venerdì 27 giugno 2008

tutto (quasi) normale

(roma)

verso le 5, dopo aver passato le ultime ore a immaginare scenari futuri tra il terrificante, il catastrofico e l’apocalittico, mi alzo e convoco una riunione con gli abitanti del soggiorno.
spiego all’uditorio (un po’ assonnato, soprattutto il cuscino del divano) che, a quanto pare, ho ricominciato a soffrire d’insonnia, e che dobbiamo delineare un piano d’azione per evitare che vada a finire come le altre volte, con me lì sveglia che parlo coi mobili. la lampada mi fa garbatamente presente che è proprio quello che sto facendo, stare lì sveglia a parlare coi mobili. le rispondo che, no, così va bene: sono del tutto cosciente e consapevole del mio parlare coi mobili e ho la situazione perfettamente sotto controllo. quello che intendo io è che si dovrebbero evitare certe scene, ammettiamolo, poco edificanti, accadute in passato, col mobilio che polemizzava con me mentre se ne andava a spasso su e giù per il soggiorno. la poltrona verde sbuffa e insiste che lei non c’entra niente, che sono mesi che me lo ripete: non si è mossa di un millimetro da dove stava, mi sono immaginata tutto io. la guardo malissimo e le rispondo, certo, certo; e adesso vorrai anche sostenere che non solo tu eri ferma, ma il bastone della pioggia non ha nemmeno parlato. la poltrona verde scuote un bracciolo mentre il bastone della pioggia tossisce con aria vaga.
mi accendo una sigaretta e faccio presente, con molta pazienza, che sto solo chiedendo un po’ di collaborazione; spiego che questo è un buon periodo, per me; sono tranquilla, contenta, non c’è nulla che mi spaventi, nulla che mi faccia male, sono felice così. l’albero di natale nano mi chiede, se va tutto così bene, che cazzo ci faccio in piedi alle 5 di mattina a parlare coi mobili. sto per dargli una risposta logica ed esaustiva, però decido che io, con gli alberi di natale nani, ci parlo solo tra dicembre e gennaio. quindi me ne torno a letto, ad aspettare l’alba abbracciata al cuscino.

mercoledì 25 giugno 2008

non riesco

(roma)

a scrivere assolutamente niente.
ci tenevo a scriverlo, ecco.

domenica 22 giugno 2008

ti stimo molto (volevo solo dormirle addosso)

(roma)

l’aspetto più complicato del cercare lavoro, per me, sono le lettere di presentazione/motivazione. quegli ameni esercizi di falsità in cui devi far passare il concetto che loro sono una grande azienda, tu sei una persona responsabile entusiasta e proattiva, e il motivo per cui vuoi lavorare per loro è che li ami (non, fare la spesa; non, pagare le bollette. no. li ami. perché loro sono una grande azienda e tu sei proattiva).
ecco, io mi aspetterei, dopo tutti gli sforzi che faccio, almeno una mail di incoraggiamento. qualcosa del tipo, guarda, il lavoro non te lo diamo neanche morti, però si vede che a scrivere quella robaccia ti ci sei proattivamente impegnata, brava.
comunque, adesso basta. si apre una nuova era delle lettere di presentazione. d’ora in poi le scriverò:
- solo ed esclusivamente in stato di esuberanza alcolica, con qualche variante (solo alcool, alcool e prodotti di erboristeria, da sola, in compagnia, facendo ubriacare un’amica e convincendola a dettarmi una lettera sulla mia adorabile personcina);
- cercando sul vocabolario aggettivi col metodo, apro qui qui e qui e punto il dito sulle pagine scelte dal fato (appena fatto: è venuto fuori che sono piccante, disagevole e asiatica; con questi requisiti non vedo come potrebbero non assumermi);
- parlando del più e del meno (sì, lavorare ho lavorato, delle qualità ce le avrei anche, ma ora voglio raccontarle di quella volta che ho investito il postino);
- puntando tutto sulla sincerità (la vostra azienda mi fa orrore e quanto a me sono una persona orribile; non trova che siamo fatte l’una per l’altra?).
non sto scherzando. da oggi faccio davvero così.
comunque, il mondo è una grande azienda. dal profondo della mia proattività, lo stimo moltissimo.

mercoledì 18 giugno 2008

a chi tradisce gli amici

(roma)

mellonta tauta

di aver sperato
non mi vergogno
né di sperare
chico
non credo
alle scritte enormi dei palchi
credo alla carne
da tatuare

alba.
amici comuni
recensiscon sconfitte

notte.
di nuovo il suono
di calci di fucile
che sfondano porte

rosa.
e poi siamo soli
lasciate il mondo
alla fine
alle ruspe
ai re della droga
ai pipistrelli
a chi tradisce
gli amici.

(stefano benni)

domenica 15 giugno 2008

dramma della gelosia - tutti i particolari in cronaca

(roma, spoiler)

non è il più famoso tra i film di ettore scola, né tantomeno il più apprezzato; qualche critico c’è anche andato giù un po’ duro. io lo amo. nelle sue imperfezioni e nel suo essere indefinibile; perché poi, cosa sia, se il film drammatico più divertente che abbia mai visto, o la commedia più struggente, non lo so. è un film. bello, di una bella bellezza. che poi lo spoiler è relativo, perché il finale è chiaro già dalla prima scena, quando il commissario porta giannini e mastroianni dove è morta la vitti per ricostruire com’è andata. e, a fare un piccolo sforzo di fantasia, si capisce già dal titolo.
comunque, c’è la vitti che ama sia mastroianni sia giannini, non riesce a decidere fra i due, sta un po’ con uno un po’ con l’altro. alla fine, mentre lei e giannini stanno andando a sposarsi, incontrano mastroianni. tra i due uomini scoppia una lite e mastroianni, per errore, colpisce a morte la vitti. queste sono le battute finali di lei che sta morendo. non si trovano da nessuna parte, in nessuna antologia di battute celebri di film, su nessun sito; e non riesco a spiegarmelo, perché è una di quelle cose che le senti e pensi, è tutto qui. non c’è altro da dire.

vitti (a giannini) : te perdóno.
giannini: non sono stato io, è stato lui.
vitti (a mastroianni) : te, te possino ammazzatte.
mastroianni: ma come? a lui te perdono, e a me, te possino ammazzatte?
vitti: a te, te amo de più.

martedì 10 giugno 2008

distimic non so più che

(roma)

la mattina mi sveglio, striscio in cucina e vengo accolta dal calcare festante, che mi dà un bacino sulla guancia e mi chiede se voglio il caffè. da quando gli ho concesso la proprietà del lavandino è un altro; nessuno prima lo aveva mai accettato così. si sente la regina della casa, e in effetti, salvo qualche controversia dinastica con la polvere in soggiorno, lo è.
mi sento tutti, ma proprio tutti, i sintomi del doposbronza. chiedo al frigorifero e alla dispensa cosa risulti loro che io abbia inserito nel mio stomaco ieri. mi elencano, due tazzine di caffè e una tazza grande di caffè americano, una mela e dei biscotti al cioccolato. niente alcool. mi consulto con il bastone della pioggia, se ritiene possibile che si tratti ancora del whisky di sabato. non hai più il fegato di una volta, mi risponde lui. non ha quasi più il fegato, sibila l’albero di natale nano. sì, è giugno e io ancora ho l’albero di natale nano sulla mensola, accanto al bastone della pioggia. sotto un certo punto di vista, non è ancora lì: è già lì. tutto è relativo.
accendo una sigaretta e guardo gatto che guarda il sole. mi viene in mente il finale di colazione da tiffany, anzi, i due finali, quello del libro e quello del film. gli dico di non preoccuparsi, che io non lo caccio da un taxi sotto la pioggia. mi risponde che lo sa benissimo: non abbiamo abbastanza soldi per poterci permettere un taxi.
non era esattamente quello che intendevo, ma va bene così.

mercoledì 4 giugno 2008

fiori regalati a maggio e restituiti in novembre

(roma)

e quando le storie finiscono non si ha più voglia di aspettare che finiscano per tutti. e quando il tempo ricomincia a scorrere non si ha più voglia di accettare che per qualcuno sia rimasto fermo. e quando si hanno altri colori negli occhi non si ha più voglia di guardare chi è rimasto nel grigio.
ci si volta indietro e si vede una strana capsula del tempo, in cui una terza persona custodisce gelosamente rancori ormai sopiti, disagi ormai passati, dolori ormai svaniti. e non si ha più voglia di tirarlo via da lì.
si guarda avanti e ci sono altri occhi da cercare. hai altro a cui pensare. c’è una città intera che ha cambiato colore.
e fai quello che fai sempre: impacchetti tutto e lo spedisci via. e ti senti un po’ come se ti avessero regalato qualcosa di bellissimo, che hai guardato appassire, e adesso lo restituisci, perché non hai spazio per conservare petali morti di vecchi dolori.