giovedì 23 luglio 2009

interno notte

(roma)

il fatto è che tu ti ricordi del corso per diventare vulcaniana solo nei momenti in cui stai andando oltre ogni ammissibile irrazionalità, dice la poltrona verde.
e quindi chiaramente fallisci, perché è come se ti ricordassi di mettere la protezione 30 dopo essere stata una settimana sotto al sole, aggiunge il bastone della pioggia.
non male quel telefilm in replica, cerchiamo di ricordarcelo la settimana prossima, commenta l’albero di natale nano.
cioè, seguimi: un conto è che tu rifletta, in condizioni normali –
per condizioni normali non si intende in piena notte dopo mezza bottiglia di vino, interloquisce la lampada del soggiorno.
dicevo, in condizioni normali, sul fatto che un po’ di logica e razionalità nella tua vita non guasterebbero, spiega la poltrona verde.
e allora sei nelle condizioni di prevenire e non curare, come si dice. altro conto è che tu dica, hey, devo diventare vulcaniana, quando ormai la frittata l’hai fatta, e stai galleggiando nelle uova rotte, continua il bastone della pioggia.
guarda che se non te lo scrivi non te ne ricordi, la settimana prossima, che c’è quel telefilm; che non ti ricordi mai niente, insiste l’albero di natale nano.
perché quello che fai tu, alla fine, è pensare, uh oh, che gran casino, allora adesso divento vulcaniana, dice la lampada.
ti guardi bene dal pensare di diventare vulcaniana per evitare di fare casini. no, tu ti attacchi all’idea di diventare vulcaniana quando i casini ormai li hai fatti e devi risolverli, incalza la poltrona verde.
peggio! tu vuoi diventare vulcaniana per ignorarli. vuoi pensare, ok, ma da oggi sono vulcaniana, quindi quello che ho fatto prima non vale, continua il bastone della pioggia.
te lo sei segnato sì o no?, chiede l’albero di natale nano.
gente, ma andare a dormire, che si sarebbe fatta una certa e io domani ho un gatto a cui badare?, sbuffa il cuscino del divano.

ha ragione. ha perfettamente ragione.
se non me lo segno, non me lo ricorderò mai, il telefilm in replica.

sabato 18 luglio 2009

rassicuranti metafore

(roma)

ieri stavo trotterellando verso la stazione del quartiere-paese, per andare a prendere il trenino del far-west. nella corsia dalla parte opposta della strada c’era una fila lunghissima, credo causa lavori. mentre camminavo guardavo le macchine ferme, e ho riconosciuto quella del fratello secsi del manovratore. lui mi ha vista, mi ha sorriso e mi ha fatto ciao ciao con la manina da dietro il finestrino. anch’io gli ho sorriso e gli ho fatto ciao ciao con la manina. poi ho continuato a trotterellare tranquilla verso la stazione, e lui ha continuato a restarsene tranquillo bloccato nel traffico. e poi abbiamo vissuto la nostra tranquilla giornata, abbiamo pensato tranquillamente ad altro, e quando ci incontreremo continueremo a salutarci tranquilli e sorriderci tranquilli e farci ciao ciao tranquilli.
ecco, me questa cosa che tutto scorre, tutto passa, e la vita continua, mi è sempre piaciuta un sacco.

venerdì 17 luglio 2009

luoghi della mente (1)

(roma)

nella cartellina “pennuta” su iphoto le conservo tutte; quelle fatte col mio mac a roma, quelle a bologna, una in cui tieni in braccio gatto che aveva solo pochi mesi, il condominio di scola. poi ce ne sono a centinaia che non sono mai state scattate. ti regalo quelle. ma sono tantissime, e quindi te le regalerò un po’ per volta, come se fosse un coso random di fote random. te tu stai pronta, che non sai né il giorno né l’ora.

la prima. roma, stazione termini. i passeggeri appena scesi dal treno proveniente da bologna centrale immobilizzati in quella fissità dinamica delle fote che fermano la gente che cammina. bolognese che avanza lungo la banchina con crestina afflosciata dal caldo, sorride e guarda nell’obbiettivo. amelia la strega che ammalia la aspetta a inizio binario. ferma, in piedi, osserva sogghignando la crestina.

bologna. o quasi: l’altra casa, quella tra la via emilia e il west. estate. notte. tavolo del soggiorno. carte da poker, birre, contenitore pieno di pop-corn. come fiches, cucchiai di plastica colorati. l’involucro trasparente che li conteneva, abbandonato in un angolo.

roma. garage condominiale. auto (semplicemente bellissima, splende e illumina tutta la foto col suo innegabile fascino) rossa in retromarcia. bolognese immobilizzata dall’obbiettivo con espressione attonita. dialogo precedente allo scatto: orgogliosa proprietaria della macchina che le dice l’anno di immatricolazione; donna che esclama, cazzo, ma questa macchina è più vecchia di me!
(per la cronaca, mi ero sbagliata: avevo invertito le cifre finali. ho ricontrollato sul libretto quando finalmente ho fatto il duplicato: è solo del 1987. sei molto più vecchia tu).

bologna. salaborsa. insieme eppure sparpagliate, di come la gente che ama i libri riesce a girare in una libreria o in una biblioteca stando insieme ma senza intralciarsi (che poi questa è una cosa rarissima). donna autoctona con in mano un volume di andrea pazienza. donna straniera affascinata dal sistema dei carrelli.

roma. casa appena reduce da un trasloco. manca ancora qualcosa. tipo, il phon. bolognese in terrazzo, scruta il quartiere-paese e si fa asciugare i capelli dal sole. questa è una delle mie fote preferite. lei ha quel modo di guardare il quartiere-paese nel sole, che faceva intuire già la presenza di una pecora-drago da qualche parte, a dare un altro senso a tutta questa strana dimensione. padrona di casa che pensa che sì, sarebbe ora di comprarsi un phon (la volta dopo, la pennuta avrebbe telefonato a colui che tutto puote dicendo, pensa, stavolta c’è anche il phon. sempre fatto ridere moltissimo, questa frase, ogni volta che mi viene in mente).

mercoledì 15 luglio 2009

mio cugino, il mio gastroenterologo

(roma)

che è il titolo di un libro di mark leyner. mio cugino non fa il gastroenterologo. cioè, a dire il vero non lo sento da anni, non ho idea di cosa combini; però mi auguro non faccia il gastroenterologo, visto che è laureato in legge.
stamattina ho preso la navicella spaziale che porta nella cattedrale nel deserto dove domina la mia gastroenterologa. ho perso i referti delle ultime analisi. non è colpa mia, è la mia bambina emozionale, è che la disegnano così. allora sono arrivata e le ho consegnato i compiti (mi sono sentita molto a scuola quando dovevi consegnare i compiti e sapevi che mancava qualcosa, e aspettavi in piedi accanto alla cattedra che la prof se ne accorgesse e la collera scolastica si abbattesse su di te), e lei a un certo punto ha alzato lo sguardo e mi ha chiesto, e le ultime analisi? e io le ho risposto, sono rimaste chiuse nell’autolavaggio. e lei: ? e io: senza benzina gomma a terra niente taxi tintoria funerale! terremoto! inondazione! cavallette! e lei: insomma, le hai perse. e io, insomma, sì. che non è questa tragedia, perché tanto faccio il puntaspilli vulcaniano a cadenza mensile. però, insomma, già nel mio corpo è in corso una guerra civile. essere anche sabotata dalla mia bambina emozionale è seccante.
comunque la cattedrale nel deserto è un luogo di bianco vs nero. è uno di quei posti dove percepisci chiaramente che “hanno diviso in due il mondo, e penso di essere dalla parte sbagliata” (no, è che era da un po’ che non citavo i marlene kuntz e mi mancavano). in effetti io sto sempre dalla parte sbagliata, un po’ per scelta, un po’ per indole, un po’ per sfiga. negli ospedali, sostanzialmente, c’è chi sta bene e cura, e chi sta male e ha paura. poi si può giocare con le sfumature, ma alla fine è così. e nei corridoi o nelle sale d’attesa te ne rendi conto di meno, ma se esci a fumare li vedi, i camici bianchi tutti raggruppati da una parte che discutono fra loro e sono incazzati per problemi di turni o primari o che, e i malati che invece sono sparpagliati, non fanno gruppo, sono silenziosi. sono dall’altra parte della barricata, quella in cui stai male e quindi sei solo. perché poi se stai male puoi avere tutti gli amici che vuoi e l’affetto e i consigli e quello che ti pare, ma sei solo, sei tu e il tuo corpo e quello che non va, è una cosa dentro di te e non la puoi condividere. e forse in fondo nemmeno la vuoi condividere.
comunque sono stata rimandata a settembre, così imparo a non portare i compiti. quella faccenda degli esami che non finiscono mai, minchia, non pensavo andasse presa così alla lettera, eh.

sabato 11 luglio 2009

hasta la lluvia siempre

(roma)

noi che il ’77 l’abbiamo fatto in culla, noi che gli anni ’80 li abbiamo assimilati nel cibo e nell’acqua e nella televisione e pensare che i nostri genitori si preoccupavano della nube di chernobyl uno scherzo al confronto. noi che siamo sempre stati tra color che son sospesi, noi che abbiamo visto cobain vivo e poi ci è morto, noi che il comandante guevara invece era già morto e però lo conosciamo meglio di chiunque, noi che sogniamo cuba, sì, ma con la pioggia.

eravamo a cuba. io e g. eravamo andati lì a studiare, non mi ricordo cosa. e cuba era uguale a valle aurelia, non propriamente il quartiere più chic di roma. e pioveva, pioveva senza sosta, pioveva con violenza, e i finestrini della macchina di g. erano rotti e ci arrivavano secchiate d’acqua addosso.

noi che abbiamo visto ex coinquiline in overdose al parchetto di san lorenzo, ed era la fine degli anni ’90, mica dei ’70, noi sempre fuori tempo, che del resto siamo cresciuti leggendo christiane f, noi i ragazzi dello zoo di noi stessi, noi che poi ci è tornato di moda l’assenzio, che del resto siamo cresciuti leggendo baudelaire e rimbaud. noi che forse siamo cresciuti leggendo troppo. noi che della nostra rabbia non abbiamo mai saputo bene cosa farne, noi mai stati né guerriglieri né artisti, noi che molto prima di conoscere kurt alla nostra compagna di banco avevamo detto che il nostro alter ego si chiamava nirvana. noi che il nostro alter ego si è tirato una fucilata ma non riusciamo a capire quando e dove e nemmeno se è morto o solo in coma.

e credo che la realtà la conosciamo bene e non riusciamo a tenerla fuori perché il nostro mondo ha i finestrini rotti, e questa vecchia macchina calda in cui ci siamo nascosti sarebbe comoda e sarebbe un riparo e ci capita anche a volte di dividerla con belle persone, ma poi la realtà filtra, se ne approfitta dei varchi, ci si rovescia addosso, non c’è verso di fermarla. ma nel sogno io ero fradicia e non riuscivo a tirare su il finestrino e guardavo g. e lui rideva, e ridevo anch’io. noi che comunque alla fine del sogno ci ridiamo su.

lunedì 6 luglio 2009

gente che non si sente proprio benissimo

(roma)

gente che non si sente proprio benissimo, la mattina si sveglia e capisce che non andrà a lavorare. gente che non si sente proprio benissimo, si alza e cerca un libro, poi pensa che deve comunque provare a fare colazione, poi cerca di fare colazione con un libro in mano. gente che, si sposta dal primo letto al secondo letto, dal secondo letto al divano, dal divano alla poltrona alla sedia all’altra sedia. poi le viene in mente che deve chiamare il direttore, poi si ricorda che gli ha mandato una mail la sera prima, poi il direttore chiama lei, poi lei chiama la sua collega che dovrà far fronte alla sua assenza, poi le manda una mail, poi forse la collega richiamerà lei. gente che, realizza che per scrivere una mail di una riga ci ha messo venti minuti e ha bruciato quasi tutte le energie intellettuali di cui dispone al momento. allora posa il libro. gente che, vaga per casa molto lentamente, si fa un caffè, dà l’acqua ai rametti di geranio che non sembrano abbastanza forti per affrontare un nuovo vaso una nuova terra una nuova vita da soli con questo caldo. gente che, chiede silenziosamente ai rametti di geranio di provarci, almeno. gente che, sta pensando che dovrebbe andare al cinema, perché la sua teoria è che quando si sta male si deve uscire per far credere a se stessi che non è malattia, è vacanza. gente che, si accende un’altra sigaretta, e parla con se stessa, e chiede e tratta e promette. gente che, esce in terrazzo e racconta i suoi progetti ai rametti di geranio. gente che, si rende conto che non ha progetti che vadano oltre i tre mesi. gente che, sa che tre mesi ai rametti di geranio bastano e avanzano. gente che, a volte, si sente un rametto di geranio.