domenica 28 settembre 2008

malinverno

di fabio lubrano
ed. zandegù



(malinverno è il sognatore delle notti bianche, che cammina nella schiuma dei giorni, solo come un mago baol)

(roma, vicolo malgrado)

pennuta.
come al solito qui tocca regalarsi libri a distanza, che la presenza per noi è qualcosa di sporadico e breve. per ora, almeno. sto facendo del mio meglio per avvicinarmi alle due torri; intanto, mi avvicino cambiando dimensione, e ti accompagno in libreria. ti regalo un romanzo nuovo.
me ne sto appollaiata da qualche parte sopra la cassa, ti guardo che lasci il grigio dell’autunno fuori dalla porta e punti dritta verso l’azzurro di questo inverno strano. la cassiera sorride e ti passa una busta leggera e pesante di malinconia. fa bene a sorriderti, perché riderai molto, leggendolo. se vuoi sapere com’è che la malinconia fa così ridere, è una questione di luce. non si direbbe, ma è dotata di un suo certo qual splendore.
quando l’ho letto, ho pensato che malinverno era il sognatore delle notti bianche che camminava nella schiuma dei giorni, solo come un mago baol. è la frase che ho messo accanto alla copertina, per chiunque non fossi tu, di passaggio da queste parti, con la voglia di comprarsi un libro. a te dico solo che malinverno è malinverno. leggi, o donna. che magari la prossima volta in libreria ci andiamo insieme davvero.

giovedì 25 settembre 2008

la miglior difesa è la fuga

(roma)

il bastone della pioggia mi ha rimproverato il fatto di non imparare mai dai miei errori. non sono per niente d’accordo. io imparo tantissimo dai miei errori, infatti ogni volta li faccio meglio. dieci anni fa non me lo sognavo neanche, il potenziale autodistruttivo di cui posso andare fiera adesso. il bastone della pioggia sostiene che, no, non è esattamente questo che si intende, quando si parla di imparare dai propri errori.
va bene, ma allora spiegatevi meglio, eh.
comunque ieri sera all’improvviso ho realizzato che sono a roma. considerato che sono tornata sabato, non si può dire che io abbia dato sfoggio di una spettacolare prontezza di riflessi. come sempre, del resto. cosa io abbia fatto da sabato a ieri, non mi è molto chiaro. so che ho avuto una torta di compleanno con una settimana di ritardo, che ho spento una candelina, che al momento di esprimere il desiderio ho considerato il fatto che i miei desideri non si avverano mai, ma che c’è sempre l’eccezione (cioè, per me ancora non c’è stata, ma non si sa mai); allora ho scelto un desiderio di grado intermedio, che se si avvera sono contenta ma da cui non dovrebbe dipendere la mia sopravvivenza. so che non ho ancora fatto la spesa. so che mi è stato dato del lavoro da fare. so che non ho più voglia di fare niente. so che me ne voglio andare.
sull’arte della fuga, grandi pensatori si sono espressi con parole alte e nobili, sulla vita che va affrontata a testa alta e non svicolando laterali, che per quanto tu possa scappare non puoi fuggire da te stesso, che.
non saprei. io sto iniziando a prendere un certo margine su me stessa, e secondo me alla prossima curva riesco a perdermi di vista del tutto. poi magari fra un paio d’anni mi mando una cartolina da una qualche località esotica, o forse invece è quello che sto facendo adesso. mi sto mandando una cartolina in cui saluto quella che ero, da cui me ne sono andata fin troppi anni fa. e un po’ mi manco.

lunedì 22 settembre 2008

eclissi

(roma, autunno, luna)

eclissi di sole. l’unica ombra che stia sulla terra, e che non sia attaccata a nulla che abbia a che fare con la terra.

ti svegli. apri gli occhi. è buio. cerchi di leggere l’ora. ti sembra la solita, quella in cui in genere ti svegli, quando c’è già il sole. stavolta no.
ti alzi. non capisci il buio.
pensi che in realtà stai ancora dormendo, e quindi hai letto l’ora sbagliata.
pensi che in realtà stai ancora dormendo, e quindi stai solo sognando di esserti svegliata.
pensi che è tutta colpa tua.
l’eclissi di sole è l’ombra della luna. cade sulla terra, ma non è attaccata a nulla che abbia a che fare col pianeta, con l’atmosfera, con niente. l’eclissi è totalmente, perfettamente libera. è staccata da tutto. può salvare tutte le ombre, coprirle, proteggerle, curarle. le abbraccia e le racchiude, e loro si staccano da tutto ciò che fa male, che non le lascia vivere. che non trattiene più la luce.
pensi che è colpa tua perché hai mentito alla tua ombra, anche se non sapevi che le stavi mentendo. le hai detto che avevi ancora dei sogni. non è vero. non ne hai più nessuno.

ti senti un’ombra. ti senti l’unica persona che stia sulla terra, e che non sia attaccata più a nulla che abbia a che fare con la terra.

e quindi, torni a dormire.

domenica 21 settembre 2008

milano, i momenti più belli

(roma. non sono io, è che mi disegnano così)

io che, zaino in spalla, tento di uscire dalla porta di casa, che però è più stretta dello zaino; mi incastro, spingo al massimo per liberarmi, ci riesco ma vengo catapultata contro la ringhiera del ballatoio (quarto piano); a due centimetri dalla ringhiera e dalla morte per spiaccicamento al suolo la cinghia dello zaino si attorciglia intorno alla maniglia della porta e mi ribalta indietro di botto, facendomi spalmare di schiena contro il muro. i cinque minuti successivi li ho passati cercando di arrivare alla cinghia per liberarla senza riuscirci, esibendomi in una pregevole imitazione di una tartaruga cappottata sul guscio.
(al ritorno a roma mi è successa una cosa simile quando la cinghia si è incastrata in un tornello della metro, scaraventandomi addosso a una turista tedesca che per fortuna l’ha presa molto a ridere).

il matto della consapevolezza che sale sul tram, si guarda intorno, inspiegabilmente nota subito me e inizia a riversarmi addosso una serie di apprezzamenti di cui il più gentile, in italiano, è stato “maledetta puttana”, e in anglomilanese, “bladicànt”, tra la mia rassegnazione e le facce di circostanza un po’ imbarazzate un po’ sghignazzanti degli altri passeggeri.

l’uomo che, subito dopo avermi tirato una mazzata sui denti, mi guarda serissimo e mi dice: dovresti darti alla chick lit, tipo bridget jones (che in effetti come scena è molto da bridget jones, lo devo ammettere. forse voleva suggerirmi un incipit).

il perfetto autocontrollo che ho dimostrato quando, dopo alcuni giorni caratterizzati da una serie di sfighe accessorie, ho anche scoperto che non potevo ripartire, e con indiscutibile freddezza e esemplare dominio vulcaniano delle emozioni, ho iniziato a urlare in mezzo alla strada contro uno sconosciuto che non c’entrava niente, ma che aveva commesso l’errore di rivolgermi la parola proprio in quel momento.

il momento in cui, camminando davanti alla scala, sette anni e mezzo di milano si sono scontrati dentro di me all’improvviso, come uno spettacolare incidente fra tir in autostrada, scatenando un incendio grigio e blu, da cui sono scintillate fuori panchine nei parchi vecchie di sette anni e di pochi minuti, frasi dette e scritte e taciute, buffi fagiani e dondoli, file al supermercato per regalarsi la cioccolata, prati e fontane e musica, ombre sempre più sbiadite e trattenute a tutti i costi, notti passate sui divani, pioggia e freddo e cielo bianco e sole, viaggi mai fatti verso punti d’incontro inesistenti e neve che non può cadere, tutto quello che è stato vissuto e tutto quello che non sarà vissuto mai; e alla fine l’incendio si è spento consumando tutto e, nel momento peggiore e più bello, milano e io abbiamo fatto pace. era ora, eh.

sabato 20 settembre 2008

rimorso per quel che m'hai dato

(roma)

mi è stato riferito da persona di fiducia che bologna ce l’ha con me. bologna non nel senso, l’altra metà del blog, ma proprio bologna la città, bologna arrogante e papale, bologna la rossa e fetale,
bologna la grassa e l' umana etc etc. quella bologna lì.
lo so benissimo perché bologna è offesa. allora adesso le spiego una cosa. anzi, gliela rispiego, che già l’avevo scritta.
bologna per me è pace.
per me, pace, è una parola rarissima. io sono in guerra da quando sono nata; per non farmi mancare niente sono nata prematura così ho dovuto iniziare a combattere dall’incubatrice. e non ho più smesso. ho combattuto con la mia famiglia, con la scuola, con il lavoro, ho combattuto tantissimo con l’amore e ho perso sempre, ho combattuto con intere città, quando non avevo nessun altro con cui combattere ed ero sola ho combattuto con me stessa.
l’unico posto al mondo dove io penso “pace”, è bologna. che è anche l’unico posto al mondo dove le persone che mi hanno voluto bene, mi hanno solo voluto bene, e non hanno sentito l’irrefrenabile necessità di farmi del male, visto che mi volevano così bene. a bologna non sono mai stata ferita, a bologna non ho mai perso nessuno, in tutta bologna non c’è un angolo, una piazza, un vicolo che mi faccia piangere. ogni volta che vado a bologna accumulo solo altro bene. martedì sera ho guardato una certa strada, un ricordo della mia visita precedente a bologna, e sono stata incredibilmente felice.
quando io sto male non scrivo di bologna.
quando io sto male vado a bologna.
così poi sto bene. e riparto, e rovino tutto, ma questa è un’altra storia.
quindi, la persona di fiducia dicesse a bologna di farsela passare. che io la amo e lei lo sa, e quindi, dai, bologna.

giovedì 18 settembre 2008

cose che vedi a milano

(roma, on the road)

entri in galleria vittorio emanuele. vedi camminare una donna. è buffa. ha uno zaino blu sulle spalle che sembra pesare il doppio di lei. non sai da dove viene, chi ha appena visto, chi ha paura di non rivedere. la ferma un ragazzo africano, uno di quelli che vendono libri per strada. li osservi parlare. non puoi sentire cosa si stanno dicendo, sei lontana anni-luce, dalla parte sbagliata di un corridoio blu. capisci che lei non comprerà i suoi libri, ma che non sembra importare. li segui con lo sguardo mentre continuano a parlare. poi lei inizia a piangere. non sai perché. sei sempre troppo, troppo lontana, per poterlo capire. ma lei piange, e lui la abbraccia. e li guardi abbracciati in mezzo alla galleria. e poi lui cerca di farla ridere, e lei si asciuga gli occhi, gli sorride. si allontana, e sai che lui la sta ringraziando per qualcosa, e lei lo sta ringraziando per qualcosa. e poi lei va via.
credo che lui le abbia detto che non deve piangere più.

venerdì 12 settembre 2008

tre civette sul karmico comò (ovvero, di gente che prende la vita sul serio)

(roma)

sto qui che leggo delle trattative alitalia difficili, delle trattative alitalia in stallo, delle trattative alitalia che niente più trattative alitalia.
ci manca una cosa. ci manca il sentire (non il sapere, non il capire) che c’è dell’umanità varia, lì in mezzo.
ieri notte l’umanità varia ha suonato verso le undici e tre quarti. noi, dopo sei birre e non so davvero quanto whisky, si stava in queste posizioni: io che ridevo con le lacrime, aggrappata alla spalliera della sedia; b. che stava prendendo la mira per lanciarmi una bottiglia in fronte; l. che cercava di dare spago a b. ed evitare così un omicidio a casa sua. abbiamo riso tantissimo. poi hanno suonato alla porta, era l’umanità varia che è arrivato tardi perché a fiumicino cercavano di capire cosa gli sarebbe successo, anche semplicemente il giorno dopo. era l’umanità varia che diceva di quello che aveva pensato quando aveva visto gli aerei parcheggiati dove in genere invece devono muoversi. era l’umanità varia che parlava di otto anni di precariato in quel ruolo, della fatica fatta, dei sogni che c’erano; e che non parlava della spesa da fare tutte le settimane, dell’idea di avere un figlio per cui c’è già una stanza pronta, di cos’altro si può trovare in questo momento in cui non si trova niente.
poi siamo finiti a parlare della gente che butta gli gnocchi nel water e i preservativi sul tetto, e abbiamo ricominciato a ridere, perché funziona così.
però, quando lo leggi sul giornale, degli gnocchi dell’umanità varia non c’è traccia, e allora non senti. sai, capisci, ma non senti.

giovedì 11 settembre 2008

L'angolo del buonumore di sbab

Ieri riflettevo:
se una quindicina di anni fa mi avessero detto che vivere sarebbe stato così faticoso avrei preso più seriamente in considerazione i miei istinti suicidi.

specie di

(roma, altrove)

c’è una vignetta dei peanuts, in cui un personaggio è arrabbiatissimo con charlie brown, e sta cercando di dirgli la cosa più offensiva del mondo. sta lì che cerca le parole, “tu, specie di... specie di...”, e alla fine le trova: “specie di charlie brown!”.
e charlie brown, sconsolato: “che offesa”.
ecco, certa gente, per quanto ti ci impegni, l’unico modo di definirla è quello che è.
tu, specie di tu.

mercoledì 10 settembre 2008

in quale

(?)

multiverso sono, oggi, io?

lunedì 8 settembre 2008

giornatina sì

(roma, ma non sembra)

a me gli altri mi stan sui coglioni.
(paolo rossi)