martedì 22 dicembre 2009

(decorazioni di pagan natale)

(roma)

(l'albero di natale nano ci teneva).
(s.)

giovedì 5 novembre 2009

questo posto è bellissimo

(roma)

amo questo posto perché ci sono gli ultimi due anni e mezzo della mia vita, e perché negli ultimi due anni e mezzo della mia vita c’è questo posto. perché ho più o meno raccontato tutto, e perché il racconto è entrato nel racconto, e altri racconti sono diventati persone. e quindi a me non va per niente di andare via e non tornare. è che c’è un senso di estraneità da affrontare, ma questo posto non c’entra: in realtà lui è rimasto fermo qui, tranquillo con se stesso, indifferente a quello che gli succedeva intorno e che gli era estraneo. e quindi è sufficiente aspettare. spalancare le finestre, magari ristrutturare, ritinteggiare le pareti, con calma. nel frattempo da qualche parte dovrò pur stare, ho da alloggiare gatti ed elefantini viola e pecore-draghi e mobilia varia (anche abbastanza scorbutica). e quindi per il momento allestisco una specie di dépendance. e decido con calma dove collocare certe cose e dove collocarne altre. poi però torno.
(s.)

martedì 27 ottobre 2009

ristorantopoli, di david foster uollas

(roma)

(s.): (allora, devo spedirti il libro con la dedica di chinaski. poi per me gli ho fatto autografare una copia di infinite jest)
eddie: (ha scritto lui pure quello? io pensavo fosse di wallace)
(s.): (ha firmato david)
eddie: (io avrei firmato foster uollas)
(s.): (comunque, sono arrivata e come mi avevi detto dovevo salutarti chinaski. c'erano due persone, chinaski e livefast. avevo il 50 per cento di possibilità di farcela. ti ho salutato livefast, infatti)
eddie: hai salutato la persona sbagliata. un genio. no, dico, eh
(s.): (che però è stato molto contento, ha detto che sei uno dei suoi miti)
eddie: (sicura che non abbia detto mitili? hai il 50% di possibilità di aver capito bene)
(s.): poi c'è stata la presentazione che doveva essere condotta da livefast, invece è stata sostanzialmente condotta dalla signora bruna (senti, scusa, dovrei scrivere un post su questa presentazione ma non mi va, ti secca se copioincollo da qui tutta la conversazione? tolti i commenti acidi della pennuta, ovviamente)
eddie: sìsì, fai. metti quello dove dici che XXXXXXXXXXXXX
(s.): (poi alla fine ho preso due copie del libro, una l'ho fatta dedicare a raul, chinaski mi ha chiesto, chi è raul?, e io gli ho indicato la pennuta che nel frattempo si stava mimetizzando con uno scaffale dall'altra parte della libreria)
eddie: raul!
(s.): (una l'ho fatta dedicare a te, e a quel punto te l'ho salutato. potevo fare il capolavoro assoluto e farla firmare da livefast, ma purtroppo si era allontanato)
eddie: peccato, sì (potevi fare il capolavoro assoluto e per me gli facevi firmare un assegno)
(s.): (e poi per me gli ho fatto firmare infinite jest) http://www.phonkmeister.com/post/223859951/chinaski-autografa-un-suo-precedente-libro
eddie: uffa. ma me l'hai salutato davvero o hai balbettato qualcosa di incomprensibile come tuo solito?
(s.): (guarda, chiedi a livefast. era tutto contento di essere salutato da te, quindi sono stata comprensibilissima) (hanno anche chiesto perché non c'eri, gli ho detto, per lui è un po' fuori mano, e livefast, vero, che eddie è di udine)
eddie: udine???
(s.): (insomma, sappi che vivi a udine)
eddie: (tu ovviamente hai annuito e detto che sono un friulano doc)
(s.): (ma anche chinaski ha sparato un posto a cazzo, tipo bolzano o una roba del genere, ora non mi ricordo)
eddie: (genii. ma scusa, ma non ti hanno chiesto come facevi a conoscermi?)
(s.): (no)
eddie: (giusto)
(s.): (si vede che ho la faccia di una che ti conosce)
eddie: (è perfettamente scontato che uno di udine conosca una di roma che sta a bologna) (non fa una piega)
(s.): (devono aver pensato, questa arriva, scambia livefast con chinaski, deve essere amica di eddie)
eddie: (è anche probabile) (ma che c'è scritto sulla dedica?)
(s.): (c'è scritto, a eddie, uno dei miti di livefast, ma noi sappiamo che è un cretino. si vede dalle amiche che ci manda alle presentazioni)
eddie: (questa sarebbe una bellissima dedica)
(s.): (vero)

ecco, è andata così.

upcoso: l'altra metà del blog, la pennuta aka raul, esige che io faccia presente che infinite jest è un suo dono alla mia pregevole personcina, e poi che l'idea di portarselo dietro nonostante pesi una decina di chili per farlo autografare da un attonito chinaski è sua (su, su, non sei una brutta persona, oddònna. sei solo un po' psyco, ma in un modo assolutamente adorabile. per quanto terrorizzante).

sabato 17 ottobre 2009

volo nolo malo

(roma)

il grande spirito del bradipo, che in genere mi guida e mi illumina (con mezzo cerino per volta e con molta calma) è latitante. pare abbia trovato traffico sul ramo di un albero, e si sia addormentato in mezzo all’incrocio. lo sostituisce una sciamana di origini vichinghe, sinceramente convinta che ogni problema nella vita possa essere risolto tirando un’ascia addosso a qualcuno. a caso. io non ho asce e se anche le avessi mi farei male da sola soltanto a guardarle; al limite posso tirare pigne, ma ho una pessima mira e mi dà fastidio restare appiccicaticcia di resina.
la sciamana sostiene che devo imparare a comunicare la rabbia. le ho detto che ho imparato a comunicare in italiano, inglese, francese e giapponese, e adesso anche la rabbia mi sembra eccessivo. per il momento con le lingue straniere avrei chiuso. lei scuote la testa e insiste che devo assecondare i cambiamenti energetici del pianeta. io domando se influiranno sulla frequenza delle corse della metro b. lei lascia un messaggio nella segreteria telefonica del grande spirito del bradipo, chiedendogli quando torna a occuparsi di me che non ne può più. al posto del bip si sente ronfare.
allora vado in stazione a guardare i treni. lo faccio da quando ero piccola. le cose vanno e vengono senza che ci sia bisogno di scegliere, e ad osservarle da fuori non si deve nemmeno pagare il biglietto, né porsi il problema della puntualità. in realtà frenitalia è stata inventata affinché gli esseri umani si rendessero conto che il concetto di tempo è stato del tutto frainteso. anche il concetto di pulizia dei bagni, peraltro.
io non scelgo; questa storia che tutta la vita è prendere decisioni etc etc non l’ho mai capita. le cose avvengono e basta, e se proprio non si ha niente di meglio da fare se ne può prendere atto. che è un po’ come quando i medici del pronto soccorso constatano l’ora del decesso. i sentimenti muoiono, le esperienze muoiono, muoiono i tempi, le amicizie, gli amori, la fiducia, e quando si lascia qualcosa, qualcuno, un lavoro, una persona, un’esperienza, un’amicizia, tutto quello che si sta facendo non è scegliere, non è decidere, è solo accorgersi che è morto, alzare gli occhi verso l’orologio a parete e registrare l’ora del decesso. e poi si va via, e nemmeno quello è scegliere, perché si crede di andare via, e invece si è stati andati via. che è brutto, e non solo da un punto di vista grammaticale, lo so.

giovedì 15 ottobre 2009

pini

(roma)

questa è la stagione in cui anche i pini partecipano al gioco ideato dal pianeta terra “una soluzione creativa per liberarsi di questi inutili parassiti bipedi che ci infestano da un po’ troppo tempo”. cioè, la mattina, per raggiungere la stazione del quartiere-paese, devo percorrere un chilometro di campo d’addestramento su come schivare pigne e contemporaneamente non scivolare sugli aghi di pino. vanto un record personale di ben due metri e 25 cm in linea retta; per il resto è tutto uno zompettare e scivolare qua e là. ora, io questa faccenda della necessità dell’estinzione del genere umano un po’ la capisco pure, cioè, trovo perfettamente comprensibile che la terra voglia farci fuori tutti, visti i casini che combiniamo. però essere fatta fuori alle otto di mattina con una pigna in testa è qualcosa che oltrepassa le mie capacità di empatia coi pini, tutto qui.
comunque, ogni mattina mi faccio un chilometro di percorso di guerra tutta tesa a non estinguermi, un’ora di treno e metro varie, arrivo in ufficio, mi guardo intorno, faccio quello che posso, poi mi alzo, dico ci vediamo fra un po’, e mi faccio un’altra ora di metro a vuoto. semplicemente per allontanarmi da lì, finire dall’altra parte della città, passeggiare cinque minuti, fumare una sigaretta e poi tornare indietro.
a parte che, sì, chiaramente non sto proprio benissimo. ma è una roba che non ci si crede, tutti i pini che ci stanno in questa città. ora però mi sono ricordata di quella volta che ho rischiato di essere uccisa da un cartone del latte da un litro caduto dal quarto piano e precipitato a venti centimetri da me, esplodendo. che io sono pure intollerante al latte. cioè, lo ero già da prima, ma poi ritrovarmi completamente coperta di latte non ha migliorato molto i nostri rapporti.
ok, vada per i pini.
no, poi il senso era che oggi ho elencato a fm tutta una serie di cose che devo fare nei prossimi giorni, e lui ha ristabilito l’ordine corretto mettendo “morire” all’ultimo posto, dopo finire il libro che sto leggendo, finire di rivedere il romanzo, pubblicarlo e ricevere il nobel per la letteratura, e un po’ di altre cose. adesso tocca solo vedere se i pini sanno leggere. in realtà il senso vero è che uno può immettersi sulla strada giusta anche dalla strada sbagliata, forse. arrivare a un punto di stanchezza tale che o precipita definitivamente o si ritrova in carreggiata, in qualche modo. o se ne frega, esce e va a leggere qualcosa a un pino. magari gli piace.

sabato 10 ottobre 2009

medium orange

(roma)

due settimane fa mentre andavo al mercato ho incrociato due cammelli. una settimana fa, un cammello. stamattina, zero cammelli. non so se sabato prossimo si percepirà meno un cammello, non ho idea di che forma abbiano i cammelli negativi. comunque oggi ci sono rimasta male. ci si abitua in fretta ai cammelli. sono carini, hanno gli occhioni grandi e sono spettinati. poi, certo, mi sto ancora chiedendo che ci facessero due cammelli in mezzo al quartiere-paese, ma questo è un altro discorso. devo rimettermi lo smalto. rosa. coi brillantini. non mi sento proprio benissimo ma vado a lavorare lo stesso. mi sono licenziata ma vado a lavorare lo stesso. ho comprato dei pesci finti per un acquario finto. vado a lavorare per questo, lo stesso. sogno persone che mi regalano pietre. almeno non me le tirano. piccole pietre ornamentali, e grandi pietre che si aprono e si chiudono come libri, e dentro ci sono colori e una firma. ho di nuovo i crampi. non riesco ad essere davvero arrabbiata. il rametto di geranio passato con questa ansia di mettere fiori su fiori sta trascurando le foglie, resta piccolo, si dimentica dell’inverno, si sente in primavera; il rametto di geranio futuro, che avrebbe fiori più belli, è diventato grande il doppio di passato, mette su solo foglie, si prepara all’inverno sapendo che tanto dopo c’è la primavera. io tifo per entrambi. tanto più che la primavera è sempre un luogo della mente, almeno in questo dall’anno scorso non è cambiato niente.

martedì 6 ottobre 2009

la sostenibilissima leggerezza dell’errare

(roma)

ci pensi, ci ripensi. ci strapensi. ci pensi un po’ su e poi torni a pensarci. e mica solo pensi: rifletti, analizzi, consideri (come se fissassi una stella), fai tutto quello che un dizionario dei sinonimi è in grado di suggerirti.
e arrivi a una conclusione definitiva: è un errore. se lo fai, sbagli. ma tanto. ma proprio di brutto. cioè, non è un semplice errore. è l’himalaya dei passi falsi.
e con la consapevolezza di, lo fai. e lo fai a cuor leggero, con la serenità di chi non deve più stare a chiedersi se sia giusto o no, col dubbio che magari te ne pentirai. niente dubbi. è sbagliato e te ne pentirai. che bello. è bellissimo, davvero. ti stai concedendo la certezza dell’errore. te la stai regalando senza scusanti, senza giustificazioni, senza alibi. nessun, non ci avevo pensato abbastanza. nessun, non avevo valutato la cosa attentamente.
e ti senti bene come non ti succedeva da mesi.

domenica 27 settembre 2009

spalando nuvole

(roma)

fragili, importune, spietate compagne, le cose che non dici nemmeno a te stessa.

mercoledì 16 settembre 2009

presempio gatto dei compleanni se ne frega

(roma)

e ti svegli e ti guardi allo specchio ma non sembra ci sia nulla di nuovo, poi guardi meglio e scopri che hai i denti più bianchi e resti interdetta, che questo tra gli effetti collaterali dell’avere un anno di più nessuno l’aveva citato mai. e per il resto è tutto uguale, cambi l’acqua a gatto e metti su il caffè e lavi i piatti della sera prima e fai la doccia e ti concedi di speciale solo i tuoi calzini preferiti che sono a strisce orizzontali rosa chiaro rosa scuro fucsia viola, e la giacca militare perché l’hai già detto ma ha ragione morgan, che a volte l’unica è mettersi la giacca dell’anno scorso per riconoscersi e uscire. poi c’è la solita discesa e il solito traffico e il solito treno e le solite due metro e il solito cammino fino a dove lavori, e lì di insolito c’è che si è allagata la sala server e c’è stato un corto circuito e non funziona assolutamente nulla, nemmeno i telefoni. e ti viene da ridere che quando ha iniziato a fare caldissimo il server è morto causa caldo, adesso sono iniziate le piogge e il server è morto annegato, e quando gelerà ti immagini che il server morirà congelato e a primavera magari sarà il primo server a morire di allergia al polline. e tutti ti sorridono e ti fanno gli auguri e ti baciano e ti danno anche un regalino e all’improvviso hai la strana sensazione che ti abbiano in qualche modo adottata, e pensi che hanno capito che sei debole, non fragile, ma proprio fisicamente debole, e questo magari nemmeno ti va ma oggi decidi che per farsi nuovi problemi si può sempre rimandare a domani. e poi te ne vai che hai un appuntamento per pranzo, te ne vai mentre ti dicono che venerdì si va a festeggiare in un locale, e tu sorridi. festeggiate voi. festeggiatelo voi quest’anno che è stato ospedali analisi medici paura. ma poi in fondo mentre dondoli verso la metro pensi che è stato anche risvegliarsi e conoscere e mettersi in discussione dolorosamente ma va bene così. e questo senso di umiliazione, si può rimandare a domani anche questo, non è necessario pensarci proprio adesso che è esattamente questa la parola che ti è sfuggita per mesi, umiliazione, sentirsi umiliati dal proprio corpo. e ti pareva che proprio oggi dovevi finalmente riuscire a sintetizzarlo nella parola giusta. poi pranzate fuori e sei contenta che questo invito è stata una sorpresa e allora non ti dispiace essere qui e non a bologna che è il luogo che hai deputato al non pensare ai consuntivi di fine anno. poi nel pomeriggio altri auguri e altri regali e ti rendi conto che ne sei fuori, hai qualche secondo di scarto, la gente continua a telefonare a mandare sms a passare a dire auguri e tu hai sempre bisogno di un po’ di tempo per capire, auguri perché. la sera la passi a casa a lavorare. venerdì non ci vai a festeggiare. poi gatto ti si struscia contro e che giorno sia nato non lo sai, l’hai trovato in un tombino in una notte di pioggia che aveva forse un mese, ma non ve ne è mai importato niente. e comunque stasera piove ma ci sono divani e coperte al posto dei tombini e a pranzo hai detto che ce la fai e ci credi davvero, ce la fai.

domenica 13 settembre 2009

una formidabile idiota

(roma)

nel giro di un’ora sono riuscita a impantanarmi in due fantastici equivoci, di cui però il secondo ha annullato il primo. visto che il primo è stato invitare un uomo a cena a casa mia senza rendermene assolutamente conto (se vi state chiedendo come si fa a invitare a cena un uomo a casa propria senza rendersene conto, ebbene, si può. se vi state chiedendo se è lui che ha completamente travisato, beh, sì, lui ha completamente travisato, ma ripercorrendo mentalmente le tappe della conversazione, è del tutto giustificato. se vi state chiedendo, in che senso è giustificato, quindi tu hai di fatto portato avanti una conversazione il cui senso era, vieni a cena a casa mia, la risposta è sì. se vi state chiedendo come io abbia fatto a portare avanti per mezz'ora una conversazione il cui senso era, vieni a cena a casa mia, senza rendermene conto, ebbene, vuol dire che non vi siete fatti un’idea chiara di me. io sono capacissima di portare avanti per mezz’ora una conversazione il cui senso è chiaramente, vieni a cena a casa mia, non solo senza capirlo, non solo stupendomi moltissimo quando poi mi rendo conto che è esattamente quello che ho fatto, ma anche riuscendo a peggiorare la situazione di minuto in minuto. cioè, c’è da sentirsi sollevati che io mi sia limitata a fargli solo capire che lo invitavo a cena a casa mia, e non ben altro. oddio. almeno credo che abbia capito solo quello), il fatto che il secondo equivoco, che invece non ha nulla a che fare con cene di nessun tipo, abbia portato entrambi ad arrabbiarci moltissimo, per cui probabilmente io e quest’uomo non ci rivolgeremo la parola mai più, suppongo sia una cosa positiva. potrei anche aggiungere che dopo ho fatto un altro paio di ulteriori cazzate, ma che te lo dico a fare, donnie.
cioè, poi il punto è che essere me è una roba faticosissima. e io sono me tutto il giorno, tutti i giorni. mì, mi stanco solo a pensarci.

sabato 5 settembre 2009

patè d'animo

(roma)

sono molto contenta: mi è arrivata una cartolina dal mio fegato, in vacanza su betelgeuse. pare che abbia incontrato un suo vecchio amico che non vedeva da quasi un anno: passano le serate a bere pan galactic gargle blaster e a cercare rime con se stessi. io, con me stessa, mi accontenterei di trovare un’assonanza.
qui nel soggiorno c’è una certa agitazione; l’albero di natale nano è più irritabile del solito perché è stato colto da una feroce crisi di gelosia nei confronti di una pianta-albero ma non lo vuole ammettere, mentre il bastone della pioggia è depresso: ore di scuotimento hanno prodotto solo una breve pioggerellina più irriverente che altro, che ha peggiorato l’afa. io sto cercando di spiegargli che c’è un equivoco, lui è uno strumento musicale, non serve a far piovere: è che a volte uno non si conosce bene come crede, fraintende se stesso, ritiene di avere determinati doveri per motivi del tutto sbagliati. tutto quello che sto ottenendo è di sommare alla depressione anche una crisi esistenziale.
nel frattempo io e gatto siamo alle prese con un problema metaforicofisicosofico non da poco. dei tre rametti di geranio a cui avevo dato i nomi passato, presente e futuro, passato ha fatto i fiori, futuro sta mettendo un bel po’ di foglie nuove, presente sta inequivocabilmente morendo. io non mi spiego come futuro possa sopravvivere se ci giochiamo presente; la tesi di gatto è che dipende dal fatto che saturno sta uscendo dal mio segno. e che comunque per sicurezza dovrei andare a fare scorta di croccantini, che non si sa mai.
poi ho scoperto che le galline sono generose, ma questa è un’altra storia, anzi, non lo è affatto. è la tipica fregatura delle fasi di passaggio, fare scoperte interessanti e non poterci fare niente, se non provare a imparare già sapendo che tanto si dimenticherà.

lunedì 31 agosto 2009

and don't you know that it's just you?

(roma)

and anytime you feel the pain
hey jude, refrain
don't carry the world upon your shoulders
for well you know that it's a fool
who plays it cool
by making his world a little colder
(the beatles)


ecco, ora mi sento un po' meglio.
esistono per questo le canzoni, no?

mercoledì 26 agosto 2009

litania del lorem ipsum

(roma)

le prime volte che prendevo il trenino del far-west, quando si fermava in galleria, andavo in panico. inspiegabilmente, l’idea di essere bloccata senza sapere perché, chiusa in un mezzo di trasporto che avrebbe avuto più senso in un museo che non su dei binari, a non so quanti metri sottoterra, mi innervosiva abbastanza. allora avevo preso l’abitudine di recitare tra me e me la litania della paura bene gesserit. funzionava. poi mi è venuto il dubbio che non fosse la litania in sé, ma semplicemente l’attirare la propria attenzione su una serie di parole da ricordare e ripetere a memoria. quando abbiamo cambiato sede e il viaggiare sottoterra è diventata una routine da tre ore al giorno tra andata e ritorno, ho provato col lorem ipsum. funzionava anche quello.
si torna al lavoro. non mi va. mi sento un compost di sfiducia, frustrazione, aspettative deluse e inutilità. mi serve una nuova litania della paura. l’ho trovata. suona tipo: ma chi se ne frega. non esattamente in questi termini.

mercoledì 19 agosto 2009

summer on a solitary quartiere-paese

(roma)

come ogni estate, sul tetto del palazzo accanto c’è un uomo che passeggia su e giù, per ore, vestito solo di mutande bianche, parlando al cellulare. a differenza delle altre estati, io e booster ci siamo stancate di sfotterlo (e di cercare di convincerlo telepaticamente quantomeno a cambiare colore). come ogni estate, il manovratore non andrà in ferie. a differenza delle altre estati, stavolta è felice perché prenderà le ferie quando nascerà la manovratorina (ammesso che sopravviva alla furia caricata ad ormoni con cui vive). come ogni estate, gatto affronta il caldo sdraiato qua e là o raggomitolato nelle sue scatole di cartone a non fare niente. a differenza delle altre estati, non mi va di prendere esempio (più che altro io non ci entro, nelle scatole). come ogni estate, il mio oroscopo dice che il mese di agosto rappresenterà una svolta per la mia vita. a differenza delle altre estati, inizio a intravederne il senso (non sono sicura se sia l’effetto della rassegnazione o del delirio da colpo di calore). come ogni estate, tutto sta seguendo un suo percorso più o meno prestabilito. a differenza delle altre estati, stavolta sono saltati un paio di scambi sui binari (come nei film, i passeggeri sono crollati per terra sibilando insulti, ma poi si sono rialzati solo lievemente ammaccati). come ogni estate, ogni autunno, ogni inverno e ogni primavera, mi ritrovo sveglia alle cinque di mattina a parlare con i mobili. a differenza di sempre, più che parlare, leggo ad alta voce, e a loro piace (e a me anche, e la vera differenza è tutta qui).

mercoledì 12 agosto 2009

nostalgia

(roma tokio roma)

(io a roma parlo con la pecora-drago; tu in 日本 lo stai cercando l’uomo-pecora?)

la nostalgia non è roba da pubblicità, no. la nostalgia non dipende solo da cosa hai lasciato o cosa hai trovato, e non è nemmeno qualcosa di fisico. non importa se sei a otto ore di aereo da tutto ciò a cui eri abituato, che hai amato, che hai sempre considerato la tua vita, o a venti minuti di autobus da qualcosa che non hai mai avuto né mai avrai.
stanotte ho sognato una persona. è una persona che non posso avere, ma a volte mi concedo di sognarlo ad occhi aperti. i sogni ad occhi aperti sono belli, ma manca l’elemento sorpresa. i sogni ad occhi chiusi invece sono come un film che stai vivendo. non lo sai, cosa succederà. potrebbe andare bene, potrebbe andare male, potrebbe non esserci finale. potrebbe essere tutto rimandato alla prossima puntata, lo つづく che leggevamo da piccoli in basso a destra, alla fine dei cartoni animati, chiedendoci cosa significasse. mi ricordo ancora lo stupore che ho provato quando abbiamo studiato quel verbo. ohi, ma era la scritta dei cartoni animati. ohi, ma allora voleva dire, continua. ohi, ma allora tutte le realtà in cui mi muovo, in qualche modo, anche per un secondo, possono venire a contatto l’una con l’altra. io bambina. io adulta che scelgo una strada, io adulta che poi ne scelgo un’altra, io che studio giapponese, io che sognavo coi cartoni, io che scopro che quella scritta vuol dire, continua. avevo sempre pensato che significasse, fine. l’esatto contrario. il mio solito brillante infallibile intuito.
comunque stanotte ho sognato quest’uomo, e in questo film giravamo per un quartiere strano, buio, piovoso, orientale, bellissimo (la notte, la pioggia, l’oriente; per me era come stare in una versione meravigliosa di casa). e io ero felice, anche se poi non è successo niente che giustificasse tanta felicità. a parte il fatto che per tutta la durata del sogno siamo stati insieme, chiacchierando, passeggiando, mangiando, scoprendo negozi assurdi. semplicemente insieme. nella vita reale, fuori dal sogno, questo mi manca. e provo nostalgia per qualcosa che non ho, di cui sento una mancanza presente e futura, ma priva di un passato a giustificarla.
hai molte cose, qui, che è legittimo che ti manchino. tipo, questa donna meravigliosa, giusto per. ma questa donna meravigliosa vorrebbe che tu restassi a tokio. perché se torni qui, proverai la mancanza per qualcosa che qui non puoi avere. lì, senti la mancanza del passato; qui, sentiresti, e già sentivi, la mancanza del presente e del futuro. il passato lo si lascia alle spalle, con dolore, con difficoltà, con le lacrime, ma lo si lascia. il futuro no. resta lì. cerca l’uomo-pecora. scegliti una stanza vicina al centro e luminosa. prepara un futon per me. la malinconia non è un sentimento che ti si addica, la nostalgia nemmeno. sbatte con i tuoi colori, davvero.

domenica 9 agosto 2009

esterno giorno

(roma)

la pecora-drago sostiene che gli esseri umani non dovrebbero stare troppo tempo sotto il sole, perché già il loro cervello è quello che è (credo sottintenda qualcosa di negativo), figuriamoci poi se fonde. lei, comunque, l’estate in genere la passa all’ombra del carro del far-west. io, comunque, l’estate in genere la passo sotto il sole davanti al carro del far-west.
- insomma, il punto è che non sono capace di dirtelo.
- insomma, il punto è che non sei capace di dirlo.
- dirtelo.
- dirlo.
- vabbè, è uguale.
- mica vero.
- dirlo.
- dirtelo.
- mi stai confondendo.
- non sei capace di dirmelo perché non sei capace di dirlo perché non sei capace di dirtelo.
- ...
- beh?
- mancanza.
- mh.
- cioè.
- mh.
- non so, sarà l’estate che mi fa male, a me.
- mh.
- però, ci stavo pensando l’altro giorno, mi sentivo in quel modo che quando mi ci sento poi vado in libreria a regalarmi un paio di libri per farmi sentire meglio, ma alla fine non ci sono andata, in libreria, perché non volevo sentirmi meglio. cioè, non è che sono incappata in un attacco duro di masochismo. è che mi piaceva. non era una sensazione dolorosa, era gentile; era un misto di malinconia e nostalgia. era un po’ come galleggiare in un mare denso e luminoso, che non ti lascia molto spazio per muoverti ma nemmeno ti fa andare giù, e in effetti un po’ ti blocca, in un certo senso ti imprigiona, ma nemmeno tanto, perché poi la possibilità di tornare a riva ce l’hai. solo che è bello galleggiare in quel modo lì, e allora non ti importa più niente, resti lì a fare il morto a galla con gli occhi chiusi e ti dondoli, e nemmeno ti accorgi che invece dalla riva ti ci stai allontanando tantissimo.
- mh.
- mi ci sto allontanando tantissimo, vero?
- praticamente l’unica qualità che hai è che sei bravissima a fare il morto a galla.
- ...
- ma sarebbe ora che tu ti ricordassi come si fa a nuotare.

domenica 2 agosto 2009

ti odio perché non ti odio più

(roma)

l’amore che finisce, va bene, alla fine ci si rassegna. ma il dolore che finisce, l’odio che finisce, la fine che finisce; non ci sei mai riuscita, ad andarci d’accordo, con questa cosa qua. e non puoi proprio farci niente; anche se stringi fortissimo le mani il fumo se ne va lo stesso. succede che alla lunga ti scocci di dare spiegazioni e togli lo screensaver al cellulare, succede che quell’immagine ti piace di più e allora cambi lo sfondo al mac, succede che non hai abbastanza spazio disponibile per fare delle foto a bologna e allora alcuni vecchi scatti li cancelli, succede che hai un problema con la mail e allora devi cambiare la password. lo hai deciso tu. ma tutto il resto no. succede che un giorno ti ricordi che te lo stai scordando. che pensi che non ci pensi, da quanto? una volta ci pensavi tutti i giorni. poi, tutte le settimane. poi ti rendi conto che in effetti è stato che negli ultimi mesi hai avuto un po’ da fare. allora ti ci impegni, lo cerchi su gugl, hai sempre pensato che siamo la generazione condannata al ricordo, al non perdersi di vista mai, che abbiamo gugl, ci ritroviamo tutti, e l’ultima volta che lo hai cercato ti ha dato la nausea leggere il suo nome, ma l’ultima volta, te lo ricordi, è stato molto più di un anno fa. allora lo cerchi, è vivo, è diventato dirigente. bravo. non te ne frega niente. cerchi di provocarti da sola, ti dici, guarda, ha perso l’ultimo pezzo di anima. niente. non te ne frega proprio niente. eppure, che nostalgia, com’è possibile? eri così piena di odio, una volta. non dico, l’amore, quello è passato, calpestato, inutile, ma poi chi se lo ricorda, magari ti eri sbagliata, magari in effetti non l’hai amato mai. ma tutto quell’odio così bello e colorato e vitale. e allora provi a fare una lista di tutti i motivi per cui l’hai odiato, e la mattina dopo te li sei scordata. ti ricordi solo una frase, ti odio perché non ti odio più. l’unica frase che ti ricordi, e nemmeno è vera. e fai l’estremo tentativo, che se non puoi odiare lui, perché non lo odi più, potresti provare ad avercela almeno un po’ con te stessa. quel minimo che serva a conservare un po’ di dignità, un po’ di senso per sei anni della tua vita. non funziona, davvero non te ne frega più niente. allora ti guardi, che la gente per scordarsi amore odio dolore pagherebbe, e tu stai lì che cerchi di acchiappare al volo il fumo e ti infastidisce questa cosa che non ci riesci; e pensi, ohi, io ho fatto del mio meglio, ho fatto del mio meglio per amarti, ho fatto del mio meglio per odiarti, ho fatto del mio meglio per ricordarti, l’unica cosa per cui non ho mai fatto del mio meglio è stata dimenticarti, e a quanto pare invece è l’unica che mi sia riuscita bene.

giovedì 23 luglio 2009

interno notte

(roma)

il fatto è che tu ti ricordi del corso per diventare vulcaniana solo nei momenti in cui stai andando oltre ogni ammissibile irrazionalità, dice la poltrona verde.
e quindi chiaramente fallisci, perché è come se ti ricordassi di mettere la protezione 30 dopo essere stata una settimana sotto al sole, aggiunge il bastone della pioggia.
non male quel telefilm in replica, cerchiamo di ricordarcelo la settimana prossima, commenta l’albero di natale nano.
cioè, seguimi: un conto è che tu rifletta, in condizioni normali –
per condizioni normali non si intende in piena notte dopo mezza bottiglia di vino, interloquisce la lampada del soggiorno.
dicevo, in condizioni normali, sul fatto che un po’ di logica e razionalità nella tua vita non guasterebbero, spiega la poltrona verde.
e allora sei nelle condizioni di prevenire e non curare, come si dice. altro conto è che tu dica, hey, devo diventare vulcaniana, quando ormai la frittata l’hai fatta, e stai galleggiando nelle uova rotte, continua il bastone della pioggia.
guarda che se non te lo scrivi non te ne ricordi, la settimana prossima, che c’è quel telefilm; che non ti ricordi mai niente, insiste l’albero di natale nano.
perché quello che fai tu, alla fine, è pensare, uh oh, che gran casino, allora adesso divento vulcaniana, dice la lampada.
ti guardi bene dal pensare di diventare vulcaniana per evitare di fare casini. no, tu ti attacchi all’idea di diventare vulcaniana quando i casini ormai li hai fatti e devi risolverli, incalza la poltrona verde.
peggio! tu vuoi diventare vulcaniana per ignorarli. vuoi pensare, ok, ma da oggi sono vulcaniana, quindi quello che ho fatto prima non vale, continua il bastone della pioggia.
te lo sei segnato sì o no?, chiede l’albero di natale nano.
gente, ma andare a dormire, che si sarebbe fatta una certa e io domani ho un gatto a cui badare?, sbuffa il cuscino del divano.

ha ragione. ha perfettamente ragione.
se non me lo segno, non me lo ricorderò mai, il telefilm in replica.

sabato 18 luglio 2009

rassicuranti metafore

(roma)

ieri stavo trotterellando verso la stazione del quartiere-paese, per andare a prendere il trenino del far-west. nella corsia dalla parte opposta della strada c’era una fila lunghissima, credo causa lavori. mentre camminavo guardavo le macchine ferme, e ho riconosciuto quella del fratello secsi del manovratore. lui mi ha vista, mi ha sorriso e mi ha fatto ciao ciao con la manina da dietro il finestrino. anch’io gli ho sorriso e gli ho fatto ciao ciao con la manina. poi ho continuato a trotterellare tranquilla verso la stazione, e lui ha continuato a restarsene tranquillo bloccato nel traffico. e poi abbiamo vissuto la nostra tranquilla giornata, abbiamo pensato tranquillamente ad altro, e quando ci incontreremo continueremo a salutarci tranquilli e sorriderci tranquilli e farci ciao ciao tranquilli.
ecco, me questa cosa che tutto scorre, tutto passa, e la vita continua, mi è sempre piaciuta un sacco.

venerdì 17 luglio 2009

luoghi della mente (1)

(roma)

nella cartellina “pennuta” su iphoto le conservo tutte; quelle fatte col mio mac a roma, quelle a bologna, una in cui tieni in braccio gatto che aveva solo pochi mesi, il condominio di scola. poi ce ne sono a centinaia che non sono mai state scattate. ti regalo quelle. ma sono tantissime, e quindi te le regalerò un po’ per volta, come se fosse un coso random di fote random. te tu stai pronta, che non sai né il giorno né l’ora.

la prima. roma, stazione termini. i passeggeri appena scesi dal treno proveniente da bologna centrale immobilizzati in quella fissità dinamica delle fote che fermano la gente che cammina. bolognese che avanza lungo la banchina con crestina afflosciata dal caldo, sorride e guarda nell’obbiettivo. amelia la strega che ammalia la aspetta a inizio binario. ferma, in piedi, osserva sogghignando la crestina.

bologna. o quasi: l’altra casa, quella tra la via emilia e il west. estate. notte. tavolo del soggiorno. carte da poker, birre, contenitore pieno di pop-corn. come fiches, cucchiai di plastica colorati. l’involucro trasparente che li conteneva, abbandonato in un angolo.

roma. garage condominiale. auto (semplicemente bellissima, splende e illumina tutta la foto col suo innegabile fascino) rossa in retromarcia. bolognese immobilizzata dall’obbiettivo con espressione attonita. dialogo precedente allo scatto: orgogliosa proprietaria della macchina che le dice l’anno di immatricolazione; donna che esclama, cazzo, ma questa macchina è più vecchia di me!
(per la cronaca, mi ero sbagliata: avevo invertito le cifre finali. ho ricontrollato sul libretto quando finalmente ho fatto il duplicato: è solo del 1987. sei molto più vecchia tu).

bologna. salaborsa. insieme eppure sparpagliate, di come la gente che ama i libri riesce a girare in una libreria o in una biblioteca stando insieme ma senza intralciarsi (che poi questa è una cosa rarissima). donna autoctona con in mano un volume di andrea pazienza. donna straniera affascinata dal sistema dei carrelli.

roma. casa appena reduce da un trasloco. manca ancora qualcosa. tipo, il phon. bolognese in terrazzo, scruta il quartiere-paese e si fa asciugare i capelli dal sole. questa è una delle mie fote preferite. lei ha quel modo di guardare il quartiere-paese nel sole, che faceva intuire già la presenza di una pecora-drago da qualche parte, a dare un altro senso a tutta questa strana dimensione. padrona di casa che pensa che sì, sarebbe ora di comprarsi un phon (la volta dopo, la pennuta avrebbe telefonato a colui che tutto puote dicendo, pensa, stavolta c’è anche il phon. sempre fatto ridere moltissimo, questa frase, ogni volta che mi viene in mente).

mercoledì 15 luglio 2009

mio cugino, il mio gastroenterologo

(roma)

che è il titolo di un libro di mark leyner. mio cugino non fa il gastroenterologo. cioè, a dire il vero non lo sento da anni, non ho idea di cosa combini; però mi auguro non faccia il gastroenterologo, visto che è laureato in legge.
stamattina ho preso la navicella spaziale che porta nella cattedrale nel deserto dove domina la mia gastroenterologa. ho perso i referti delle ultime analisi. non è colpa mia, è la mia bambina emozionale, è che la disegnano così. allora sono arrivata e le ho consegnato i compiti (mi sono sentita molto a scuola quando dovevi consegnare i compiti e sapevi che mancava qualcosa, e aspettavi in piedi accanto alla cattedra che la prof se ne accorgesse e la collera scolastica si abbattesse su di te), e lei a un certo punto ha alzato lo sguardo e mi ha chiesto, e le ultime analisi? e io le ho risposto, sono rimaste chiuse nell’autolavaggio. e lei: ? e io: senza benzina gomma a terra niente taxi tintoria funerale! terremoto! inondazione! cavallette! e lei: insomma, le hai perse. e io, insomma, sì. che non è questa tragedia, perché tanto faccio il puntaspilli vulcaniano a cadenza mensile. però, insomma, già nel mio corpo è in corso una guerra civile. essere anche sabotata dalla mia bambina emozionale è seccante.
comunque la cattedrale nel deserto è un luogo di bianco vs nero. è uno di quei posti dove percepisci chiaramente che “hanno diviso in due il mondo, e penso di essere dalla parte sbagliata” (no, è che era da un po’ che non citavo i marlene kuntz e mi mancavano). in effetti io sto sempre dalla parte sbagliata, un po’ per scelta, un po’ per indole, un po’ per sfiga. negli ospedali, sostanzialmente, c’è chi sta bene e cura, e chi sta male e ha paura. poi si può giocare con le sfumature, ma alla fine è così. e nei corridoi o nelle sale d’attesa te ne rendi conto di meno, ma se esci a fumare li vedi, i camici bianchi tutti raggruppati da una parte che discutono fra loro e sono incazzati per problemi di turni o primari o che, e i malati che invece sono sparpagliati, non fanno gruppo, sono silenziosi. sono dall’altra parte della barricata, quella in cui stai male e quindi sei solo. perché poi se stai male puoi avere tutti gli amici che vuoi e l’affetto e i consigli e quello che ti pare, ma sei solo, sei tu e il tuo corpo e quello che non va, è una cosa dentro di te e non la puoi condividere. e forse in fondo nemmeno la vuoi condividere.
comunque sono stata rimandata a settembre, così imparo a non portare i compiti. quella faccenda degli esami che non finiscono mai, minchia, non pensavo andasse presa così alla lettera, eh.

sabato 11 luglio 2009

hasta la lluvia siempre

(roma)

noi che il ’77 l’abbiamo fatto in culla, noi che gli anni ’80 li abbiamo assimilati nel cibo e nell’acqua e nella televisione e pensare che i nostri genitori si preoccupavano della nube di chernobyl uno scherzo al confronto. noi che siamo sempre stati tra color che son sospesi, noi che abbiamo visto cobain vivo e poi ci è morto, noi che il comandante guevara invece era già morto e però lo conosciamo meglio di chiunque, noi che sogniamo cuba, sì, ma con la pioggia.

eravamo a cuba. io e g. eravamo andati lì a studiare, non mi ricordo cosa. e cuba era uguale a valle aurelia, non propriamente il quartiere più chic di roma. e pioveva, pioveva senza sosta, pioveva con violenza, e i finestrini della macchina di g. erano rotti e ci arrivavano secchiate d’acqua addosso.

noi che abbiamo visto ex coinquiline in overdose al parchetto di san lorenzo, ed era la fine degli anni ’90, mica dei ’70, noi sempre fuori tempo, che del resto siamo cresciuti leggendo christiane f, noi i ragazzi dello zoo di noi stessi, noi che poi ci è tornato di moda l’assenzio, che del resto siamo cresciuti leggendo baudelaire e rimbaud. noi che forse siamo cresciuti leggendo troppo. noi che della nostra rabbia non abbiamo mai saputo bene cosa farne, noi mai stati né guerriglieri né artisti, noi che molto prima di conoscere kurt alla nostra compagna di banco avevamo detto che il nostro alter ego si chiamava nirvana. noi che il nostro alter ego si è tirato una fucilata ma non riusciamo a capire quando e dove e nemmeno se è morto o solo in coma.

e credo che la realtà la conosciamo bene e non riusciamo a tenerla fuori perché il nostro mondo ha i finestrini rotti, e questa vecchia macchina calda in cui ci siamo nascosti sarebbe comoda e sarebbe un riparo e ci capita anche a volte di dividerla con belle persone, ma poi la realtà filtra, se ne approfitta dei varchi, ci si rovescia addosso, non c’è verso di fermarla. ma nel sogno io ero fradicia e non riuscivo a tirare su il finestrino e guardavo g. e lui rideva, e ridevo anch’io. noi che comunque alla fine del sogno ci ridiamo su.

lunedì 6 luglio 2009

gente che non si sente proprio benissimo

(roma)

gente che non si sente proprio benissimo, la mattina si sveglia e capisce che non andrà a lavorare. gente che non si sente proprio benissimo, si alza e cerca un libro, poi pensa che deve comunque provare a fare colazione, poi cerca di fare colazione con un libro in mano. gente che, si sposta dal primo letto al secondo letto, dal secondo letto al divano, dal divano alla poltrona alla sedia all’altra sedia. poi le viene in mente che deve chiamare il direttore, poi si ricorda che gli ha mandato una mail la sera prima, poi il direttore chiama lei, poi lei chiama la sua collega che dovrà far fronte alla sua assenza, poi le manda una mail, poi forse la collega richiamerà lei. gente che, realizza che per scrivere una mail di una riga ci ha messo venti minuti e ha bruciato quasi tutte le energie intellettuali di cui dispone al momento. allora posa il libro. gente che, vaga per casa molto lentamente, si fa un caffè, dà l’acqua ai rametti di geranio che non sembrano abbastanza forti per affrontare un nuovo vaso una nuova terra una nuova vita da soli con questo caldo. gente che, chiede silenziosamente ai rametti di geranio di provarci, almeno. gente che, sta pensando che dovrebbe andare al cinema, perché la sua teoria è che quando si sta male si deve uscire per far credere a se stessi che non è malattia, è vacanza. gente che, si accende un’altra sigaretta, e parla con se stessa, e chiede e tratta e promette. gente che, esce in terrazzo e racconta i suoi progetti ai rametti di geranio. gente che, si rende conto che non ha progetti che vadano oltre i tre mesi. gente che, sa che tre mesi ai rametti di geranio bastano e avanzano. gente che, a volte, si sente un rametto di geranio.

sabato 27 giugno 2009

just a lost soul swimming in a fishbowl

(roma)

se fossi capace di scrittura intimista e non letteraria, e non lo sono, come mi è stato detto; se fossi capace, però.
se fossi capace di scrittura intimista e non letteraria direi che circondato da quelle pareti di vetro sembri giusto un’anima persa che nuota in una boccia per pesci; e se posso evito di entrare nell’acquario con le tendine, perché di fare la seconda anima persa non mi va che mi vada.
se fossi capace di scrittura intimista e non letteraria mi chiederei, seriamente, perché ogni giorno debba essere così complicato, per me, che non mi facciano scambiare i miei eroi con fantasmi, mentre per gli altri sembra sempre così facile.
se fossi capace di scrittura intimista e non letteraria spiegherei in che modo mi sento, contemporaneamente, comparsa fuori, e protagonista dentro, di una guerra in una gabbia.
se fossi capace di scrittura intimista e non letteraria confesserei di non essere mai stata capace di distinguere un sorriso da un inganno, e di quanti pensieri e dubbi e dolori ne siano venuti.
se fossi capace di scrittura intimista e non letteraria sorriderei per le discussioni sulle parole giuste, che siano paure o lacrime, dal vivo o su disco, perché tanto è esattamente lo stesso.
se fossi capace di scrittura intimista e non letteraria proverei a spiegare che non sono mai così intimista come quando parlo con la pecora-drago o il bastone della pioggia o la poltrona verde, o discuto con l’albero di natale nano o sospiro insieme all’elefantino viola o rido con gatto, perché se fossi capace di scrittura intimista e non letteraria sarei capace di dire, molto semplicemente, che per quanto sembri assurdo quello è il mio mondo vero, e tutto il resto per me è estraneo, è solo un altro mondo in cui corro, anno dopo anno, trovando sempre le stesse parole che si confondono. se fossi capace.

domenica 21 giugno 2009

come d'autunno

(roma)

poi guardi commedie sentimentali solo perché ti piace il protagonista, e lo senti dire che l’universo lascia che il cuore si espanda, e che deve essere questo il senso di tutto il dolore e le difficoltà che dobbiamo affrontare. e ci stavi pensando già da un po’, che alcune persone vengono attraversate dal dolore e acquistano una nuova forma, una diversa pienezza, un nuovo respiro nella voce quando cantano, un altro tocco della penna sul foglio quando scrivono, uno sguardo più lucido quando hanno a che fare col mondo. un cuore espanso. ma altre persone vengono risucchiate dal dolore e disseccate, e diventano timbri metallici e penne che graffiano e negatività e rancore.

(ti senti in colpa perché non stai bene. ti senti in colpa perché non stai bene e c’è una persona a cui vuoi bene, hai bene da volere ma non da dare. e finché non torni luminosa non lo dovresti nemmeno avvicinare).

pensavi a quella che è una delle frasi più famose di che guevara, che bisogna sapersi indurire senza rinunciare alla propria tenerezza. pensavi a quante cose ti hanno attraversata in questi anni senza disseccarti, insegnandoti un nuovo modo di toccare le persone. ma scendendo hai perso troppi pezzi sulle scale e per tanto tempo ti sei chiesta se saresti riuscita a rimetterti insieme. pensavi che è vero anche il contrario. forse è più vero. che bisogna sapersi intenerire senza rinunciare alla propria durezza.

(poi però sei contenta perché piove, e ti importa solo di quello, e allora esci e ti lasci consolare dall’acqua, e ti ricordi che in fondo sei a buon punto, che saranno solo pochi giorni; che anche quando non si può essere luce, si può essere acqua, si può essere ombra, si può essere e basta).

venerdì 12 giugno 2009

Extraterrestre, femminile, plurale

(ci ho pensato a lungo, a come si dice, ho concluso che sarebbe extraterrestre. ma non si sarebbe capito. quindi.)
(bo-ballottaggio-logna)

Solo due cose.

Uno. Hanno bloccato la partenza per le vacanze dei nonnetti della CGIL. Per il ballottaggio. Pare che nell'ormai frusto 1999 questo non fosse stato fatto, e il risultato fu quello noto ai più. Poi su un blog che frequento leggo un'analisi del voto come di uno scontro fra umarells vs gerontozanari. Roba di vecchi insomma.
Perché elaborare un programma decente per la città ed esporlo in maniera coinvolgente alla popolazione in età lavorativa? Molto più comodo sfruttare l'abbondante materia prima caratteristica del luogo: i vecchi appunto.
E il buon governo? E le politiche di inclusione? E quello spirito di avanguardia che ci ha portato primi in Italia, dal 1999, (correggetemi) ad avere uno statuto comunale che equipara le coppie di fatto (uomo-donna, uomo-uomo, donna-donna, uomo-cane, ecc..) a quelle "costituzionali", come le ha chiamate il gerontozanaro?

Due. Approvata la riforma della scuola. Fra le avvincenti news l'introduzione del liceo coreutico. Nella mia ignoranza vado sul dizionario a cercare il significato di questo arcano lemma. E mi cascano le braccia. Va bene che effettivamente letterine, letteronze, schedine, meteorine... non eccellono per professionalità, ma da qui a provocare una riforma della scuola... Poi ci ho pensato: i reality, lo svallettamento, la tv e il gossip in generale sono pressoché l'unica occasione di mobilità sociale in questo paese-stivale, se uno non vuole rassegnarsi a fare un "buon" matrimonio. Quindi ben venga il liceo coreutico, che almeno aumenterà la preparazione dei concorrenti danzerini.

Facciamo tre.

Tre. Lo dico solo come promemoria per me, perché ogni tanto perdo di vista il senso delle cose e tutto quanto e quindi. Il fatto che ci interessi sapere come, con chi, che cosa, quando e dove il nostro premier fotte non vuol dire che a noi piaccia il gossip, che non c'è più religione (né educazione fisica), che uno non è più libero di fare quello che vuole a casa sua. Il fatto è che quella persona lì, che poi, ancora peggio, non si tratta solo di quella persona lì, ma di tutti quelli che lui rappresenta a vario titolo (come premier, politico, imprenditore, cioccapiatti, operaio, vigile del fuoco, cuoco, marito, padre, nonno e papi), quella persona lì in cambio dei favori sessuali del numero incredibile di signorine che sta venendo fuori ne faceva altri di favori. Ad altri uomini che le signorine le "presentavano", alle signorine stesse, ai mariti delle signorine, ai padri e a gesù sa solo chi. Favori che spesso implicano dispendio di denaro pubblico, ma al limite anche solo la prevaricazione sulle ragioni, le capacità e la professionalità altrui.

Detto ciò, sarà il caldo, l'età che avanza, la stanchezza da grandinata di scadenze, ma mi pare che il limite dell'incredibile venga coscientemente e dolosamente spostato sempre più avanti, in maniera sempre meno impercettibile.

Cioè, voglio dire, George Clooney ha ingaggiato una medium per parlare col suo maiale morto.

Vorrei parlarne, seriamente, e vedere se qualcuno riesce a darmi almeno... facciamo 3 buone ragioni perché io non desideri far estinguere quello che ormai si può tranquillamente chiamare (grazie papi bossi) la razza italiana.

Magari fossi il peggiore, ma ci provo lo stesso: cameriere, portami una cisterna di negroni e una sega elettrica!

giovedì 11 giugno 2009

posso almeno dire ahi? (no)

(roma)

ieri mattina sono trotterellata (io trotterello semideponentemente) dalla pecora-drago e appena l’ho vista che masticava placida le ho annunciato, ehi, mi si è spezzata un’unghia. lei mi ha guardata con la faccia tipo, embè? e io le ho detto, beh, sarà metaforico, no? lei mi ha guardata con la faccia tipo, no. e io ho insistito, le unghie, lo smalto, guarda che c’è un significato, ci deve essere per forza, anzi, devi spiegarmelo tu, devi dirmi che vuol dire che mi si è rotta un’unghia. lei ha sputato l’erba e mi ha guardata con la faccia tipo, che spaccagonadi che sei. e io ho ribattuto, ma dai, pensaci, c’è un senso, sono proprio sicura che ci sia un senso. e lei ha detto, sì. ecco, lo sapevo. ha detto, sì, il senso è che la devi piantare di cercare di dare sempre un senso a tutto, di farti seghe mentali di giorni per sciocchezze e di rompere l’anima a te stessa e soprattutto agli altri con queste cazzate.
ah.
...
posso almeno lamentarmi un po’?
no.
ma guarda che fa malis...
no.
ma è davvero dolor...
no.
...
.
(uffa).

domenica 7 giugno 2009

strade di francia (spartiacque psicologico 2)

(roma)

“parigi, parigi a me va bene, per non tornare più. così dicevi, perché i miei occhi pieni di stazioni e chiese, ritornassero blu...”

metro b. come blu. la metro b non ha niente di blu, se non di quel blu pesante, minaccioso, venuto fuori male, che sarebbe stato perfetto per fare il grigio scuro dei temporali in arrivo; ma qualcuno deve aver sbagliato a mischiare i colori.
e poi si ferma. ma ormai quasi cinque anni di trenino del far-west mi hanno vaccinata contro i convogli fermi in galleria; e l’altra mattina ho pensato, magari tendeva tutto in questa direzione, serviva tutto a non scalfire l’entusiasmo nuovo dell’essere qui.
anche il fatto che qui, quando passeggio, non sorprendo alle spalle una basilica che, colta alla sprovvista, mostra inaspettatamente un lato bello e leggero e semplice. qui, se passeggio, incontro un luogo di dolore, che non posso sapere, dentro, ma leggo fuori, nei corpi di chi aspetta in attesa di poter visitare. c’era una donna giovane con vestiti semplici estivi e aveva in braccio un neonato. e l’ha lasciato a una signora, forse sua madre, per non farlo entrare. fuori da quell’acciaio ci sono donne giovani in semplici vestiti estivi con neonati in braccio. la vita fuori. la vita nuova, fuori, sbarrata all’altra vita, dentro.

“...le strade, le strade dei francesi, che non ho visto mai. eh, ma se i sogni non li avessi già completamente spesi, in quello che sai...”


l’uomo sul sedile accanto al mio, in metro, parlava da solo, ma era rivolto verso la donna di fronte. lei non sapeva dove guardare. a me è venuto in mente che adoro incontrare persone per strada che sorridono da sole, all’improvviso. anche se poi si imbarazzano. capita anche a me, sempre più spesso, ultimamente. sorrido da sola. poi mi imbarazzo.
questo ottovolante emotivo che mi strattona in momenti di gioia pura e nervosismo e rabbia e dolcezza e allegria e. non fa per niente bene alla mia gastrite. ma è il movimento di tutti i miei sogni. brucio sentimenti diversi senza riposo, e li cambio in un moto perpetuo di alti e bassi e bene e male e felicità e dolore che genera un’entropia sognante. la mia cifra. mi salva dallo sprofondare nel grigio scuro, ma forse non mi lascia arrivare al blu vero. però ho conosciuto una persona che è niente più sogni tutta rancore e frustrazione, e ho ringraziato silenziosamente la giostra che sballa la mia vita di secondo in secondo, e ho pensato che va benissimo così.

“...e allora adesso che ogni cosa ha un nuovo nome, e questo nome me lo insegni tu, com'è che vivo ancora tra una chiesa e una stazione, e i miei occhi, i miei occhi non ritornano blu?” (d. silvestri)

martedì 2 giugno 2009

armadi a muro (spartiacque psicologico 1)

(roma)

la mia prima azione degna di nota è stata, dopo il colloquio, cercare di infilarmi nell’armadio a muro scambiandolo per l’uscita. fm, molto gentilmente, mi ha tirata fuori dall’armadio, mi ha indicato la vera porta d’ingresso, quella accanto, e mi ha detto di non preoccuparmi, che succedeva a tutti di scambiare l’armadio a muro per l’uscita. nelle settimane successive ho monitorato attentamente ogni movimento intorno a quelle due porte, ho spiato pony-express, stagisti, gente di passaggio. nessuno si è mai infilato nell’armadio a muro invece di uscire dalla porta giusta.

(la strada fuori dalla stazione della metro è diversa a seconda del marciapiede su cui capiti. il primo giorno ho sbagliato lato. e tutto è stato molto ostile e freddo ed estraneo e pericoloso. i giorni successivi ho passeggiato sul lato giusto. allegro, tranquillizzante, amichevole. il penultimo giorno ho provato di nuovo il lato sbagliato, per convincermi che fosse tutto il risultato della mia immaginazione. no. il lato sbagliato è proprio sbagliato).

traslochiamo. ho salutato il vecchio ufficio per l’ultima volta. non metaforicamente: ho vagato per le stanze salutandole tutte, una per una, con fm che mi guardava ironico e commentava, ehi, ti sei scordata di salutare quel mattone. domani mattina mi sveglierò, uscirò, prenderò un treno e due metropolitane, e mi perderò.

(il corridoio vuoto. ho sbirciato la grande sala. la grande sala ha sbirciato me. qualcuno si è alzato e mi ha accompagnato verso la stanza in fondo al corridoio. la disposizione anomala delle sedie, priva di giochi di potere. la sensazione di conoscenza).

mentre salutavo il balcone su cui uscivo a fumare, ripensavo a una frase che avevo letto anni fa: che i divorzi e i traslochi sono gli eventi più stressanti nella vita di una persona. in quel momento fm è uscito in balcone a fumare e mi ha detto, sai che i divorzi e i traslochi sono gli eventi più stressanti nella vita di una persona?; e io ho pensato, cazzo, ci mancavano solo i poteri esp.

(la disposizione anomala delle sedie. priva di giochi di potere. la mano sulla schiena per tranquillizzarmi. l’incoscienza dell’ignorare quello che non puoi fare. l’innocenza del rifiutare quello che non vuoi fare. la pazienza del fare pace con bambini imbronciati. e, no, in questa vita non conosco tibetani).

io domattina mi cerco un armadio a muro.

lunedì 25 maggio 2009

le doppie punte fanno volume

(roma)

ho promesso a una persona che avrei scritto dei magoni all’aria aperta. allora oggi stavo in balcone a fumare, e ci riflettevo su, che non è facile scrivere su un blog qualcosa di cui si è parlato con qualcuno che tanto sai che ti capisce subito. devi cambiare il tono, le parole, devi tradurre, che poi è il contrario di quello che invece faccio in genere sul blog, cioè codificare. allora stavo lì che pensavo che il titolo del post sarebbe stato magone gone one ne e, perché il concetto di fondo era che se stai tanto tempo al chiuso, hai tutta una serie di magoni, in assoluta solitudine, che fanno eco dentro te stessa, dentro la caverna che è diventato il concetto di “te stessa”; e quando all’improvviso ti ritrovi all’aperto, hai molte più possibilità di smagonare, perché gli stimoli esterni sono di più, è tutto più difficile e anche un po’ terrorizzante; però quei magoni lì non fanno l’eco, sono più puri, si diluiscono nello spazio aperto invece di ingigantirsi dentro di te. l’avevo definita un’attitudine al magone più pura, libera da sovrastrutture; l’essenza pura della magonosità.
e mentre cercavo di tradurre tutto questo, è passata una donna sul marciapiede, ed era quasi uguale a te. e io, negli ultimi anni, di donne quasi uguali a te ne ho incontrate, e ogni volta ho sobbalzato. ogni volta un magone. e invece oggi no. le ho guardato i capelli, neri come i tuoi, mossi come i tuoi, e ho pensato, una delle tue frasi storiche, le doppie punte fanno volume.
poi ho pensato che era la prima volta che mi confrontavo con l’idea di te che c’eri, non ci sei più stata, ma continui ad esserci, senza soffrire, senza sobbalzare, senza smagonare. senza pensare nemmeno per un secondo, magari è lei davvero, magari si sono sbagliati tutti, magari è uno strano film in cui è ancora viva.
magari.
io speravo che questo momento sarebbe arrivato. ma lo speravo con un certo senso di colpa. perché pensavo che forse sarebbe stato offensivo, nei tuoi confronti. che forse il dolore e la mancanza ti fossero dovuti, e rinnegare la sofferenza del tuo non esserci sarebbe stato un po’ rinnegare te. la verità è che oggi ho pensato che il dolore e la mancanza sono due cose differenti. e comunque, considerato il tuo carattere, forse era proprio nella sofferenza, il rinnegare te. che mi manchi è un fatto. è una cosa che non può essere cambiata, è un vuoto che sta lì, a volte ruota qua e là, a volte è buio nel buio e si nota meno, a volte è nero e gonfio nella luce e non si può ignorare. che non sono mai più riuscita a passare davanti a casa tua è un altro fatto (che poi comunque abitavi a casa del diavolo, e questo è un altro fatto ancora), e che ci sono parole che non ho più detto, e buffa roba fritta che non ho più mangiato, e argomenti su cui non ho più scherzato, e pasticcerie in cui non sono più entrata, e parchi e panchine su cui non mi sono più seduta. e invece ci sono cose che ho continuato a raccontarti, e risate che ho continuato a immaginare, e battute che mi sono fatta da sola. che mi manchi, sì, questa cosa c’è. ma che io riesca a pensare che le doppie punte fanno volume senza soffrire, ecco, non è non volerti più bene. è una specie di schermo colorato che non ti separa, ma ti mette al sicuro. la vedo così.
ora però la smetto che mi sta salendo su un certo magone. però non fa l’eco. è molto puro, nel suo essere l’impossibilità di dirti più che ti volevo bene, la possibilità di dire a me che te ne voglio ancora.

domenica 24 maggio 2009

raccolta differenziata dei pensieri non tibetana (modalità quartiere-paese)

(roma)

qui al quartiere-paese abbiamo dei problemi con la raccolta differenziata. cioè, non noi. loro. loro, gli omini della raccolta. nel senso, noi ci impegniamo, differenziamo, buttiamo. loro non raccolgono. per settimane. questo fa sì che dopo pochi giorni noi ci impegniamo, differenziamo, ma non buttiamo, perché non c’è più posto. allora, e tutto questo nella sua assoluta demenzialità è vero, tra amici ci segnaliamo la situazione delle campane e dei cassonetti. tipo, arriva booster e dice, corri, che hanno svuotato la plastica e il vetro, o ti citofona la chef che hanno raccolto la carta, e tu schizzi fuori e raggiungi la campana finché è vuota, o mezza vuota, o mezza piena (dipende dall’indole) (non so se della campana o di chi ci va), e butti finché c’è posto libero. che prima o poi scoppieranno risse e tafferugli di casalinghe distimiche che si picchieranno coi sacchetti della plastica per l’ultimo posto utile nel contenitore. poi dicono che a roma la raccolta differenziata non funziona. e grazie al cazzo.
(che sarà volgare ma ci sta).
comunque io la sera torno a casa e faccio la raccolta differenziata dei pensieri come mi ha insegnato lui, solo che mi sa che risento della situazione ambientale. per cui mi armo del mio bravo pensiero-pinza, metto tutti i pensieri negli appositi contenitori, ma poi non riesco a svuotarli. restano lì. e raccolti per categoria invece che lasciati mischiati insieme, diventano molto più minacciosi. cioè, in condizioni normali, il pensiero il direttore è perfido viene attutito dal pensiero mi sono di nuovo scordata di comprare le uova, oppure il pensiero ha detto booster che il fratello secsi del manovratore adesso esce con una strappona si diluisce nel pensiero dove diamine l’ho messa la bolletta della luce scaduta da due settimane. invece, una volta che li hai raccolti, stanno lì, tutti insieme, divisi nelle loro torri immense di pensieri lavoro negativi o pensieri sentimentali negativi, e ti guardano cattivissimi.
io mi sto controllando tutti i neuroni uno per uno alla ricerca di quello con su scritto vuota il cestino, ma non lo trovo. gli omini della raccolta differenziata non passano. i pensieri tracimano. che in fondo va bene, così si rimischiano tra loro, e prima o poi mi ricorderò di pagare la bolletta subito prima di passare al supermercato, comprare le uova, tirarne una metà addosso al direttore e l’altra metà al fratello secsi e alla strappona. e poi nascondermi dietro una campana tracimante rifiuti, sperando che non passi il camion della differenziata proprio in quel momento.

domenica 17 maggio 2009

rosa coi brillantini

(roma)

ieri mi sentivo un po’ strana, allora sono uscita e sono andata dalla pecora-drago, che stava nascosta sotto il carro del far-west per godersi l’ombra. mi sono seduta per terra e lei mi ha guardata con la sua tipica espressione “e-adesso-che-c’è”.
c’è che a volte si sta male. c’è che poi passa. c’è che tocca vedere cosa, esattamente, sia passato. perché magari succede che la causa dell’essere stati male passa, ma l’essere stati male resta. diventa una specie di dolore a sé. il dolore dell’aver provato dolore; quello rimane. c’è che è più subdolo. c’è che ti resta dentro per tantissimo tempo. c’è che è in quel momento lì che davvero sei strana. c’è che presempio sono mesi che non mi metto lo smalto, ma fino a oggi non ci avevo mai pensato. questo c’è.
e lei ha alzato il sopracciglio che non ha, ma si vedeva chiaramente che se lo avesse avuto l’avrebbe alzato, e mi ha chiesto, sei venuta fino a qui per dirmi che sono mesi che non ti metti lo smalto?
no, sono venuta fino a qui per chiederti se secondo te mi sta meglio quello rosa coi brillantini o quello nero coi brillantini, che purtroppo quello viola e quello blu elettrico non li ho più ricomprati.
ha sospirato. e poi mi ha detto che gli smalti chiari allungano e quelli scuri accorciano, e siccome sto portando le unghie leggermente più corte di come le porto in genere, mi conviene mettere lo smalto chiaro.
e allora sono tornata a casa e ho messo lo smalto rosa coi brillantini.
e mi sono sentita un po’ come quando si torna a casa da un viaggio lunghissimo e ci si lascia cadere in poltrona e ci si guarda intorno che tutto è ancora lì esattamente come deve essere e non è cambiato niente e non era la casa che era andata via, eri andata via tu, ma lei è sempre stata lì ad aspettarti, e c’è penombra e tutto è fresco che le serrande per tutto quel tempo sono sempre rimaste abbassate e c’è quel clima e quell’ombra e quel silenzio che esistono solo quando si torna dai lunghi viaggi e in nessun altro momento, e si pensa, che bello che sono a casa. che bello.

lunedì 11 maggio 2009

autostoppiste vulcaniane sulla corsia di emergenza

(roma)

ho riflettuto un po’ su questo problema qui (sì, mi ci è voluto un anno e mezzo, e allora?), e ho capito che sbagliavo. il punto non è affatto che non riesco a far coincidere i vari universi in cui mi muovo perché dovrei muovermi in un universo solo. no.
ho solo dei catastrofici problemi di jet lag.
presempio, l’universo in cui mi sono più o meno mossa (se per muoversi vale il tragitto dalla sedia al balcone per fumare e ritorno) dalle dieci alle due è esattamente il mio universo di riferimento. una schifezza di universo a tutti gli effetti, popolato da gente al cui confronto i vogon sono adorabili, ma è proprio il mio mondo. però verso ora di pranzo ho fatto un salto di qualche minuto in un altro universo, che invece è splendido ma è deformato dalla penultima cosa a cui penso prima di andare a dormire. poi sono tornata in quello che è una schifezza. poi sono andata in un altro, che è abbastanza familiare per quanto totalmente assurdo, e mentre ci andavo ho fatto un salto in un altro universo ancora, che invece è molto bello ma dannatamente stancante e incasinato. a parte che menomale che sono autostoppista galattica, che altrimenti non oso immaginare quanto mi costerebbe di benzina, c’è il fatto che con tutto questo saltellare da un universo all’altro mi sto scombinando i ritmi circadiani. deve essere per questo che poi sono sempre molto confusa e mi stanco facilmente e la penultima cosa a cui penso prima di andare a dormire è sempre quella sbagliata. proverò con quella cosa che stabilizza il sonno, che io confondo sempre con quell’altra cosa che invece fa abbronzare. male che vada, sarò del tutto nevrotica, ma con un incarnato perfetto.

giovedì 7 maggio 2009

Breaking news

Ultim'ora.
Bologna - Rese pubbliche nuove sorprendenti immagini relative ad un party tenutosi a fine marzo. Nelle foto, pervenute nella tarda serata di ieri alla nostra redazione romana, è ritratto l'ospite principale della serata mentre brinda sorridente con tutti i partecipanti ad una festa che si sarebbe svolta, secondo alcune indiscrezioni, in occasione della laurea di una giovane bolognese.
L'ospite d'onore, proveniente da Roma, si sarebbe recato nel locale in cui si è svolto l'evento, nella prima periferia di Bologna, nel tardo pomeriggio di venerdì 27 marzo. L'obiettivo ufficiale della visita-lampo sarebbe stato quello di congratularsi con la festeggiata e brindare con i di lei amici e conoscenti per poi rientrare in serata nella capitale, a causa di precedenti impegni. Ma essendosi i festeggiamenti protratti fino a tarda ora, l'ospite avrebbe deciso di trattenersi per la notte nel capoluogo felsineo. Secondo alcune fonti ancora non confermate, egli sarebbe stato notato mentre si dirigeva verso casa della giovane, a tarda ora e in stato di evidente alterazione, a bordo di un mezzo pubblico.
Un partecipante all'evento ha dichiarato: "mi sto rotolando a terra dalle risate", forse alludendo alle possibili conseguenze della imminente pubblicazione delle immagini sugli equilibri politici e istituzionali del paese.
Il nome della festeggiata, qualora reso noto, potrebbe essere inoltre rilevante nell'ambito di un processo civile in corso presso il Tribunale di Milano.

domenica 3 maggio 2009

ambos cumpleaños

(roma)

buon secondo anniversario di blog, spenné. qui si festeggia, io, gatto, bastone della pioggia, albero di natale nano, poltrona verde, per l’occasione è ricomparso anche l’elefantino viola, che stranamente non è nemmeno troppo depresso. quanto a noi, vale tutto quello che ho scritto l’anno scorso (passano gli anni e divento sempre più pigra, addirittura mi riciclo).
tutto quello che ho scritto l’anno scorso, più l’oroscopo della settimana della rivista di cui mi hai regalato l’abbonamento a natale. che a volte mi chiedo come fai a fare incastrare sempre tutto così bene, senza nemmeno saperlo.

"è il momento ideale per dedicare cure e attenzioni alla tua 'casa lontano da casa', cioè quel posto in cui ti senti più a tuo agio su questa terra dopo casa tua. valorizza questo punto di forza alternativo. aggiungi un tocco di eleganza all'ambiente.

fa' sapere alle persone che si trovano lì quanto sono importanti per te".

lunedì 27 aprile 2009

scusa il ritardo, ho trovato traffico

(roma – ma dai, ma dai)

ho trovato anche un lavoro, e soprattutto ho trovato dei soldi nella tasca di un paio di jeans che non mettevo da un po’. non smetterà mai di stupirmi questa sensazione, tipo regali di natale da piccoli, di ogni volta che trovo dei soldi, miei, da qualche parte. cioè, non è che me li hanno regalati o sono piovuti dal cielo, erano già miei. però uno si sente sempre come se avesse sbancato il lotto. e comunque erano dieci euro, voglio dire, ma vabbè, c’è la crisi. che è una frase che mi sta letteralmente rigurgitando dalle orecchie, io il prossimo che sento dire c’è la crisi lo abbatto a testate.
comunque, dicevo, ho questo lavoro che consiste principalmente nel fumare in balcone, monitorare i maglioni del mio direttore e tramortirlo con frasi che a me sembrano innocue ma evidentemente no. tipo che oggi gli ho parlato per poco più di venti secondi e lui ha reagito fissando il vuoto, immobile, per almeno cinque minuti. non so, potrebbero usarmi come anestesista, secondo me è un talento da sfruttare.
però, fa piacere trovarti sempre in splendida forma, o venerabile signora delle seghe mentali. allora:
1 – denigrare persone che se lo meritano, sono capaci tutti. denigrare persone che non se lo meritano, vuoi mettere?
2 – l’autocommiserazione non è aggravata dall’autoindulgenza. sarebbe come dire che le uova di pasqua sono aggravate dal cioccolato. rigorosamente fondente, mi raccomando.
3 – sei rintronata. ti ho mandato una mail a cui nemmeno hai risposto, e poi ti lamenti che sparisco. però in effetti, conoscendo la perizia dell’operatore di telefonia fissa mobile liquida e gassosa più importante dei multiversi, potrebbe non esserti mai arrivata. continua inspiegabilmente a considerare la posta in uscita spam. comunque ti chiedevo le fote della serata di gala in onore del 61 notturno. ah, spenné, non tutte. e non in stra-massima-eccezionale-lup-mann-risoluzione, come le mandi sempre. una robetta da pochi kb, giusto per vederle, per me va più che bene, sono donna umile e modesta.
poi, niente. c’è questa frase di wolverine che ho letto oggi che è illuminante. su james howlett logan e anche un po’ sulla sottoscritta. dice: odio il giappone. è bellissimo.

Lepidezze postribolari

(bologna - ma dai?!?)

E' un giorno di quelli in cui sono insopportabile a me stessa.
Che non combino niente.
Che mi dico ma come sei messa, parli troppo, perdi sempre delle gran occasioni per stare zitta, che faresti anche la figura di una persona intelligente, posata e riflessiva, che peraltro sei.
Che dovresti smetterla di denigrare insistentemente e peraltro in loro assenza le persone che non se lo meritano.
Che dovresti concentrarti, che cazzo questa è la terza settimana che passa senza un senso.
Che dovresti trovare qualcosa a cui puntellarti per saltare fuori da sto buco di pigra e vuota autocommiserazione aggravata dall'autoindulgenza.
Che mi dico che palle.
E poi sbadiglio e torno a navigare su internet e mi guardo le unghie crescere.
Sarà che piove, ma stanno crescendo moltissimo.

Oh, se è uno sciopero dovuto alla mia colpevole e protratta assenza da questi lidi lo capisco, ma perdiana non mi fare preoccupare.
Che sebbene merdaccia son sempre la pennuta che vi porta nel suo cuor dolente, oh meraviglioso essere.

Prostromi e invoco intercessione presso la vostra pregevole persona.

martedì 14 aprile 2009

ballata per piccoli sciacalli

(roma)

poi ogni tanto succede che qualcuno esagera e gli addetti ai lavori e non solo si interrogano sui limiti di.
leggevo un commento di un editorialista, che raccontava di quando ai suoi tempi i giovani cronisti venivano spediti a casa delle vittime, per rubare qualche foto. e qualcuno, leggendo quello stesso pezzo, avrà pensato, ma dai, mica può essere vero. verissimo, invece. le stesse cose mi furono raccontate, dieci anni fa, da un vecchio cronista.
c’è stato, per molti, chiaramente non per tutti, un episodio che ha fatto da spartiacque, a un certo punto della carriera. il suo fu proprio all’inizio. in realtà capita a tutti che succeda proprio all’inizio; lì si decide tutto quello che verrà.
a lui capitò di dover andare a casa della vittima di un incidente, per chiedere alla vedova una foto (o, in alternativa, rubarla). appena arrivato si rese conto che la donna non era ancora stata avvertita dell’incidente. non aveva idea di essere diventata vedova. succedeva spesso, all’epoca, che il giornalista arrivasse prima della notizia. succede ancora adesso, in qualche caso. comunque, lui non se l’è sentita. quando si rese conto che la donna non aveva idea di cosa fosse successo, si spacciò per un vecchio amico del marito, disse che era solo passato per un saluto, e se ne andò. sulle scale incrociò altri due cronisti, molto più scafati di lui. quando li avvertì che la donna ancora non sapeva niente, quelli risero e gli risposero, adesso ti facciamo vedere noi come si fa questo mestiere. suonano. la donna apre. loro le danno la notizia. lei non dice una parola; sviene. crolla per terra lì davanti. diceva, quel vecchio giornalista, che quella scena non se la sarebbe mai scordata, per il resto della sua vita. dei due cronisti che gli hanno fatto vedere come si fa questo mestiere, non ho mai saputo il nome, e non posso fare a meno di chiedermi se adesso se ne stiano alla scrivania a scrivere editoriali in cui tuonano contro certa informazione, contro certo sciacallaggio del dolore. possibile. probabile.
la socia, una delle donne di cui sono più fiera al mondo, circa un mese fa, interrogata su quali siano i limiti di, ha detto: dipende sempre e solo dal nostro bagaglio culturale. ed. è. verissimo. purtroppo. limiti e grandezza di questo mestiere; sta tutto lì.
c’è una strada dalle parti di monteverde che io, svariati anni fa, non ho percorso fino alla fine. donna morta. asfalto. guardo il corpo sotto il lenzuolo verde. mi chiamano dalla redazione per darmi l’indirizzo dei suoi. vai lì e vedi se c’è qualche familiare. vado lì. il portone è alla fine della strada, inizio a vedere il citofono, mi giro mentre cammino e torno indietro. non mi sono nemmeno fermata per poi girarmi, ho proprio girato su me stessa mentre camminavo. al giornale ho raccontato che ho suonato ma non c’era nessuno.
mi piacerebbe poter dire di essere nata senza peccato originale, di essere pura e incontaminata.
persone come la socia, col bagaglio culturale di un certo tipo, ci sono proprio nate. credo che la socia sia venuta al mondo con un intero set di trolley, tutti riempiti di roba fantastica. quello che le ho sempre invidiato è che lei sa sempre a priori cosa è giusto e cosa è sbagliato, e si muove in automatico verso il giusto. io no. io ho solo il mio vecchio zaino-borsone blu, che si incastra nelle porte troppo strette. io spesso me lo chiedo per ore, per giorni, cosa è giusto e cosa è sbagliato; e una volta che ho più o meno deciso, poi non è per niente detto che io vada nella direzione giusta.
quel citofono a cui non ho suonato non è stato il mio primo citofono; è stato l’ultimo. la strada che non ho percorso fino alla fine è stata l’ultima di un reticolo di strade che invece ho percorso; alla fine ognuna di quelle strade aveva dei citofoni, e io a quei citofoni ho suonato. non ho suonato a quello specifico citofono, perché gli altri me li ricordavo. tutti. soprattutto uno. la socia non l’avrebbe fatto. io l’ho fatto e poi non ho suonato più. c’è chi suona ancora. c’è chi suona e contemporaneamente stigmatizza altri che suonano. pare che in questi casi si dica, è la stampa, bellezza.

sabato 4 aprile 2009

gente strana

(roma)

ieri mattina sono passata dal veterinario. lui, appena mi ha vista, è schizzato in piedi e ha urlato, no! io l’ho guardato perplessa e gli ho chiesto, cosa no? e lui ha gridato, un po’ stridulo, no, non puoi avere il cimurro, no, non può avertelo attaccato l’albero di natale nano, no, non sei un pastore tedesco, no, non puoi avere quella cosa all’anca che hanno i pastori tedeschi, no, nemmeno l’albero di natale nano o la poltrona verde o chiunque altro, no no e no!
io gli ho risposto, veramente sono venuta per il richiamo del vaccino di gatto. lui mi ha guardata con un’espressione allibita. allora mi sono avvicinata lentamente, gli ho messo una mano sulla spalla, l’ho fatto sedere e gli ho detto, stai calmo, va tutto bene, lo so che fai un lavoro stressante, che ti capita gente strana in ambulatorio, mi rendo conto, davvero, ci sono in giro certe persone totalmente fuori di testa, ma adesso rilassati, respira, guarda che ti fa male stressarti così. dai, calmo, su. e lui ha sospirato, si è rilassato, mi ha persino sorriso. e anche io gli ho sorriso. e ci siamo sorrisi. ed è stato un bel momento di pace serenità e amicizia.
e poi gli ho detto, a proposito, è da un po’ che il bastone della pioggia ha un tono di voce strano, che dici, è sinusite, ha preso freddo, o potrebbe essere allergico al polline? e allora lui ha rovesciato la testa in basso e ha iniziato a sbattere ripetutamente la fronte contro la scrivania. l’ho guardato per un po’, e poi me ne sono andata in silenzio. forse sono passata in un brutto momento, deve essere così.

giovedì 26 marzo 2009

metodo stanislavskij per puntaspilli vulcaniani

(roma)

ho deciso di tornare al mio antico amore, la recitazione. la compagnia instabile a cui mi sono aggregata mi ha affidato un ruolo fantastico nella commedia che stanno allestendo da una vita: faccio il puntaspilli.
da fan entusiasta del metodo stanislavskij, ho chiesto la collaborazione delle infermiere del centro prelievi del quartiere-paese: per preparare al meglio la mia parte, da un po’ di tempo a intervalli regolari mi infilano aghi nelle braccia; io, che non sono un semplice puntaspilli bensì un puntaspilli vulcaniano, non lascio trasparire la minima emozione. però devo lavorare ancora un po’ su quella faccenda del sangue verde.
poi volevo confessare che ho un amante segreto. si chiama alfonso 2000 e fa il bancomat. ogni tanto attraversiamo dei periodi di crisi. l’ultima volta gli ho inserito la tesserina magnetica nell’apposita feritoia e sullo schermo è apparsa la scritta, ancora tu? non mi sorprende, lo sai. ancora tu, ma non dovevamo vederci più? io ho cercato di intortarmelo con frasi tipo, che bello sei, sembri più giovane, o forse sei solo più simpatico; lui ha replicato che sono ancora io, l’incorreggibile. io gli ho sospirato, ma lasciarti non è possibile. ci vediamo di nascosto perché il direttore della mia banca è geloso (non ho ben capito di chi) e si innervosisce moltissimo ogni volta che ci sorprende insieme.
comunque ho pensato che sono un po’ stanca e che mi farebbe bene cambiare dimensione per un paio di giorni. che è una cosa più facile di quanto sembri: si sale su un treno e ci si rimane dentro finché non si arriva a un importantissimo snodo ferroviario del nord italia (lo so che ci tieni a questa storia dell’importantissimo snodo ferroviario del nord italia, oddònna), si scende, si cammina fino a un certo vicolo, lo si saluta e gli si portano gli omaggi di determinate quintessenze; si sale su sasha, un essere mitologico metà motorino metà pulsione suicida, si chiudono gli occhi sperando che non sia follia ma sia quel che sia, poi se si è ancora in grado di camminare si entra in un locale e si beve il più possibile. per dimenticare. o per ricordare. non lo so, me lo dimentico sempre.

lunedì 23 marzo 2009

il tuo diploma in fallimento è una laurea per reagire

(roma)

il ricordo più forte che ho del giorno della mia laurea, è il flash di una scena a cui non ho assistito.
mi sono laureata in marzo, appello del pomeriggio; ero l’ultima. quando sono uscita era buio. mi ricordo persone che avevano portato fiori anche se avevo detto che non volevo fiori, persone che avevano portato regali anche se avevo detto che non volevo regali. io ero in nero, la mia tesi in blu, senza scritte in copertina. mi ricordo che la signorina l. e manolo erano seduti nei banchi alla mia destra. con manolo ci eravamo già lasciati, io stavo entrando ufficialmente nell’era poeta h.r.
però è venuto lo stesso.
la mattina mi ero svegliata, ero entrata nella cabina della doccia, avevo girato il rubinetto. niente acqua. l’avevano staccata per lavori che dovevano fare nel palazzo, senza avvertire. ho passato un’ora a litigare con chiunque e a minacciare di denuncia qualche centinaio di persone. hanno riattaccato l’acqua. prima di uscire per andare all’università ho chiamato la signorina l. e le ho raccontato dell’acqua. lei ha riso.
la scena che ricordo meglio, senza averla vista, è la signorina l. che arriva con la sua 127 bianca nel posto dove ha appuntamento con manolo, accosta, lui sale, lei gli racconta, ridendo, la scena dell’acqua; gli dice, il giorno della discussione della tesi si sveglia, si alza, entra nella doccia, scopre che non c’è acqua; manolo ride e commenta qualcosa del tipo, è sempre lei. la signorina l. continua il suo racconto: poi scende inferocita le scale e litiga con chiunque, operai, impiegati, minaccia l’apocalisse; la signorina l. a questo punto ha le lacrime agli occhi, manolo ride in quel modo, quello in cui rideva solo di me.
quando sono arrivati all’università, io sono schizzata da manolo e gli ho detto, indignata, ma lo sai che mi avevano staccato l’acqua?, e lui ha ricominciato a ridere e mi ha risposto, lo so, me l’ha raccontato in macchina la signorina l.
e poi ha aggiunto, eh, sei sempre meravigliosa.
poi mi sono laureata.
poi la vita ha continuato a scorrere. come acqua.

dai, che ce la possiam fare. noi splendidi esseri.

giovedì 19 marzo 2009

dormire, forse

(roma)

stavo pensando ai reduci delle guerre, che tornano a casa a guerra finita e si uccidono.
stavo guardando fuori dalla finestra, che oggi tira un po’ di vento ed è nuvolo in un modo quasi milanese, e pensavo a questi reduci che tornano dalla guerra, guardano fuori dalla finestra in un giorno in cui magari il cielo è un po’ così, e si uccidono, e le persone si chiedono, perché, ma come, proprio ora, sei tornato vivo dalla guerra, sei tornato, sei vivo, la guerra è finita, e proprio ora ti uccidi? perché?
io credo che abbiano sonno.
credo che accumulino molta stanchezza, e abbiano molta voglia di dormire. però scoprono che la guerra non è finita. una guerra è finita. ma ce ne saranno altre, anche da civili, e queste guerre non li lasceranno dormire. e loro hanno accumulato troppa stanchezza per rifletterci serenamente, hanno accumulato così tanta stanchezza che vogliono solo dormire, ed è inaccettabile il pensiero che anche se una guerra è finita, un’altra guerra li sveglierà, non li lascerà dormire.
credo che vogliano solo dormire, alla fine. le guerre stancano molto. moltissimo, credo.

mercoledì 18 marzo 2009

il pubblico suddito ma gli si dice sovrano ha deciso che

(roma)

com'è che a nessuno è ancora venuto in mente di eleggere il premier tramite televoto?

(no, ci ho ripensato. in effetti è più o meno quello che. però se dobbiamo fare una cosa, dico, facciamola bene. che i candidati ci cantino le canzoncine, una in italiano e una in inglese, così abbiamo anche modo di vedere come se la cavano con le lingue straniere; che ci facciano due balletti, insomma, almeno che si impegnino per farci divertire per una sera. almeno quello).

venerdì 13 marzo 2009

ma poi si dice pouf o pouff?

(roma)

stamattina ho fatto da arbitro in una gara tra un’infermiera e una vena, nella specialità olimpica catch me if you can. il preparatore atletico della vena era gatto, e io al posto dell’infermiera mi sarei ritirata senza nemmeno provarci. lei invece ce l’ha messa tutta e l’ho ammirata molto, anche se a un certo punto sono stata costretta ad agitare il cartellino rosso per comportamento antisportivo: al grido di battaglia di, agoafarfallaoléolé, ha cambiato vena. che è un po’ come se mou-boriaboriaintellettuale-rinho l’altra sera avesse sfanculato ferguson dicendo, basta, andiamo a giocare contro lo sgurgola marsicana united. che poi, trattandosi dell’inter, non è detto che.
fuori dallo stadio ho trovato il compagno yoghi che arringava le masse (due casalinghe, una donna con neonato, quattro pensionati, l’old faithful geyser e un corvo sbadigliante) sulla disastrosa situazione sanitaria del parco di yellowstone, distribuiva volantini e incitava alla rivoluzione. una volta ho conosciuto uno che quando aveva la tonsillite gliel’ha curata che guevara; allora sono andata dal compagno yoghi e gli ho chiesto, come si cura la tonsillite? lui mi ha fissata con quel suo tipico sguardo estremamente sveglio di quando ha fatto indigestione di miele, e io ho pensato, non c’è speranza.
poi sono andata al parco a guardare tre fantasmi che passeggiavano, il fantasma degli amori passati, che teneva sulle spalle il fantasma della speranza futura ed era seguito scodinzolante dal fantasma della solitudine presente.
però siccome i fantasmi non è che vadano in giro con le etichette addosso e non è che sia così facile riconoscerli, ho pensato che magari stavo guardando il fantasma degli amori futuri che teneva sulle spalle il fantasma della speranza presente e veniva seguito dal fantasma della solitudine passata. o altre combinazioni a caso.
allora sono tornata a casa e con l’albero di natale nano, la poltrona verde e il bastone della pioggia abbiamo discusso del fatto che gli oggetti vengono erroneamente ritenuti incapaci di riprodursi, quando chiunque abbia fatto un trasloco sa benissimo che ad esempio il polistirolo si moltiplica peggio dei conigli. poi la poltrona verde ha detto che lei è una poltrona verde a priori, e la sua identità non viene minimamente intaccata dalla presenza o no di un pouf. che poi gatto un pouf a dire il vero lo vorrebbe, ma basta indicargli il cuscino del divano che subito si rallegra. gatto. il cuscino, meno.

giovedì 5 marzo 2009

amo quest'uomo

(roma)

“io non so se so io che sto bene o se so io che sto male, non voglio andare su questa, su questa questione. a me non mi piace prostituzione intellettuale. non mi piace. mi piace onestà intellettuale. dopo, non lo so, dipende da vostro, da vostro giudizio, però io, uguale a me, uguale a me stesso. mi sembra che in questo momento, negli ultimi giorni, grandissima manipolazione intellettuale, ma grandissima. grandissima. grandissima manipolazione intellettuale, grandissimo lavoro organizzato di cambiare, di manipolare l’opinione pubblica, e questo secondo me è un lavoro fantastico, di un mondo che non è il mio. sarà il mio fino al giorno che io lavoro nel calcio, ma veramente non è il mio mondo, mio mondo non è, non è questo”.
(josé mourinho)

cioè, la cosa fantastica è che stava parlando di calcio. no, la cosa normale è che stava parlando di calcio, la cosa fantastica è che va bene su tutto. no, forse non è così fantastico. come dire, è un lavoro fantastico, di un mondo che non è il mio.

lunedì 23 febbraio 2009

ancora qui a domandarsi e a far finta di niente

(roma)

stanotte ho dormito come snoopy quando cena con tre pizze e poi passa la notte saltellando sul tetto della cuccia. non ho cenato con tre pizze e non sono un bracchetto e non dormo sopra una cuccia, ma saltello benino anch’io.
stamattina sono uscita, prima mi sono diretta verso lo studio del veterinario per dirgli che credo mi sia tornato il cimurro, ma mi sono resa conto che mi avrebbe risposto che non sono un bracchetto (e che nemmeno l’albero di natale nano lo è, come non è una palma, come non è niente di ciò che avrebbero voluto che fosse, ma non è nemmeno ciò che avrebbe voluto essere lui, se non in piccolo, in idea); quindi ho deviato verso la tana della pecora, ma ho pensato che mi avrebbe guardata con quell’espressione paziente che si riserva agli irrecuperabili idioti; allora mi sono fermata, ho fatto mezzo metro in una direzione, poi in un’altra, poi mi sono accorta che stavo girando su me stessa.
la settimana scorsa mi sono ritrovata nel quartiere dove sono cresciuta. ho rifatto il percorso da casa al liceo, ho osservato le strade dorian gray; a guardarle superficialmente sembrano uguali, ad osservarle meglio ti trovi davanti il ritratto: è tutto invecchiato, ingrigito, incattivito. e il vecchio negozio di dischi non c’è più.
mi sono rivista in un pomeriggio di milioni di anni fa, entrare in questo bugigattolo: diversamente estroversa com’ero (e come sono), per me entrare nei negozi e parlare con qualcuno (per me, parlare) era uno stress non indifferente. mi ricordo questo signore cinquantenne coi capelli grigi e i baffi, io che lo guardo e penso, ma questo quando mai lo saprà, chi sono, i marlene kuntz?; mi avvicino, gli scandisco, quasi con aria di sfida, il titolo dell’album, senza nemmeno dire di chi è. lui annuisce, sono arrivate pochissime copie, già vendute, l’ho consigliato a tutti i clienti abituali, è musica straordinaria. io che lo fisso con gli occhi a palla: questo sui marlene kuntz ne sa molto più di me. signore cinquantenne coi baffi versus (s.), uno a zero.
poi sono arrivata in cima alla salita, fuori dai cancelli, chiusi, del liceo. e mi sono resa conto di trovarmi davanti alle mie colonne d’ercole. non sono mai andata oltre quel punto; di quell’incrocio io ho sempre fatto solo una strada. non ho mai avuto idea di cosa avvenisse a sinistra, a destra, davanti a quella scuola. ho acceso una sigaretta e ho pensato che trovarmi fuori dai cancelli di un liceo in cui non potevo più entrare, e guardare strade che non avevo idea di dove portassero, non era affatto una sensazione nuova.
tanti anni, e non è cambiato niente.

(tanti anni e son qui ad aspettar primavera, tanti anni ed ancora in pallone – f. guccini)

venerdì 20 febbraio 2009

(manuel agnelli è reale, ma sembra irreale)

(roma)

volevo scrivere di quanto sia bella il paese è reale degli afterhours, ma è bella oltre. oltre la capacità che ho io di spiegare, di come mi sia arrivata addosso come un rimprovero e una speranza; di come li abbia visualizzati che mi dicevano, ok, noi ti abbiamo capita quando ti abbiamo detto che non è niente, non è per sempre, ma adesso basta; di come mi abbiano osservata ferma in tangenziale piangere per una delle tante cazzate fresche splendide dorate avvelenate che inseguo; di come mi abbiano sentita voler pensare solo che fra poco è primavera; di come mi abbiano letta sul mio treno in mezzo al niente.
poi è successo questo.
la gialappa’s commenta il festival su radio2, hanno un inviato nel retropalco dell’ariston. martedì sera parlano con manuel agnelli, della probabile eliminazione, dei fan che si sono lamentati per la partecipazione a sanremo; lui è tranquillo, gentile, pacato, paziente. mercoledì sera non è all’ariston ma i gialappi lo cercano e lui va in teatro apposta per chiacchierare con loro, gli chiedono se può fare qualche nota della canzone, lui spiega che non ha gli strumenti dietro ma promette che giovedì, dopo l’esibizione per il televoto, la canterà al microfono dell’inviato. giovedì gli afterhours salgono sul palco all’una (in effetti è già venerdì), cantano il paese è reale, sanno benissimo che non verranno votati (salta l’esibizione con cristiano godano di oggi. è tutto molto coerente: avevo pensato, quando mai poteva succedere una cosa del genere, afterhours e cristiano godano sul palco dell’ariston con una canzone di una bellezza incommentabile? mai, appunto). salutano e se ne vanno. nel backstage, l’inviato della gialappa’s ferma manuel agnelli.
all’una passata, sulle scale del retropalco, manuel agnelli prende una chitarra, si infila le cuffie del cialdone, e con molta tranquillità, dopo aver chiesto se erano sicuri che potesse suonarla tutta, quasi a voler dire non vorrei disturbare, con la sua chitarra, canta il paese è reale. tutta, dalla prima all’ultima nota, una versione di una bellezza che va oltre l’essere già oltre da un bel po’. quando finisce ci sono quei frammenti di tempo di silenzio di tutti noi, io che ascolto alla radio, loro in studio, le persone lì accanto, che stiamo trattenendo il respiro e che anche volendo cosa mai potremmo dire. finché ci sblocchiamo di colpo, respiriamo, si sentono gli applausi dal backstage, l’entusiasmo, la gratitudine, l’inviato poi spiegherà che erano tutti lì fermi ad ascoltare nel retropalco, sulle scale, nel passaggio verso l’uscita, anche le guardie, quelli del servizio d’ordine, tutti immobili e in silenzio. i gialappi impazziti di gioia, e lui ringrazia loro.
no, manuel. grazie tu, grazie.

lunedì 16 febbraio 2009

croccantini

(roma)

gatto e io abbiamo punti di vista diversi sui croccantini. il mio è che glieli do e lui li deve mangiare subito, o quantomeno in giornata. il suo è che, no, i croccantini devono restare nella ciotola almeno per qualche giorno per raggiungere un giusto grado di croccantinaggio; nel frattempo lui mangia le altre cose ma i croccantini li lascia a riflettere sulla croccantinosità dell’esistenza.
allora prima mi sono arrabbiata e gli ho detto, ora basta, te li butto e te li metto nuovi. e lui mi ha guardata male. e io gli ho detto, guarda che lo so io cos’è meglio per te, i croccantini non possono mica restare gli anni, nelle ciotole, che poi metti che ti fanno male, ho io la responsabilità della tua salute e del tuo benessere, so io cos’è giusto e cos’è sbagliato e decido io per te.
e lui mi ha guardata dall’alto in basso, con quell’aria sardonica, che io poi una delle cose che non capirò mai è come facciano i gatti a guardare sempre tutti dall’alto in basso, anche se loro stanno a trenta centimetri dal pavimento e io a centosettantasette.
e io l’ho guardato dal basso in alto e ho capito e mi sono vergognata moltissimo, e gli ho lasciato i croccantini lì e sono sgattaiolata nell’altra stanza, pensando, maledetti borg, è colpa loro, sono pure contagiosi.
(non mi avrete mai).

domenica 15 febbraio 2009

13 (e menomale che non siamo anglosassoni)

(roma)

che penso che quando chiudi gli occhi e ti rilassi sei bellissimo.
che non siamo mai d’accordo sui film, a parte quelli in costume e babe maialino coraggioso.
che non ti piace come mi vesto.
che i tuoi capelli sono sempre più belli dei miei e non vale.
che non alziamo mai la voce neanche quando litighiamo.
che nonostante non condividi per niente i miei gusti mi regali casse e lettori mp3 perché la mia musica io la possa sentire meglio.
che mi consideri un’autorità in fatto di libri e non è vero ma mi piace tantissimo.
che a volte sei ancora geloso ma fai finta di no.
che a volte ancora mi chiedo esattamente chi sei.
che ti scordi che giorno è oggi.
che ti preoccupi per me ma tanto sai che alla fine me la cavo.
che parliamo di tutto e tantissimo e adoriamo parlare tra noi, anche se lo sappiamo già su cosa saremo d’accordo e su cosa no e non è importante.
che mi dici di non ridere e io rido lo stesso.
che fai finta di niente quando supero il confine tra sfottò e cattiveria.
che abbiamo preso strade diverse rispetto a quello che eravamo insieme e rispetto a quello che eravamo da soli.
che non ce ne importa niente.
che ci siamo fatti male e bene, soprattutto bene.
che ogni tanto ce l’ho con te.
che ogni tanto ti lamenti che ce l’ho con te.
che ti piace quello che scrivo quando non piace a me e viceversa.
che aspetto di poterti mettere nei ringraziamenti anche se sei l’unica persona per cui non riuscirò a trovare le parole.
che quando non sai bene che dire dici ee eee eh.
oggi sono tredici anni che ee eee eh.

mercoledì 11 febbraio 2009

da dove vengono, dove dovrebbero andare

(roma)

al bastone della pioggia piace tenersi aggiornato. più o meno ogni cinque minuti, che secondo me esagera. non riesco più a staccarlo da internet, ci ha il suo elenco di siti di giornali (italiani e stranieri) e tv (solo straniere) (che secondo me dovrebbe farlo anche coi giornali di leggere solo quelli stranieri ma ancora non si sente pronto) (che è un po’ come quella cosa di andare a vivere all’estero, è la cosa più logica da fare ma ci vuole un po’ a sentirsi pronti) (a proposito, no vabbè lo dico un’altra volta) (dicevo) che consulta ogni giorno in continuazione. secondo me gli fa male.
allora prima mi fa, vogliono legalizzare le chiamate moleste, al che gli dico, non mi pare che il mio ex sia mai stato dichiarato illegale, e lui specifica, dai call center, e io gli dico, non mi pare che il mio ex lavori in un call center, e lui sbuffa. lo so, quando faccio così non mi sopporta mica.
comunque ha ragione la poltrona verde, sono arrivati tardi. qui al quartiere-paese, che non si direbbe ma siamo all’avanguardia, non ci telefonano mica più. ci entrano direttamente nel palazzo. e non sto scherzando. il mese scorso abbiamo battuto tutti i record, che in quattro settimane ci hanno suonato alla porta sei volte per offrirci vantaggiosissime offerte per telefonia fissa, e due volte per convincerci che dio esiste. che secondo me le due cose si dovrebbero escludere a vicenda; allora, o dio esiste e allora nella sua infinita saggezza non può aver creato questi spaccagonadi che ti bussano a casa mentre prepari il gulash per chiederti quanto paghi di canone e se credi nella vita oltre la morte (mah, saranno le nuove frontiere della rateizzazione della bolletta), o il contrario. se esistono sia l’uno sia gli altri, l’uno posso ben capire che si senta in imbarazzo e faccia il vago sulla sua esistenza. che io comunque in questi giorni opachi l’ho difeso strenuamente, sostenendo che se c’è non è stata assolutamente colpa sua anzi secondo me è parecchio nauseato pure lui e io non ve lo vorrei dire ma qui piove di brutto da ben più di quaranta giorni, e si sa che noi a roma ci abbiamo il problema delle fogne e delle buche nell’asfalto esattamente come il problema di palermo è il traffico.
comunque l’albero di natale nano sostiene che mica è vero che siamo all’avanguardia, che una volta era normale che venissero a scocciare la gente porta a porta, il telefono è arrivato dopo. stiamo regredendo, avverte. che di questo passo si presenteranno in calzamaglia e parleranno quell’italiano assurdo delle antologie scolastiche e ci minacceranno di bruciarci tutti sul rogo se non aderiamo alla vantaggiosa offerta di smettere di pensare che tanto ci sarà chi lo farà per noi o se stacchiamo la spina alla tv. non stiamo andando avanti, dice, stiamo tornando indietro.
in effetti mi era venuto un po’ il dubbio, sì.

lunedì 9 febbraio 2009

inspirare, espirare

(ba.bo.)

(Di certo là sopra qualcuno ti ama
ma oggi non è in casa)

Sono successe tante cose negli ultimi mesi.
Sono confusa, stordita, stanca, a tratti incredula.
Ma sono qui. Ed è questa la cosa che mi sembra più assurda in assoluto.
Inspirare, espirare.
Tutto qui.
Finché si può.
Inspirare, espirare.
E poi basta.
E' solo questo il senso.
Inspirare, espirare.

(so run baby run baby run baby
run baby run)

nel grigio

(roma)

quello che mi fa sentire profondamente a disagio, giusto per usare un eufemismo, è che avete tutti delle assolute e radicate certezze. e dico tutti proprio tutti, dall’una e dall’altra parte. e io vi guardo a occhi spalancati, e mi chiedo, forse sono io, io manco di coraggio, di principi, di non so che.
uno dei motivi per cui ritengo indispensabile che ognuno possa scegliere per sé, oltre al fatto che dovrebbe essere un elementare diritto (ma elementare a quanto pare non lo è affatto) il decidere della propria vita, è che io mai e poi mai mi sentirei in grado, e soprattutto in diritto, di scegliere per qualcun altro.
l’unica cosa che mi dà un po’ di sicurezza, in questa vicenda, è che una volontà era stata espressa, e qualcuno si sta battendo affinché venga rispettata. e questo è giusto e doveroso e purtroppo eroico, purtroppo nel senso che eroico non dovrebbe esserlo, dovrebbe essere semplice e normale.
ma io poi tutte queste sicurezze che avete, che la corsa sia davvero finita, da un lato, che invece no, dall’altro, non ce le ho affatto. io non lo so. e non sapendolo, io spero che sia così, che la corsa sia finita e che quella volontà venga rispettata, ma lo spero in silenzio e a occhi chiusi.
e invece voi siete tutti così sicuri, e parlate tutti a voce alta, e guardate tutti a testa alta i vostri nemici, e agitate i vostri cartelli e sapete, voi sapete. voi avete la fede anche quando non ce l’avete, e mi rendo conto che questo è sempre stato il più doloroso dei miei limiti, che io non ho mai avuto la fede nemmeno di non avere una fede, non credo nemmeno di non credere. e come fate, io mi chiedo.
come diamine fate.