c’è scritto che “è il terrore che ci ha accompagnato per tutti gli anni ‘80”. io quando l’ho letto ho pensato: boh. poi mi ci sono concentrata un po’ di più, e ho elaborato: mah.
credo sia una questione d’età. per buona parte degli anni ’80 io sono stata troppo piccola per capire esattamente il concetto di bomba, figuriamoci poi atomica. e quando l’ho capito, avevo comunque altro da fare. prima o poi scriverò qualcosa sugli anni ’80, perché io ho avuto la fortuna di viverli con relativa tranquillità; conosco gente che si contorce per terra in preda alle convulsioni solo all’idea. i miei problemi, in quel periodo, erano, capire perché i miei cugini più grandi avessero iniziato all’improvviso a vestirsi da idioti e a parlare un gergo incomprensibile, e capire che diamine passasse nella testa di mia cugina quattordicenne. mi ricordo che decisi che sarei arrivata viva ai 14 anni, solo e unicamente per scoprire come ci si sentisse. beh, non un granché.
comunque, alla fine degli anni ’80 arrivai finalmente ad un vago accenno di età della ragione, iniziai a guardarmi intorno, a cercare di capire le cose. e loro iniziarono a cambiare le cose. io scoprii l’esistenza di un muro, e loro lo abbatterono. io mi feci un’idea della politica in italia, e loro la distrussero. io credo risalga all’89 buona parte della mia insicurezza, del mio scetticismo e del mio cinismo. voglio dire, tu inizi ad affacciarti sul mondo, e loro te lo cambiano ogni 5 minuti. non si fa così.
comunque, l’unica cosa di cui, di sicuro, non me n’è fregato nulla, negli anni ’80, è stata la bomba atomica. negli anni successivi oltretutto avrei scoperto che, l’atomica su hiroshima, aveva fatto molti meno danni e molte meno vittime dei vecchi banali bombardamenti su tokio, per dire, di cui non parla quasi nessuno perché quelle erano bombe normali, quindi, noiose. è che l’atomica faceva molta più scena e alla fine noi esseri umani siamo così. badiamo più alla forma che alla sostanza. e quindi, tutti quelli che hanno passato gli anni ’80 in preda al terrore per la bomba, per un intero decennio si sono lasciati tenere sotto scacco da uno yo-yo atomico (che è una definizione che può capire una sola persona, quindi non vi ci sforzate).

- Poi, c'è un fattore ambientale: noi, tutti, siamo cresciuti negli anni '80, gli anni della Milano da bere. Questo secondo me non ci ha fatto bene.
E aveva preso fiato per l'ipotesi last but not least.
- Ma io ho sempre pensato che il vero problema fosse il nemico. C'è una vignetta di inizio anni '90, tra muri crollati e balene bianche alla deriva, con un vecchio comunista ubriaco che gira solitario nella notte attaccato a un fiasco di vino, che cerca qualcosa, e ricorda i vecchi tempi, è perso e disperato, e alla fine urla: ridatemi il nemico!
Aveva cercato il pacchetto di sigarette, si era ricordata che in quella cella su quattro ruote non si poteva fumare e aveva continuato.
- Noi siamo cresciuti senza nemico. Quando abbiamo iniziato ad affacciarci, timidamente, sul mondo, a farci una coscienza che spaziasse lievemente oltre il nostro ombelico, ci si è sgretolato tutto attorno. Ci sono caduti muri, si sono arenate balene bianche, ci si sono scissi partiti. Quando andavo alle manifestazioni i celerini mi sbadigliavano in faccia. E puoi immaginarti che gusto ci fosse a prendersela con un ministro, uno qualsiasi, di un governo tecnico. La mia generazione è quella rimasta più sconvolta dal casino successo al G8 di Genova, perché noi non ce lo aspettavamo. Le generazioni precedenti lo sapevano. Quelle successive se lo aspettavano. Noi no. Secondo me, il nostro problema vero, è che noi non abbiamo avuto un nemico, quando era giusto averlo. Quando era fondamentale, averlo.
(gp6)

martedì 27 maggio 2008

volevo dichiarare solennemente

(roma, piena di buoni propositi)

che stavolta la foto insieme la facciamo.
lo so che l'avevo dichiarato anche l'altra volta, e poi invece sono sgattaiolata via con aria vaga.
ma stavolta, si fa. chiaramente effettata al punto che nulla di me, nemmeno un millimetro, sia riconoscibile. ma si fa. e poi la mettiamo al posto della pallocca gialla, eh.
poi volevo annunciarti, un po' meno solennemente, che nonostante in questo periodo io non stia soffrendo per amore né stia tirando testate contro l'armadio né sia nascosta sotto il piumone a sguazzare in tutto il mio incontenibile dolore né, insomma, nonostante pare, scongiuri facendo, che più o meno vada tutto decentemente o quantomeno non vada tutto catastroficamente male, nonostante questo, io avrei ricominciato a scrivere. e non è una storia d'amore, anche se chiunque abbia letto eureka street sa benissimo che tutte le storie sono storie d'amore; e c'è addirittura qualcuno, a cui io del resto lo dico sempre che è un dannato genio, che l'aveva capito anche prima di leggerlo.
è martedì, o donna. che la forza sia con te.
e che l'aspirapolvere sia con me. ma non potevi essere allergica al polline come me, tu?

mercoledì 21 maggio 2008

ad memoriam

(bologna)

un po' qua e un po' là.
ovvero la fenomenologia dell'esistenza in pillole per chi non ha tempo di essere se stesso.

il commissario de luca, ovvero sull'ineluttabilità o meno di essere uomo del proprio tempo.

io che mi scopro ancora una bozza di essere umano, ovvero sull'importanza dello studio e i suoi riflessi sulla capacità di assorbire quando per molti è già troppo tardi.

sulla vita dopo la morte, ovvero anche io, come te caro luigi tenco, vorrei tanto sapere cosa pensano veramente gli altri di me. in questo per me consiste l'unica curiosità sulla vita oltre la morte.

cento balene spiaggiate a dakar, ovvero sulla rassicurazione che si prova nel sentire forte uno scopo nella propria vita. anche se è sbagliato, basta che sia tanto forte da apparire ineluttabile.

efraim medina reyes è sposato con una vicentina e aspetta un figlio. in provetta. no dico. ma che cazzo avranno ste donne venete?!?

e soprattutto ho una teoria su xfactor. in realtà il tipo con la chitarra è un fine cantautore. si è prestato a mettere in scena alcuni fra i più degradanti spettacoli musicali della storia, eliminando gente, che, solo apparentemente secondo la mia teoria, gli mangiava in testa. ma lui lo ha fatto solo per il bene dell'arte. ha dato via il culo perché il mondo sapesse.
ecco, questo è quello che mi racconto per evitare di sfondare a testate quel suo sorriso fastidioso e quell'onnipresente chitarrina perennemente non amplificata.

devo smetterla di leggere i blog degli altri, che mi porta via tempo per pensare, leggere e fare citazioni molto colte di certi poeti musicisti appenninici, che poi mi viene voglia di cancellare tutto quello che ho scritt....

martedì 20 maggio 2008

non dire una parola che non sia d'amore

(roma)

volentieri, ma non la trovo sul vocabolario.
io ho avuto giornate terrificanti, volevo dirlo. che sono forse finite, conoscendole no, ma sono state davvero terrificanti. così terrificanti, che mi ero completamente scordata che si avvicinava il 20 maggio, il giorno che una si sveglia e pensa l’amore splende. proprio dimenticata, io. ho vissuto queste giornate terrificanti (ho passato qualche giorno complicato, si era capito?) del tutto immemore che.
poi stamattina mi sono svegliata, e ho pensato che qualcosa splendeva. o meglio, anzi, o peggio: ho pensato a qualcosa che splendeva. e dopo aver pensato parecchio, mi sono ricordata che oggi era il giorno che. e sono stata presa dal panico.
ho dovuto riavviare che si era bloccato tutto, e lì per lì sembrava che andasse tutto bene, che in effetti era comparso il solito messaggio di avvio, arghcaffèargh. poi però.
comunque ci ho pensato bene su e ho cercato con attenzione, sotto il tappetino della camera da letto e quello della cucina e quello in bagno no che l’ho lavato, e nell’armadio e dietro i libri e, insomma ovunque, e non mi sembra di aver trovato nulla che rientrasse nella definizione di amore, almeno in quella che io penso sia la definizione di. però poi mi sono resa conto che io dentro di me ho più o meno un’idea, un’immagine, un qualcosa di astratto e svolazzante che dovrebbe all’incirca corrispondere a, ma poi in effetti, a parole, cosa sia l’amore non lo so.
allora ho preso il vocabolario e ho cercato amore. quello di italiano, prima. poi quello di inglese e quello di francese e, maledizione, anche quello di giapponese, il popolo più avaro a definire le emozioni di tutta la galassia, e ho scoperto che tutti, in qualsiasi parte del mondo, sanno dare una definizione dell’amore, tranne me.
quantomeno piove, che è già qualcosa.
un giorno, mia adorabile pennuta, e per un giorno intendo forse tra mezz’ora forse domani forse mai, che poi in fondo cosa cambierà nella nostra vita, assolutamente nulla, un giorno ti racconterò dell’unica volta nella sua esistenza in cui questa personcina che ti scrive si è confrontata con la sconcertante esperienza del colpo di fulmine. che, su cosa sia successo quando questa personcina si è confrontata con la sconcertante esperienza dell’amore, hai già letto quasi tutto, ormai.

mercoledì 14 maggio 2008

non ho capito

(roma, appena letto qui)

Secondo il sindaco ''se c'è una persona sgradita a Roma deve essere allontanata e questo vale, ad esempio, per i milanesi e per i cittadini dei paesi neocomunitari, altrimenti le nostre città saranno invase da cittadini che operano ai limiti della legalità''.

cioè, dobbiamo allontanare i milanesi?

p.s. -6

lunedì 12 maggio 2008

-8

(roma, saturno)

ieri sono andata a dare un’occhiata al mio oroscopo 2008. tipo, vediamo se si smuove qualcosa. e menomale che ho controllato, che altrimenti il 20 maggio mi innamoravo senza saperlo, a luglio vivevo un mese straordinario e neanche me ne accorgevo, ad agosto trovavo il lavoro perfetto (agosto?) senza che me lo dicessero e a ottobre addirittura andavo a convivere senza saperne niente. cioè, che una si sveglia il primo ottobre, si trova un uomo in casa, e gli fa, etuchicazzosei? non è bello, eh.
insomma, dopo un periodo di stanca (ci piacciono gli eufemismi, si sa), ad agosto la mia vita professionale farà il botto. agosto. cioè, agosto. notoriamente il mese in cui tutti gli uffici e le società sono aperti e l’attività ferve frenetica. agosto. ma questo è niente in confronto alla mia vita sentimentale.
che io il 20 maggio, e mancano solo 8 giorni, mancano, io il 20 maggio mi sveglio e penso: l’amore splende. l’amore splende? io al massimo appena sveglia posso pensare arghcaffèargh. e comunque non mi è chiara una cosa: io mi sveglio da sola, e penso l’amore splende, o mi sveglio con lui (che poi, chi è? dov’è? che fa? chiaro che se mancano otto giorni devo averlo già conosciuto. e allora, dove diamine sta?) e penso l’amore splende, o mi sveglio con un altro (eh, cominciamo bene) e penso l’amore splende, sì, ma non con te? che succede, eh. è triste ma succede. stai con una persona, e pensi, è quella giusta, per tutta la vita, e vi mettete insieme, e magari andate a vivere insieme, e tutto è rose e fiori, e poi una mattina ti svegli e l’amore splende da un’altra parte. a me è successo. di svegliarmi la mattina, e accanto a me c’era un uomo, e lui pensava: la amo. l’altra. allora, parliamone: prima o poi dovrà pur succedere anche a me, che una volta tanto sono quella che non ci resta fregata, o no? comunque, ok, mi sveglio il 20 maggio e l’amore splende. allora, siccome il mese meraviglioso sarà luglio, si deduce che io dovrei passare giugno a sedurre ‘sto tizio. e come faccio? no, che io quanto a tecniche di seduzione, praticamente, ho la carica sexy di un tacchino. ma non di quelli vivi, che al limite, insomma, zompettano, gloglottano, oh, c’è a chi piace. no, io un tacchino morto. ripieno. ma ancora crudo.
allora a giugno quest’uomo si seduce da solo (è l’unica), e a luglio viviamo questo mese splendido, meraviglia delle meraviglie, poi ad agosto, ok, io sarò un attimo impegnata a far decollare la mia carriera (agosto?), ma a settembre... eh, settembre? l’oroscopo ce l’ha lasciato libero. allora, se lui è d’accordo, potremmo magari farci un viaggetto, a settembre. per il mio compleanno, tipo. me, mi piacerebbe tanto andare in giappone. devo solo trovare una compagnia aerea che faccia voli di dodici ore in anestesia totale, poi sto a posto. e a ottobre andiamo a vivere insieme. perfetto. è tutto sotto controllo. va bene così. ho capito tutto.
sarà un anno di schifo anche questo, sarà.
uffa.

mercoledì 7 maggio 2008

原爆文学

(roma, hiroshima)

in sintesi, è successo che qualcuno ha scattato delle foto subito dopo che. poi chiaramente è morto, perché trovarsi a hiroshima quel giorno dava poche possibilità di sopravvivenza. un soldato americano entrato in città pochi giorni dopo, ha trovato la macchina fotografica, ha sviluppato le foto, se le è tenute per 50 anni, le ha donate a un’università, dopo 13 anni sono state rese pubbliche. anche in rete. in un commento, un giornalista dice una cosa verissima, eppure, per motivi che non capisco, in questo caso, per me, non vera.
dice che tutte le foto dei massacri sono “oscenamente simili”. questo è vero. negli anni ci siamo trovati davanti un numero sempre maggiore di foto di cadaveri, cataste di cadaveri, montagne di cadaveri. abbiamo iniziato con le foto dei lager, reperti della memoria, e poi il passato e il presente si sono avvicinati sempre di più, fino a coincidere, e le immagini di questi rilievi innaturali di cadaveri sono diventate testimonianze in tempo reale. le fosse comuni, le guerre, le stragi, in qualsiasi parte del mondo, in qualsiasi momento negli ultimi decenni, ormai purtroppo ci sono familiari. non che ci lascino indifferenti, tutt’altro; ma a volte mi chiedo, mostrare una sola di queste immagini a qualcuno vissuto anche solo un secolo fa, che effetto gli farebbe? e non è solo una questione di assuefazione. è che, davvero, le cataste di cadaveri, di qualsiasi epoca e luogo, si assomigliano, nella spersonalizzazione delle vittime, nel mucchio che diventa singolo, nei fagotti che una volta erano esseri umani, individui, distinti; separati fra loro da aria, terreno, spazio vitale, respiro, calore, e adesso ammonticchiati in quanto non più singole persone ma simbolo collettivo di, cosa? follia? malvagità? e così, che si guardino le montagne dei campi di concentramento, le valli delle fosse comuni, le colline di soldati e civili dal vietnam all’iraq, si sta guardando una diversa angolazione della stessa immagine, una ripresa fatta più in alto o in basso o a destra o con maggiore o minore esposizione, ma si sta guardando la stessa foto. in genere. oggi, per me, no.
cadaveri, cioè persone morte. cadavere è già un nome che indica qualcos’altro, qualcosa che è passato oltre e ormai è diverso e quindi va indicato in un altro modo, ma un cadavere è una persona che prima era viva e respirava e, per esempio, stava attraversando la strada di corsa perché si era scordata di comprare qualcosa per una cena, e quindi aveva i suoi impegni e i suoi pensieri e tutte quelle cose che passano nella testa di tutti, e poi è successo che una macchina non ha frenato in tempo. o che un aereo ha scaricato una bomba. e quindi tutta la vita e l’individualità di questa persona si è dissolta nella parola cadavere. solo che con un singolo, se vogliamo, tornare indietro, al prima, ci riesce facile, mentre con una montagna di singoli no. la montagna può diventare simbolo, ma non torna indietro, non ridiventa, la cena da preparare, la lite col coniuge, i soldi che non bastano, il piccolo regalo a poco prezzo che però è stato importante, il bottone da riattaccare, la vita quotidiana.
insomma, io oggi a guardare quelle foto mi sono sentita abbastanza male. tutto qui.

domenica 4 maggio 2008

tesa per la tesi

mi ripeto: cara, che belle parole.
sono l'ennesima dimostrazione di come le cose bisogna cercarle dalle persone che possono dartele. e che questo basta a far svanire la stizza per ciò che chi ami non può proprio darti.

in questi giorni, settimane, mesi, la mia distimia si appunta su un argomento preciso. il che è strano, visto che di solito è endemica e travolgente di ogni aspetto della mia tapina esistenza.
voglio dire: sto bene.
mi sto sbattendo assai al lavoro, ma ciò, dio mi perdoni, mi fa sentire bene.
di più. mi riesce bene, faccio fatica, ma ho il perverso sentore che presto tutto avrà più senso di quanto non ne abbia già.
a casa va come deve andare. quel fottuto bastardo psicopatico sa farsi voler bene.
anche la gatta ha trovato un suo posto nel mondo. e adora il nuovo copriletto. incredibile come se lo liscia tutto, ci porta i suoi giochi, gli parla.
(devo preoccuparmi che presto lo scambi anche per una delle sue lettiere?!?)
i miei invecchiano, ma ancora si riesce a mangiare insieme e ridere delle stesse cose, a parte tutto.

ma cazzo.

ho un'angoscia che neanche riesco a dire e per la maggior parte del tempo tento di non pensare. la tesi. l'ultimo fottutissimo gradino verso la laurea.
la prima idea, o meglio l'ultima della serie, era di farla sul processo di informatizzazione della relazione fra amministrazione finanziaria e cittadini.
-lo scrivo qui e non in mail per un motivo preciso: questo non è uno sfogo per un problema che in fondo so già in cuor mio come risolvere. questo è un disperato grido di aiuto al mondo. che non so proprio come cavarmela. aiutatemi che sono messa male (cit.)-
ho scelto l'argomento per motivi abbastanza ovvi: internet, innovazione dei processi, sono argomenti che mi interessano. l'amministrazione finanziaria è un interlocutore quotidiano. quindi mi son detta: uniamo l'utile al dilettevole.
ma ovviamente il corso di laurea in scienze della comunicazione non ha corsi di organizzazione del lavoro o simili. quindi mi rivolgo alla prof. di sociologia dei nuovi media per vedere se riesco a farmi aiutare a chiarirmi le idee sul cosa e il come. ci metto tipo due mesi per buttare giù le tre cartelle che richiede solo per cominciare a parlarne. ci parlo e lei mi dice che:
- scrivo di merda e se voglio fare la tesi con lei devo essere chiara e sintetica
- non è compito suo dirmi come impostare il lavoro, né tantomeno suggerirmi testi da cui partire
- siccome sono le 7 e mezza di sera allora vabbé mi darà un "aiutino". mi da i nomi di alcuni siti che le vengono in mente sul momento e l'indirizzo di un'altra prof a cui chiedere lumi
- devo tornare solo quando avrò effettivamente capito cosa, come, con che approccio e in che tempi voglio fare
Io scrivo la mail alla prof di cui ho avuto l'indirizzo (dopo altre 2 settimane di tentativi di cancellare il problema dalla mia mente e ricerche online che non portano a risultati concreti). Mi tengo sul generico (lei mi aveva detto che era inutile riraccontare a chi ne sà già la storia della rava e della fava). La invio anche a lei in copia (me lo aveva chiesto lei).
Mi risponde subito la mia potenziale relatrice, dicendo che non sono stata abbastanza chiara e che l'altra prof non potrà aiutarmi se non le racconterò di più.
il tutto in un tono altamente polemico, come se le avessi fatto un torto.
attonita, le rispondo che avevo cercato di essere sintetica come lei mi aveva detto, ma che forse avevo esagerato, e che avrei riscritto cercando di essere più esaustiva.
lei mi risponde subito, nera, dicendo che non ero stata né chiara nè sintetica come lei mi aveva detto. poi parte con una dissertazione sul concetto di chiarezza unita alla sintesi.
io sconvolta. si è presa la briga di rispondere ad una mail che non richiedeva risposta per il puro gusto di infierire. o è crazy o vuole dissuadermi dal fare la tesi con lei.

ora mi trovo con il numero di cellulare della prof. a cui avevo scritto che attende una mia chiamata (ha già fatto letture di base, immagino... mi dice). e io che non so da che parte prendermi.
non riesco a sbloccarmi, non trovo informazioni utili per farmi un'idea (ovviamente la mia prof. aborre le fonti ufficiali), sono totalmente in preda alla mia folle angoscia.
ecco, l'ho detto, sono una squilibrata.

sabato 3 maggio 2008

ambos mundos, anniversari, noi

(roma, ubriaca come non mai, come ben si conviene a ogni festa di compleanno)

mia adorabile spenné.
dovrei rileggermi tutto il blog, forse, per fare un discorsetto adeguato sul nostro primo anno da due mondi online, ma in effetti non mi serve: un po’ perché io non faccio mai niente di adeguato; un po’ perché sono troppo ubriaca anche solo per rileggere quello che sto scrivendo ora, figuriamoci quello che abbiamo scritto in dodici mesi; un po’ perché, tutto sommato, mi ricordo com’è andata.
della situazione di partenza, tu con un lavoro, un fidanzato e niente gatti, io con lavori instabili, storie instabili e un gatto instabile, è cambiato solo che adesso anche tu hai un gatto. instabile assai, peraltro (si vede che a noi coi gatti ci va così).
tempo fa abbiamo discusso su questo mio/tuo/nostro blog, perché entrambe, per qualche motivo, lo sentivamo più il blog dell’altra. io continuo a sentirlo tuo, ma per me è bello; è il motivo per cui ci sto così comoda, qui dentro. sono arrivata qui, un anno fa, nelle stesse condizioni in cui, ogni volta, arrivo a casa tua: c’è qualcosa che mi fa male, molto male, troppo male; quando diventa “troppo troppo male”, faccio un biglietto per bologna. tu mi raccatti in stazione, mi stai a sentire, io mi lamento il giusto; la sera beviamo insieme, il giorno vago da sola per le tue strade e le tue piazze. magari a te questo mio girare per il centro, per ore, per giorni, sembrerà strano. non so se ti ho mai spiegato davvero quanto mi faccia bene la tua città. quanto, ogni volta che ci sono passata senza fermarmi, perché andavo o venivo da milano, mi si sia ribellato il cuore, all’idea di non fermarmi, non scendere, non respirare. io a bologna respiro. espiro tutto quello che ho accumulato nei mesi precedenti e che mi ha fatto male, inspiro quanto serve per sopravvivere fino alla prossima volta. nei miei giorni bolognesi non faccio altro che girare, per strade già note e posti già conosciuti. l’itinerario standard, al’inizio, appena arrivata, è sempre lo stesso: scendo dall’autobus, indipendenza, giro a sinistra, feltrinelli, due torri, attraverso, torno indietro, nettuno, maggiore. poi vago. a volte il ghetto, a volte via zamboni, tutti i viali, i giardini, il pratello, saragozza; dove capito, per me va bene. cammino, scarico, respiro, ricarico. il tutto con la sicurezza che poi, alla fine di ogni giornata, c’è casa della pennuta che mi aspetta. mi piace venire ad aspettarti fuori dall’ufficio. anche quando fai tardi. anche quando piove. anche quando ho percorso così tanti chilometri che rischio di addormentarmi sulle panchine nel giardino davanti al portone.
qui, per me, è lo stesso. ogni volta è come salire su un treno, scendere in stazione, camminare. scarico, cammino, respiro. poi ti aspetto. anche se fai sempre tardi. anche se quasi sempre piove. ho trovato una panchina comoda anche qui, ho i miei libri da leggere mentre ti aspetto, so che poi si torna a casa insieme. se ho avuto una giornata speciale mi porti a prendere un aperitivo e mi lasci raccontare. se è stata così speciale che un aperitivo non basta, poi mi porti a bere in almeno tre locali diversi. anche se non siamo sole, abbiamo le nostre serate solo per noi, le nostre cene insieme; anche se altri ci ascoltano, ci leggono, ci parlano, la maggior parte del tempo e dello spazio è nostra. è esattamente quello che doveva essere, per me: roma e bologna.
andrei a stappare un’altra di queste buffe cose alla tequila, ora.
buon anniversario.