lunedì 27 aprile 2009

scusa il ritardo, ho trovato traffico

(roma – ma dai, ma dai)

ho trovato anche un lavoro, e soprattutto ho trovato dei soldi nella tasca di un paio di jeans che non mettevo da un po’. non smetterà mai di stupirmi questa sensazione, tipo regali di natale da piccoli, di ogni volta che trovo dei soldi, miei, da qualche parte. cioè, non è che me li hanno regalati o sono piovuti dal cielo, erano già miei. però uno si sente sempre come se avesse sbancato il lotto. e comunque erano dieci euro, voglio dire, ma vabbè, c’è la crisi. che è una frase che mi sta letteralmente rigurgitando dalle orecchie, io il prossimo che sento dire c’è la crisi lo abbatto a testate.
comunque, dicevo, ho questo lavoro che consiste principalmente nel fumare in balcone, monitorare i maglioni del mio direttore e tramortirlo con frasi che a me sembrano innocue ma evidentemente no. tipo che oggi gli ho parlato per poco più di venti secondi e lui ha reagito fissando il vuoto, immobile, per almeno cinque minuti. non so, potrebbero usarmi come anestesista, secondo me è un talento da sfruttare.
però, fa piacere trovarti sempre in splendida forma, o venerabile signora delle seghe mentali. allora:
1 – denigrare persone che se lo meritano, sono capaci tutti. denigrare persone che non se lo meritano, vuoi mettere?
2 – l’autocommiserazione non è aggravata dall’autoindulgenza. sarebbe come dire che le uova di pasqua sono aggravate dal cioccolato. rigorosamente fondente, mi raccomando.
3 – sei rintronata. ti ho mandato una mail a cui nemmeno hai risposto, e poi ti lamenti che sparisco. però in effetti, conoscendo la perizia dell’operatore di telefonia fissa mobile liquida e gassosa più importante dei multiversi, potrebbe non esserti mai arrivata. continua inspiegabilmente a considerare la posta in uscita spam. comunque ti chiedevo le fote della serata di gala in onore del 61 notturno. ah, spenné, non tutte. e non in stra-massima-eccezionale-lup-mann-risoluzione, come le mandi sempre. una robetta da pochi kb, giusto per vederle, per me va più che bene, sono donna umile e modesta.
poi, niente. c’è questa frase di wolverine che ho letto oggi che è illuminante. su james howlett logan e anche un po’ sulla sottoscritta. dice: odio il giappone. è bellissimo.

Lepidezze postribolari

(bologna - ma dai?!?)

E' un giorno di quelli in cui sono insopportabile a me stessa.
Che non combino niente.
Che mi dico ma come sei messa, parli troppo, perdi sempre delle gran occasioni per stare zitta, che faresti anche la figura di una persona intelligente, posata e riflessiva, che peraltro sei.
Che dovresti smetterla di denigrare insistentemente e peraltro in loro assenza le persone che non se lo meritano.
Che dovresti concentrarti, che cazzo questa è la terza settimana che passa senza un senso.
Che dovresti trovare qualcosa a cui puntellarti per saltare fuori da sto buco di pigra e vuota autocommiserazione aggravata dall'autoindulgenza.
Che mi dico che palle.
E poi sbadiglio e torno a navigare su internet e mi guardo le unghie crescere.
Sarà che piove, ma stanno crescendo moltissimo.

Oh, se è uno sciopero dovuto alla mia colpevole e protratta assenza da questi lidi lo capisco, ma perdiana non mi fare preoccupare.
Che sebbene merdaccia son sempre la pennuta che vi porta nel suo cuor dolente, oh meraviglioso essere.

Prostromi e invoco intercessione presso la vostra pregevole persona.

martedì 14 aprile 2009

ballata per piccoli sciacalli

(roma)

poi ogni tanto succede che qualcuno esagera e gli addetti ai lavori e non solo si interrogano sui limiti di.
leggevo un commento di un editorialista, che raccontava di quando ai suoi tempi i giovani cronisti venivano spediti a casa delle vittime, per rubare qualche foto. e qualcuno, leggendo quello stesso pezzo, avrà pensato, ma dai, mica può essere vero. verissimo, invece. le stesse cose mi furono raccontate, dieci anni fa, da un vecchio cronista.
c’è stato, per molti, chiaramente non per tutti, un episodio che ha fatto da spartiacque, a un certo punto della carriera. il suo fu proprio all’inizio. in realtà capita a tutti che succeda proprio all’inizio; lì si decide tutto quello che verrà.
a lui capitò di dover andare a casa della vittima di un incidente, per chiedere alla vedova una foto (o, in alternativa, rubarla). appena arrivato si rese conto che la donna non era ancora stata avvertita dell’incidente. non aveva idea di essere diventata vedova. succedeva spesso, all’epoca, che il giornalista arrivasse prima della notizia. succede ancora adesso, in qualche caso. comunque, lui non se l’è sentita. quando si rese conto che la donna non aveva idea di cosa fosse successo, si spacciò per un vecchio amico del marito, disse che era solo passato per un saluto, e se ne andò. sulle scale incrociò altri due cronisti, molto più scafati di lui. quando li avvertì che la donna ancora non sapeva niente, quelli risero e gli risposero, adesso ti facciamo vedere noi come si fa questo mestiere. suonano. la donna apre. loro le danno la notizia. lei non dice una parola; sviene. crolla per terra lì davanti. diceva, quel vecchio giornalista, che quella scena non se la sarebbe mai scordata, per il resto della sua vita. dei due cronisti che gli hanno fatto vedere come si fa questo mestiere, non ho mai saputo il nome, e non posso fare a meno di chiedermi se adesso se ne stiano alla scrivania a scrivere editoriali in cui tuonano contro certa informazione, contro certo sciacallaggio del dolore. possibile. probabile.
la socia, una delle donne di cui sono più fiera al mondo, circa un mese fa, interrogata su quali siano i limiti di, ha detto: dipende sempre e solo dal nostro bagaglio culturale. ed. è. verissimo. purtroppo. limiti e grandezza di questo mestiere; sta tutto lì.
c’è una strada dalle parti di monteverde che io, svariati anni fa, non ho percorso fino alla fine. donna morta. asfalto. guardo il corpo sotto il lenzuolo verde. mi chiamano dalla redazione per darmi l’indirizzo dei suoi. vai lì e vedi se c’è qualche familiare. vado lì. il portone è alla fine della strada, inizio a vedere il citofono, mi giro mentre cammino e torno indietro. non mi sono nemmeno fermata per poi girarmi, ho proprio girato su me stessa mentre camminavo. al giornale ho raccontato che ho suonato ma non c’era nessuno.
mi piacerebbe poter dire di essere nata senza peccato originale, di essere pura e incontaminata.
persone come la socia, col bagaglio culturale di un certo tipo, ci sono proprio nate. credo che la socia sia venuta al mondo con un intero set di trolley, tutti riempiti di roba fantastica. quello che le ho sempre invidiato è che lei sa sempre a priori cosa è giusto e cosa è sbagliato, e si muove in automatico verso il giusto. io no. io ho solo il mio vecchio zaino-borsone blu, che si incastra nelle porte troppo strette. io spesso me lo chiedo per ore, per giorni, cosa è giusto e cosa è sbagliato; e una volta che ho più o meno deciso, poi non è per niente detto che io vada nella direzione giusta.
quel citofono a cui non ho suonato non è stato il mio primo citofono; è stato l’ultimo. la strada che non ho percorso fino alla fine è stata l’ultima di un reticolo di strade che invece ho percorso; alla fine ognuna di quelle strade aveva dei citofoni, e io a quei citofoni ho suonato. non ho suonato a quello specifico citofono, perché gli altri me li ricordavo. tutti. soprattutto uno. la socia non l’avrebbe fatto. io l’ho fatto e poi non ho suonato più. c’è chi suona ancora. c’è chi suona e contemporaneamente stigmatizza altri che suonano. pare che in questi casi si dica, è la stampa, bellezza.

sabato 4 aprile 2009

gente strana

(roma)

ieri mattina sono passata dal veterinario. lui, appena mi ha vista, è schizzato in piedi e ha urlato, no! io l’ho guardato perplessa e gli ho chiesto, cosa no? e lui ha gridato, un po’ stridulo, no, non puoi avere il cimurro, no, non può avertelo attaccato l’albero di natale nano, no, non sei un pastore tedesco, no, non puoi avere quella cosa all’anca che hanno i pastori tedeschi, no, nemmeno l’albero di natale nano o la poltrona verde o chiunque altro, no no e no!
io gli ho risposto, veramente sono venuta per il richiamo del vaccino di gatto. lui mi ha guardata con un’espressione allibita. allora mi sono avvicinata lentamente, gli ho messo una mano sulla spalla, l’ho fatto sedere e gli ho detto, stai calmo, va tutto bene, lo so che fai un lavoro stressante, che ti capita gente strana in ambulatorio, mi rendo conto, davvero, ci sono in giro certe persone totalmente fuori di testa, ma adesso rilassati, respira, guarda che ti fa male stressarti così. dai, calmo, su. e lui ha sospirato, si è rilassato, mi ha persino sorriso. e anche io gli ho sorriso. e ci siamo sorrisi. ed è stato un bel momento di pace serenità e amicizia.
e poi gli ho detto, a proposito, è da un po’ che il bastone della pioggia ha un tono di voce strano, che dici, è sinusite, ha preso freddo, o potrebbe essere allergico al polline? e allora lui ha rovesciato la testa in basso e ha iniziato a sbattere ripetutamente la fronte contro la scrivania. l’ho guardato per un po’, e poi me ne sono andata in silenzio. forse sono passata in un brutto momento, deve essere così.