sabato 1 settembre 2007

chi va e chi resta

(roma, un po’ più vuota)

sono successe molte cose in questi due anni. e molte volte avrei avuto bisogno di chiamarti. e del resto è sempre andata così. che io chiamavo sempre, quando stavo male. tu, mai. ed è andata come è andata. ho cercato di imparare qualcosa dalla tua morte, ma non ci sono riuscita. però ho pensato, spesso, che avevo molte cose da imparare dalla tua vita. ci sto ancora provando. non so quanto tempo ho per farlo, ma faccio del mio meglio.

ti ricordi il signor d.? è tornato, anche se sarebbe più corretto dire che non è mai andato via. coldìo ora siamo amici. non ho notizie di manolo. stefano. non ha più voluto vedermi, né parlarmi, né. non so se sia venuto a trovarti. io e il barone siamo venuti, insieme. non avevo dietro scirocco, da farti ascoltare. ma ti ho portato la casa dei doganieri. io spero che non l’abbiano tolta. l’abbiamo incastrata dietro il vaso dei fiori finti. te l’ho scritta a mano, su un foglio, e ti ho comprato una cornice. davvero, spero che non l’abbiano tolta. non so. da gente che ha scelto quella foto, e che ha messo la tua vera data di nascita, io mi aspetto di tutto.

ho i capelli corti. lo so che le doppie punte fanno volume, ma a me non piacciono.

eri l’allegato a della mia tesi. eri la persona che volevo diventare.

ed è passato pochissimo tempo. dal momento in cui ci siamo incontrate, per la prima volta, davanti a un ristorante cinese, e tu avevi degli occhiali da sole orrendi (scusa, ma erano davvero brutti). dalla sera in cui mi sono messa con stefano, e la nostra prima notte insieme l’abbiamo passata da te, la sera del tuo compleanno. che poi sarebbe oggi. dal capodanno in cui ha telefonato il signor d., la tua espressione mentre guardavi la mia espressione mentre immaginavo la sua, lontano centinaia di chilometri in un mondo freddo. dall’ultima volta che ci siamo viste, sulla panchina nel parco. è una storia di anni, la nostra, ma a me sembrano giorni. è che a volte penso che sarebbe tutto molto più facile, se potessi prendere quell’autobus assurdo e farmi la nomentana e riconoscere la fermata giusta e scendere e poi fare la strada sterrata e citofonare e venire da te e mangiare insieme cose che ci fanno male e parlare e stappare bottiglie con le tenaglie e incastrare cassette e macchinette per rollare e fare dispetti alla iattapecora e restare a dormire lì e la mattina dopo ripartire. sarebbe tutto molto più facile, credo.

Tu non ricordi la casa dei doganieri
sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:
desolata t'attende dalla sera
in cui v'entrò lo sciame dei tuoi pensieri
e vi sostò irrequieto.
Libeccio sferza da anni le vecchie mura
e il suono del tuo riso non è più lieto:
la bussola va impazzita all'avventura
e il calcolo dei dadi più non torna.
Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s'addipana.
Ne tengo ancora un capo; ma s'allontana
la casa e in cima al tetto la banderuola
affumicata gira senza pietà.
Ne tengo un capo; ma tu resti sola
né qui respiri nell'oscurità.
Oh l'orizzonte in fuga, dove s'accende
rara la luce della petroliera!
Il varco è qui? (Ripullula il frangente
ancora sulla balza che scoscende...).
Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.
(E. Montale)


tam-pù

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