venerdì 19 dicembre 2008

galleggiare e volare via

(roma)

l’altro giorno, mentre ero impegnata in una discussione con la poltrona verde e il bastone della pioggia sull’appassionante tema “quest’anno a morgan daranno gli under 24 o gli over 25?” (roba da iniziati), ho sentito qualcuno prendere a martellate la mia porta di casa. cioè, dall’esterno; non era l’albero di natale nano che metteva su le barricate per impedire alle feste di entrare. non mi sono mossa perché sapevo benissimo cosa stava succedendo. io non ho un buon rapporto col natale, si sa, ma b. sì. e b. ha deciso che io devo avere una coccarda natalizia sulla porta di casa. e siccome b. è alta quanto me, ma è larga esattamente il doppio, perché è strutturata come il famigerato armadio a sei ante di manolo, per quanto mi riguarda ogni sua decisione va benissimo. soprattutto se ha un martello in mano.
walt whitman diceva che era certo di aver meritato i suoi nemici, ma non era sicuro di aver meritato i suoi amici. per me vale un po’ il contrario: non credo di aver meritato i miei nemici, anche perché sono troppo pigra anche solo per pensare di fare del male a qualcuno; però ho il dubbio che i miei amici me li merito. e loro si meritano me. il che non va molto a loro favore, immagino.
l’amicizia a volte la visualizzo come una linea gastronomica roma-bologna-milano, a base di cotolette, vino e biscotti al cioccolato. penso a chi sa che sono spaventata per qualche esame e la sera mi invita a cena e mi prepara cotolette e patatine fritte; penso a chi, ormai da anni, viene a raccogliermi alla stazione di bologna sapendo che ogni volta arrivo come se fossi stata travolta da una valanga, e mi regala conforto ad alta gradazione alcolica; penso a chi, dopo aver capito determinate situazioni, invece di rovesciarmi giù dal ballatoio del quarto piano, mi compra i biscotti al cioccolato, perché sa che ha da passa’ ‘a nuttata, e la cioccolata aiuta. no, forse non me li merito proprio del tutto.
ieri ho letto una frase in un blog che mi ha lasciato addosso un vago magone: forse l'amore è questa cosa qua, averci il cuore pieno d'elio ed essere legati a un peso, galleggiare senza volare via; il magone è dovuto al fatto che, dopo averci riflettuto su parecchio, ho capito che non capivo. ormai le frasi sull’amore le guardo come le mucche i treni che passano. ruminando passato. però forse l’amicizia è questa cosa qua, averci il cuore pieno d’elio ed essere abbracciati a un peso, galleggiare potendo scegliere liberamente se volare via.

mercoledì 17 dicembre 2008

...e basta con i sogni...

... ora sei tu che dormi
(bu-lagna is back)
(another day, just breathe)

volevo dire che non è poi detto, se prima eri in un modo e ora sei in un altro (ti pare), che il vero te sia quello che eri prima e non quello che sei adesso.
per partorire questa affermazione sono state tagliate 2 fette di pane.

per dire che non sarò mai scrittrice come voi, perché io riesco solo a dirle le cose e non a farle dire alle cose che scrivo.

ah, per natale sarò originalona e ti regalerò una rivista: Internazionale

stammi bene e salute, alla nostra e a quella di chi ci vuole male!

giovedì 11 dicembre 2008

scende la pioggia e fa

(roma)

stamattina mi sono svegliata, ho alzato le serrande e ho trovato una famiglia di trote che facevano colazione sul mio terrazzo. le piante si sono sistemate su una comoda palafitta e mi hanno fatto sapere che, almeno per un po’, eviteranno di lamentarsi perché non mi ricordo mai di innaffiarle. l’aloe mi ha chiesto in prestito il phon.
ho preparato il caffè per tutti, e poi ho scambiato quattro chiacchiere coi vicini che andavano a comprare il giornale in gommone. mi hanno chiesto se mi serviva un passaggio ma ho risposto che no, grazie; poi in caso chiedo a quelli del quarto piano se gli avanza una canoa. quelli del pianoterra non hanno potuto partecipare alla conversazione perché respirano coi boccagli, ma hanno fatto ciao ciao con le pinne.
col bastone della pioggia (che giura che lui non c’entra) abbiamo commentato l’emergenza che attanaglia la capitale, e che in effetti era del tutto imprevedibile: era quasi un anno che a roma non pioveva a fine autunno, obbiettivamente chi poteva aspettarselo? ora solo per il fatto che ogni anno, nello stesso periodo, la città si allaga, non è che si possa pretendere che si prendano provvedimenti per tempo e non si resti allibiti perché ogni anno, nello stesso periodo, la città si allaga.
io sto girando per casa alla ricerca del teletrasporto. hanno detto di evitare di prendere la macchina ma di usare i mezzi pubblici; sarei anche d’accordo, ma ho appena letto che parte della ferrovia urbana è bloccata e i passeggeri rimasti nei treni stanno seguendo un corso rapido per farsi spuntare le branchie, mentre è in corso la trasformazione di tram e filobus in mezzi anfibi nel vero senso della parola (stanno cercando di insegnargli a gracidare). quindi suppongo, a logica, che per mezzi pubblici si intenda il teletrasporto che durante la notte deve essere stato installato a nostra insaputa in ogni abitazione.
la poltrona verde sostiene di essere in possesso di informazioni sconvolgenti. pare che le sia apparso in sogno il fantasma dello zio sofà, e che le abbia detto, in assoluta confidenza, che tra gennaio e febbraio farà freddissimo e potrebbe addirittura gelare; che tra marzo e aprile dovrebbe piovere molto, che a maggio farà caldo, così come a giugno, però con occasionali temporali estivi, e a luglio e agosto dovrebbe esserci addirittura un’emergenza caldo tale da far aprire tutti i tg con un servizio su nientemeno che il caldo ad agosto. a settembre il clima è previsto settembrino; a ottobre, a roma, dovrebbe verificarsi un fenomeno che inspiegabilmente da qualche secolo è chiamato ottobrata romana, mentre a novembre e dicembre è certo che pioverà. le ho detto che mi sembrano informazioni del tutto inattendibili, e che la prossima volta si faccia dare i numeri del lotto, che è meglio.

martedì 9 dicembre 2008

(mi sono messo a camminare e confido che qualcosa prima o poi mi distrarrà – marlene kuntz)

(roma)

l’8 dicembre è il giorno in cui in genere si inizia a decorare l’albero di natale. ieri mattina sono entrata in soggiorno e ho sorpreso l’albero di natale nano che si lanciava nel camino, urlando “tenno banzai”. gli ho fatto presente che, innanzitutto, il camino era spento; e poi, l’espressione “diecimila anni al celeste imperatore” è sostanzialmente priva di senso per un qualsiasi albero di natale nano occidentale.
sono uscita. faceva molto freddo. qualche sera fa passeggiavo in centro e sorridevo alla mia immagine delle feste: una strada del centro affollata, di sera, illuminata dagli addobbi e dal riverbero sull’asfalto bagnato, satura di suoni di persone che camminano scivolando su una bolla invisibile, la pioggia che cade gentile. ieri invece le feste mi sono apparse come sono davvero: luce fredda, gelo e finti zampognari.
quando sono tornata a casa ho trovato l’elefantino viola in compagnia di un fotografo, un musicista e una bambina. il fotografo sfogliava le pagine di un album, ma non riusciva a fissare lo sguardo su nessuna immagine, prima che si frantumasse in polvere. il musicista aveva perso il colore di una musica che non ricordava, e non riusciva a sentire più nulla. la bambina singhiozzava imbronciata, rimproverando colpe che non si possono eludere.
ho acceso una sigaretta e ho fumato osservandoli in silenzio. quindi ho sorriso, li ho presi, uno per uno, e li ho sbattuti fuori. ho fatto sedere l’elefantino viola sulla sedia blu e gli ho fatto rileggere parole di primavera, estate e autunno. gli ho detto che fra pochi giorni è inverno. che non è cambiato niente. e anche lui finalmente ha capito. e si è messo a camminare, confidando che.

giovedì 4 dicembre 2008

l'ammerica

(roma)

oggi ho consegnato 110 euro a un tipo affinché una tipa mi infilasse una siringa in un braccio, estraendomi all’incirca un decimo della quantità totale del mio sangue. che io avrei già la pressione bassa di mio, comunque. il tipo quando mi ha detto la cifra si è messo a ridere, commentando: poveraccia, tutti ‘sti soldi di prima mattina e pure a digiuno. eh.
volevo specificare che le analisi del sangue non sono andata a farle da bulgari o cartier (non mi pare che abbiano aperto centri convenzionati, ma visti i tempi fossi in loro lascerei perdere queste sciocchezzuole da morti di fame come i diamanti e il platino, e mi darei ai poliambulatori), ma nel centro prelievi dell’unità sanitaria locale. dove, locale, sta per quartiere-paese, regione lazio (appunto), non per la tanto vituperata ammerica che lì la gente se non ha l’assicurazione sanitaria muore è una vergogna signora mia.
poi sono andata al supermercato e ho visto che c’era il salmone affumicato in offerta, c’è una mia amica che fa catering che mi ha chiesto, se vedi il salmone in offerta avvertimi, allora le ho scritto un sms che c’era il salmone in offerta e gliel’ho mandato, solo che ho fatto bip bip bip mentre avrei dovuto fare bip bip clock bip. la mancanza del clock ha fatto sì che il messaggio sia stato inviato a un mio ex che non sento da sei anni, che adesso si starà chiedendo per quale motivo risbuco dalle nebbie del suo passato per dirgli che nel supermercato del quartiere-paese c’è il salmone affumicato in offerta. o forse no, che dopo aver passato due anni con me magari non si stupisce più di niente.
poi sono tornata a casa e mi sono lamentata con la poltrona verde che i 110 euro e gli altri accertamenti e le liste d’attesa di sei mesi e allora la sanità privata e però costa (non molto di più, ormai), e la poltrona verde ha detto, ti devi fare l’assicurazione sanitaria. e io le ho risposto, non siamo mica in ammerica.
se stessimo in ammerica la sanità costerebbe troppo e dovremmo essere o ricchi o assicurati o pronti alla morte, epperò avremmo disneyland e il coso del pollo fritto e i negozi del caffè col bicchiere col buco e i carrelli degli hot dog in mezzo alla strada e i telefilm bellissimi e l’informazione e la route 66 e i simpson e futurama e don’t think twice it’s alright e un partito democratico.
no. non siamo in ammerica.

venerdì 28 novembre 2008

fuori è un mondo fragile ma tutto qui cade incantevole

(roma)

oggi ho capito che la pecora è in realtà un drago. sarei passata a trovarla per metterla al corrente delle mie lucide intuizioni, ma ho avuto paura di oltrepassare la barriera nel vicolo troppo presto. ci si ritrova così a mondo malgrado, nell’intuizione di un attimo.
mi piacciono i miei colori riflessi nello specchio di tre quarti, il bianco e il nero, sono un personaggio in b/n; la curva sotto gli zigomi a rientrare, sempre più accentuata, tutto il mio passato aggrappato a pochi millimetri dentro me stessa, mi viene più da pensare al passato che al futuro. dicono di quegli attimi in cui ti passa tutta la vita davanti, è strano, non si pensa a quello che avverrà, che potrebbe accadere, ma a quello che è già passato, restiamo sempre con la testa voltata all’indietro anche alla fine, è strano e normale, siamo quello che siamo già stati.
il mio amico telefona per avvertire che farà tardi. non è un problema, per me, io faccio tardi da sempre. in loop incantevole dei subsonica, con la forte sensazione di aver già visto quelle meteoriti cadere.
se oltrepasso la barriera torno finalmente nel mio mondo, dove gli oggetti parlano e i draghi hanno visi da pecora, perché sono saggi e antichi e rassegnati alla nostra inconsistenza.
non si direbbe, ma è una giornata buona, in cui tutto ha un suo senso. almeno per me.

sabato 22 novembre 2008

altrove

(roma)

stamattina ho messo la giacca dell’anno scorso, che così mi riconosco, e sono uscita. avevo un appuntamento molto importante, con una persona che non è mai esistita. ho scelto il maglione viola, che è uno dei miei preferiti, e mi sono addirittura truccata. mi sentivo strana, non sapevo cosa avrei provato incontrandolo per la prima volta, lui che ho già incontrato così tante volte. quando l’ho guardato mi sono emozionata. l’ho abbracciato. ho provato tantissime sensazioni. ma alla fine, quella dominante, è stata la stessa della seconda volta che l’ho incontrato. normalità. era normale che fosse lì con me, come se ci fosse sempre stato, come se dovesse sempre esserci. come se non fosse per niente importante che non ci sia stato mai.
abbiamo camminato in centro. gli ho raccontato di una cosa buffa che mi è successa ieri, cercavo manolo su gugl, e poi ho inserito il titolo di un suo racconto per vedere se lo trovavo, e quindi alla fine è apparso nome e cognome di manolo più titolo racconto, cioè, “manolo ti amo ancora”.
manolo, non ti amo più.
non amo più nessuno da talmente tanti anni.
e gli ho detto, sai, era come una scritta su un muro, ho pensato che avevo passato uno spray nero su uno degli immensi server bianchi di gugl, e in quella realtà lì sarebbe rimasta per sempre la scritta, manolo ti amo ancora. by (s.), avrei potuto aggiungere, magari. con qualche cuoricino.
poi gli ho chiesto scusa. gli ho detto, senti, è che c’è stato una specie di equivoco, tra me e me, e poi tra me e te, ma soprattutto tra te e me, anche se, a dire il vero, più tra te e te. gli ho detto, non ho mai trovato il modo di spiegartelo, in questi mesi, ma io di te non sono mai stata innamorata. e lui ha annuito. naturalmente lo sapeva.
non amo più nessuno da talmente tanti anni, ho ripetuto piano.
poi mi sono sentita un po’ in colpa, un po’ depressa, forse non avrei dovuto dirglielo, forse andava bene così. forse sarebbe stato tutto più bello, se io mi fossi davvero innamorata di lui. o se quantomeno fossi riuscita a spiegarmi subito, o se.
ma lui era così tranquillo e quasi rideva, e in effetti veniva da ridere anche a me, gli ho detto, è quello che ho pensato mesi fa, che un giorno sarei riuscita a spiegarmi e l’avremmo trovato molto divertente.
e ho camminato fendendo l’aria fredda, la sentivo nel naso, nella gola, mi piaceva, guardavo il cielo grigio sopra di me ed era così bello, non so da quando ho imparato ad amare il freddo e il grigio, ma forse da sempre, perché io vivo davvero solo in questi momenti qui, quando sento il freddo addosso e chiacchiero con chi non esiste e mi avvolge l’essere sola.

ho deciso di perdermi nel mondo
anche se sprofondo
applico alla vita
i puntini di sospensione
che nell'incosciente
non c'è negazione
(altrove - morgan)

mercoledì 19 novembre 2008

f u m e t t i

(roma)

ieri notte non ho dormito perché c’era troppo silenzio. sì, lo so, e quando c’è rumore perché c’è rumore, e quando c’è silenzio perché c’è silenzio. è che non si sentiva assolutamente niente, nessun cane abbaiava, gatto non è impazzito alle tre di notte iniziando a catapultarsi dal divano alla poltrona alle pareti (che è una cosa che irrita moltissimo la poltrona verde e il cuscino del divano, oltretutto; loro a quell’ora dormono), il solito tizio che parcheggia in ventisette manovre non è tornato a casa (forse non è riuscito ad uscire dall’altro parcheggio), la macchina con la cinghia che si sta rompendo non è passata, nessun ubriaco si è messo a urlare, insomma, niente. io vivo da sola, ma sono circondata da una famiglia allargata di rumori e consuetudini. io, se la macchina con la cinghia rotta non passa entro le quattro, mi preoccupo. tipo, si sarà rotta definitivamente? sulla statale? sul raccordo? si saranno sfondati i cilindri? e il tizio delle due che parcheggia in ventisette manovre, che fine ha fatto? questa gente senza volto, senza nome, senza sesso, senza età, io la conosco. mica possono sparirmi così.
e quindi ho riletto v for vendetta, perché alle tre di notte se hai joyce sul comodino, proprio non è il caso (soprattutto considerando il fatto che io nemmeno ho un comodino) (uso la mensola della finestra) (che però è stretta e ci stanno solo dei libri uno sull’altro e una sveglia che non uso e il posacenere e l’elastico per capelli che gatto si frega dopo pochi secondi) (gli piacciono gli elastici per capelli, non so perché).
insomma, si dice graphic novel, lo so, ma a me piace la parola fumetti. non la usano più perché la trovano poco dignitosa, poco seria, perché una storia potente come quella di watchmen, o quella di v for vendetta, risulterebbe sminuita, a definirla, fumetti. e invece, fumetti. fumetti fumetti fumetti. è bello, fumetti. al limite, se sono giap, manga, ma solo perché dopo quattro anni di giapponese qualche parola di questa lingua assurda ogni tanto la dovrò pur usare, cioè, non è che posso stare tutto il giorno inchiodata in mezzo a un incrocio in centro ad aspettare che si avvicini un giapponese a chiedermi dove sta piazza navona, così gli rispondo, cazzo, mi sono scordata come si dice piazza, ecco, così nemmeno gli rispondo.
comunque.
v for vendetta hanno fatto un film che tutto sommato non era poi male, ma chiaramente hanno tagliato qua, hanno sfrondato là; questi sono tempi che uno v for vendetta deve leggerlo. e tenerlo ben presente. e rileggerlo. anche se passa la macchina con la cinghia che si sta rompendo. watchmen, il prossimo anno esce il film. io non mi fido molto. allora, secondo me è meglio leggerlo prima, così si sta più tranquilli, ecco. chissà stanotte se passano, se parcheggiano, se abbaiano, se.
(ho controllato, si dice hiroba, piazza: 広場).

lunedì 17 novembre 2008

caospoli

(roma)

qualche giorno fa, io e un’entità occulta abbiamo giocato a una specie di mix fra il gioco dell’oca, gli scacchi, il monopoli, un labirinto e qualcos’altro, usando come tabellone il centro della città. funzionava che io dovevo cercare di raggiungere un punto al centro del tabellone, e lui, con la scusa che c’era un corteo di segnalini di un altro gioco, mi metteva davanti tutta una serie di ostacoli tipo posti di blocco, imprevisti e assurdità varie, per non farmici arrivare.
che qualcuno avesse cambiato il regolamento io l’avevo capito già dalle prime caselle, perché in tanti anni che faccio questo gioco, una simile quantità di omini imbottiti, pedoni con manganelli e pistole, macchinine corazzate e unità rumorose volanti non l’avevo vista mai. comunque, l’entità occulta aveva ideato una simpatica variante: io in centro ti ci faccio entrare, ma vediamo se poi riesci a uscire.
funzionava così, tu entravi da una parte e dopo dieci metri ti trovavi tutta questa serie di pedoni imbottiti che ti dicevano, di qua non puoi passare. però di là sì. allora passavi di là, e dopo dieci metri altri pedoni imbottiti, e poi altri e altri ancora. non è che non ci si potesse muovere, solo si doveva allungare il percorso di chilometri, fare il giro dei palazzi, svicolare dietro le macchinine corazzate, consolare i turisti in lacrime perché era la sedicesima volta che passavano in quel punto del labirinto e non riuscivano più a uscirne. se vi ricordate di quando j.k.jerome racconta la scena in cui harris cerca di guidare i turisti fuori dal labirinto, ecco, uguale, c’era pure la focaccina.
io mi aggiravo perplessa per questo centro di questa città sconosciuta, perché questo posto pieno di macchinine corazzate e omini imbottiti non sembrava più la mia città, ma la città di qualcun altro. e cercavo di tranquillizzarmi pensando che questa città non è mai stata di nessuno, appartiene solo a se stessa, che ne ha viste tante e sono passate tutte, e lei sta lì nella sua eternità bianca e indolente e ci guarda e se la ride. solo che lei, in quanto eterna, si può permettere di ridere, di considerare pochi anni nell’ordine di pochi secondi, giusto il tempo di una risata, appunto. io, insomma, no.
poi quando sono arrivata esattamente a dieci metri dal traguardo, sono incappata in un’altra serie di omini imbottiti, e uno mi ha detto che, no, di lì al traguardo non potevo arrivarci. ma magari potevo provare a circumnavigare il palazzo a destra, o due palazzi a sinistra, o tornare alla casella di partenza e ricominciare da capo. e quando io ho avanzato qualche perplessità sul nuovo regolamento, lui ha detto due cose che hanno rischiato di farmi squalificare. la prima, che lui stava eseguendo degli ordini; che è proprio una frase da bambino tipo che non è colpa mia, me l’ha detto lui di fare così. io non l’ho mai trovata una giustificazione, questa frase qui. cioè, stiamo giocando, uno può scegliere se fare il segnalino di se stesso o il segnalino di qualcun altro, se tirarsi i dadi da solo o lasciare che li tiri un altro per lui. io ho scelto di muovermi il segnalino da sola, che se faccio un errore, è tutto mio, non me l’ha detto nessuno di farlo. lui ha fatto una scelta diversa, e va bene. ma la scelta di entrambi non è un vanto né una giustificazione, secondo me, è una scelta e basta.
poi il problema c’è stato quando si è raddrizzato in tutti i suoi centonovanta centimetri per circa una novantina di chili fra se stesso, la sua pistola, il suo manganello e le sue imbottiture varie e ha detto, è lei che ha sbagliato zona. e io mi stavo allontanando, ma lì mi sono fermata, mi sono raddrizzata nei miei centosettantasette centimetri per cinquantanove chili e quattro, al netto di felpa, jeans, giacca e scarpe, e ho risposto una cosa che secondo me lui non ha sentito bene, altrimenti finivo in prigione direttamente e senza passare dal via.
io non ho sbagliato zona. posso aver sbagliato paese o epoca in cui nascere, al limite, ma dal momento che ormai ci sono nata, nessuno, senza nemmeno sapere dove sto andando, perché ci sto andando, che motivazioni ho nell’insistere ad andare avanti nonostante tutto, nessuno si può permettere di dire a me che io ho sbagliato zona. perché io, tirando i dadi di me stessa, il tabellone dall’alto lo vedo molto meglio di te che stai ad altezza segnalino. e quindi semmai hai sbagliato gioco tu.

domenica 16 novembre 2008

che sono un serpente con ali da diavolo e un cuore da re…

(bologna)

no, niente solo per dire che ieri sera/notte/non lo so sono un po' sfasata sempre qui davanti al computer ho scoperto che uno dei miei blog prefe è andato in pensione.
proprio così, ha detto Filter, vado in pensione. nel 2008. vabbé che hai un blog surreale, ma..
comunque, dicevo, non so perché, ma mentre prima mi sembrava frivolo linkarlo, ecco adesso no.

tutto qui.
e poi ho letto una bellissima intervista a David Fosters Wallace, fatta peraltro da Dave Eggers. Mica pippo e paperino. Basta, linko anche quella, che mi ha aperto tutti i chakra della creatività. (non so se se può, ma scusate, è veramente bella).

dì a gatto che si prepari, tante cose ho in programma di fare nuove e coraggiose e faticose e piene di orgoglio.
Basta fare solo le cose che mi riescono facili, vorrei fare cose che mi riescono bene.

Per inciso, che tutto si tiene, anche il buon BB mi sembra in grande spolvero ultimamente...

venerdì 14 novembre 2008

una stupida frase da dire davanti a un caffè

(roma)

ogni volta che i due mondi sono differenti; o, più che altro, ogni volta che ci faccio caso, perché sono differenti sempre.
riflettevo su questa idea fissa che hai, di sapere cosa le persone pensino davvero di te. riflettevo sul fatto che a me non me ne è mai fregato niente, di sapere cosa pensano di me.
ma cosa dicono, mi ha sempre incuriosita tantissimo. quello sì.
come ogni volta, io inconsistente e superficiale, tu concreta e sostanziale.

(che sono una strega drogata e truccata e piena di sé)
(canta gente delle tue parti)

lunedì 10 novembre 2008

dreamin' of a white xmas

(roma)

ho messo su gugl tutte le parole chiave relative ai miei sintomi, ed è venuto fuori che ho il cimurro. allora sono andata dal veterinario; cioè, io non ho un veterinario, gatto ha un veterinario. vabbè, adesso anch’io.
sono entrata e ho detto, cimurro. il veterinario ha detto che gatto è molto difficile che possa avere il cimurro, perché è un gatto. gli ho spiegato, non gatto, io. il veterinario ha detto che io non posso avere il cimurro perché sono io (devo aggiungerlo alla lista delle cose che non posso avere perché sono io). gli ho chiesto, ma non posso essere stata contagiata? il veterinario ha ribadito che gatto non può avermi attaccato il cimurro perché è un gatto. veramente pensavo più all’albero di natale nano. il veterinario ha chiarito, lievemente stridulo, che l’albero di natale nano non può avere il cimurro perché è un albero di natale nano.
allora sono tornata a casa a dare la bella notizia all’albero di natale nano. è nervosetto, in questi giorni, perché sente che si sta avvicinando il natale. l’albero di natale nano odia il natale. l’ho trovato imbronciato in un angolo, e gli ho chiesto che problemi abbia col natale. mi ha spiegato che il natale è una festa che ricorda la famiglia, e lui con la sua non va d’accordo; i suoi genitori non condividono le scelte che ha fatto. gli ho chiesto che cosa fanno i suoi genitori. mi ha risposto, le palme. ho detto, ah.
gli ho fatto presente che lui ormai ha una nuova famiglia; vive con me, gatto, il bastone della pioggia, la poltrona verde e tutto il resto del mobilio. lui mi ha guardato con un’espressione tipo, di famiglie in giro se ne sono viste di migliori, ma non ha detto niente, che trattandosi dell’albero di natale nano è un po’ un miracolo. allora ho cercato di convincerlo a cantare tutti insieme white christmas. mi ha chiesto che mi canto white christmas, se il mio dna viene da un posto dove a natale la neve al massimo la si vede in tivvù. è vero, l’anno scorso sono scesa giù dai miei, e il giorno di santo stefano stavo sul lungomare con un maglione leggero e una giacca, e ansimavo con la lingua di fuori come nemmeno un cane sotto il sole a ferragosto.
gli ho detto che ci si può sentire alberi di natale anche se si viene da posti pieni di palme. che poi in sintesi è un po’ la storia della nostra vita. si è convinto. il bastone della pioggia, ribattezzato per l’occasione bastone della neve, ci ha dato il ritmo, e abbiamo cantato white christmas abbracciati. la poltrona verde la facevo più intonata, eh.

sabato 8 novembre 2008

miopia unica via

(roma)

me, una delle cose che mi piacciono di più è fumare una sigaretta in balcone, la mattina, quando tutto è grigio e scende una pioggia gentile che luccica senza ferire e l’aria è fresca senza essere fredda e le macchine passano piano e qualcuno è affacciato in finestra e il quartiere-paese sembra un posto buono e familiare e amichevole.
me, una delle cose che mi piacciono di meno è quando sto in balcone avvoltolata in una tutona grigia di tre taglie più grande della mia, i capelli tirati su da un mollettone da 20 centesimi al discount, la faccia tipo sì, mi sono svegliata ma non so bene quando e perché, e passa il fratello del manovratore, uno degli uomini più secsi in circolazione, e mi vede conciata così.
me, una delle cose che mi piacciono di più è avere qualcosa in comune coi fratelli molto secsi dei miei amici. ha detto a b. che sono molto carina. anche lui è miope. menomale.

venerdì 7 novembre 2008

giovani, abbronzati e balbuzienti

(roma)

c’era questo bambino, alle elementari, stava nel banco accanto al mio. lo prendevano in giro tutti, e a me non era proprio chiarissimo il motivo, ma è anche vero che io mi muovevo in una sorta di realtà parallela, all’epoca (sì, anche adesso, lo so). me, non mi prendevano in giro mai; l’impressione, a pensarci ora, è che si tenessero a una certa rispettosa distanza. certarispettosamente ricambiata. da piccola, per dire, non avevo un amichetto invisibile, per il semplice fatto che ero convinta di essere io, invisibile. e che gli altri facessero finta di vedermi, ma che in realtà, no, non potevo proprio far parte della loro normalità (dite quello che vi pare, ma secondo me è più sano assumersi la responsabilità della propria invisibilità, piuttosto che scaricarla sul primo amichetto invisibile che passa). comunque un giorno a questo bambino faccio una battuta scema, una delle mie, di quelle che faccio pure alla cyclettattaccapanni, insomma, e lui mi guarda arrabbiato e mi fa, ecco, adesso anche tu mi prendi in giro perché balbetto! e io, sconcertata: balbetti? e lui, sconcertato: perché, non te n’eri accorta? no. sinceramente no, non me n’ero accorta.
una decina d’anni dopo, ho scoperto, dopo due anni di ginnasio e uno di liceo, che un mio compagno di classe era, come sancisce la nuova edizione del vocabolario della lingua pseudoitaliana uscito ieri, bello abbronzato. no, non mi ero accorta nemmeno di quello.
nessuna morale, eh. cioè, l’unica cosa che si capisce da questa storia è che sono diversamente percettiva (e anche diversamente intelligente, direbbe eddie), non c’è altro. però mi ha fatto ridere che a più di una persona questa storia del giovane bello e abbronzato abbia fatto venire in mente ricordi d’infanzia. ecco, se volessi cercare in questo, una morale, probabilmente smetterei subito di ridere. quindi me ne guarderò bene. come dice un certo bonzo corrotto, siamo qui per ridere e per morire, e finché si può, meglio la prima.

martedì 4 novembre 2008

ma allora esisto

(roma)

stanotte alle tre qualcuno ha iniziato a passare l’aspirapolvere nelle strade del quartiere-paese. che in effetti sono un po’ sporchine. io e gatto ci siamo affacciati per vedere che tipo di persona stesse passando che tipo di aspirapolvere per rimuovere che tipo di che, ma non abbiamo visto niente. però, davvero, io sentivo rumore di aspirapolvere per strada. credo che il quartiere-paese abbia cambiato tecnica: non cerca più di svegliarmi ma, nell’ottica del prevenire che è meglio di curare, cerca direttamente di non farmi addormentare. mi sono alzata e sono andata in soggiorno. il mobilio ha accolto il mio arrivo con sincero entusiasmo (ho avuto l’impressione che il cuscino del divano abbia borbottato qualcosa tipo, e basta, qui c’è gente che domani lavora, ma lo escluderei: in questa casa non lavora assolutamente nessuno).
la lampada, che in genere non partecipa mai alle nostre discussioni, mi ha guardato male e mi ha chiesto, ma non dovevi riprendere il corso per diventare vulcaniana? ho risposto, sì, perché? mi fa, perché in genere quando ti ritrovi in piena notte a parlare coi mobili del soggiorno vuol dire che stai toccando il massimo della distanza tra te e vulcano. a sapere in che direzione è vulcano, eh.
l’albero di natale ha aggiunto, sogghignando, oh, ma adesso ci dirà che lei sta bene. che sta attraversando un periodo di pace e serenità. lo fa sempre, quando si ritrova a vagare per casa di notte. il bastone della pioggia e la poltrona verde hanno iniziato a discutere se, come definizione per persona che sta bene, sia più appropriato persona che non sente i mobili parlare o persona che sente i mobili parlare ma non risponde. io credo sia, persona i cui mobili non parlano o se parlano quantomeno evitano di sfottere. e comunque io rispondo perché sono gentile.
comunque ieri mi è arrivata una lettera da milano che mi ha riempita di gioia. finalmente qualcuno mi ha risposto. mi sono commossa, no, dico davvero.
gentile signora (s.),
(...) in merito alla sua richiesta, siamo davvero spiacenti di doverle comunicare che, essendo i nostri organici al completo, non riteniamo di poter aderire alla sua proposta di collaborazione. conserviamo comunque il suo nominativo in archivio, per cui sarà nostra cura contattarla per un colloquio qualora se ne presentasse l’opportunità.
ancora ringraziandola, la preghiamo di gradire i nostri più cordiali saluti.

cioè, allora esisto. che iniziava a venirmi qualche dubbio.
vado a comprare una cornice per la lettera. vi prego di gradire i miei più cordiali saluti.

lunedì 3 novembre 2008

a volte mi chiedo

(roma)

come ci si senta, ad essere una di quelle persone che, presempio, quando camminano, non si distraggono guardando chissà che e non finisce sempre che vanno a stamparsi contro un palo, o una buca delle lettere, o qualsiasi cosa stia lì davanti.
ecco, come ci si senta ad essere quelle persone lì, come si chiamano, tipo, normali.
peraltro anche stavolta mi sono fatta malissimo.

venerdì 31 ottobre 2008

ni c’thia’en

(roma)

sto molto meglio. stamattina ho avuto solo un leggerissimo attacco di tosse: il mio polmone destro è stato recuperato allo svincolo roma-nord dell’autostrada; l’hanno bloccato mentre cercava di scavalcare la fila al casello, provocando le proteste dei cittadini ligi (che ligio faccia rima con grigio è solo una coincidenza, vero?), altrimenti a quest’ora era già a bologna. sto cercando in tutti i modi di trasferirmi nella tua città, pennuta. anche un pezzo per volta.
però mi annoio a stare male. io e il bastone della pioggia stiamo imparando a memoria interi archivi di blog, e l’albero di natale nano ci interroga. per fortuna c’è l’elefante viola che suggerisce. l’elefante viola era da un po’ che non passava da queste parti. c’è chi sostiene che il suo ritorno sia legato alle strane sostanze da cui sono composte le mie medicine per la bronchite. il che è chiaramente un’assurdità, l’elefante viola esiste di suo. sarebbe come dire che in realtà la poltrona verde e il cuscino del divano e la cyclettattaccapanni non parlano davvero, ma sono solo io che li sento. non scherziamo. li sentono anche il bastone della pioggia e l’albero di natale nano, voglio dire, e loro stanno molto meglio di me.
poi volevo chiedere se potete trovarmi un lavoro a bologna, per favore. anche a milano. cioè, volendo pure a roma, ma qui dovete essere bravi a trovare qualcuno a cui io non abbia già spedito un cv. e che non l’abbia già usato per scriverci dietro la lista della spesa.
dieci giorni fa giravo per bologna, cercando un angolo in centro in cui la temperatura fosse adatta a gente nata a roma e con tre quarti di sangue meridionale. a piazza maggiore, mentre me ne stavo beata a congelarmi su un gradino, arriva un tossico in pieno nirvana, che voleva chiacchierare. ma non siamo riusciti a chiacchierare bene perché lui a un certo punto ha detto che io dico cose senza senso. lui. a me.
il problema è che ha ragione lui. io dico cose senza senso. le scrivo anche. e le faccio pure, giusto per non farsi mancare niente. ma al livello che in una conversazione tra me e uno fattissimo, quello fattissimo sta lì a rinfacciarmi che manco di logica. che è fantastico. davvero.
devo riprendere il corso per diventare vulcaniani, sì.
(oggi è una giornata che una si nasconde dietro le parole per abitudine, ma se non fosse così sarebbe che va bene, cioè, è piena di cose che un po’ pesano ma non in modo insopportabile, e che non vanno benissimo ma nemmeno una tragedia, poi, insomma, piena di cose, in realtà una, dai. vabbè, più di una, ma oggi stiamo pensando a quella. ci scriveremo su un racconto, che è l’unico modo che abbiamo trovato per sopravvivere finora, io e l’elefante viola, e poi basta, va bene in quel modo che si sorride. e non si sorride per l’abitudine a nascondersi, ma perché si sorride. non so spiegarlo, ma va bene, davvero, va bene così).
sì, c’è roba strana in quelle medicine per la tosse.

le orecchie a punta non sono l’unica differenza fra un vulcaniano e un terrestre.
(dr. mccoy)

mercoledì 29 ottobre 2008

sad sick world

(roma)

ieri mi è arrivata una cartolina dalle mie difese immunitarie. stanno passando le vacanze a betelgeuse. dicono che si divertono tanto e che sperano io guarisca presto dall’otite. ho pensato, otite? quale otite? ho la bronchite, mica l’ot... in quel momento il mio orecchio sinistro è imploso.
stamattina sono stata svegliata da un gruppo di immigrati che urlavano per strada. il quartiere-paese è composto da molteplici realtà, apparentemente in contrasto fra loro, ma tutte accomunate dalla volontà di non lasciarmi dormire. però stavo sognando un comizio del compagno yoghi, il segretario locale del partito che usavo votare prima che si smaterializzasse (il partito; il compagno yoghi non riuscirebbe a smaterializzarlo nemmeno la tipa fuori di testa di x-men 3), quindi hanno fatto bene a svegliarmi. non riesco a decidere se la fine della sinistra in italia mi ricorda di più la scena di star trek in cui il teletrasporto si rompe e scotty dice a kirk che, dei due tecnici che stavano teletrasportando, ciò che ne è arrivato non è sopravvissuto a lungo, per fortuna; o la scena della mosca in cui la scimmia viene teletrasportata in versione double-face. soprattutto non capisco perché una morte così statica a me ricordi il teletrasporto.
comunque mi sono stancata di stare a casa malata e sono uscita (malata) (del resto è un triste mondo malato, perché non posso essere triste e malata anch’io? per una volta che mi adeguo, voglio dire). in centro c’era una manifestazione di sveglie che protestavano contro gli immigrati che rubano i posti di lavoro. e i borg, ho pensato, anche i borg. e gli ascensoristi. e il postino (che oltretutto suonando due volte ti sveglia sicuro).
sono andata a parlare con la signorina urp a proposito dei libri che servono alla pennuta per la tesi. all’inizio la signorina urp non li trovava, poi le ho raccontato della pennuta, di certi suoi tratti caratteriali, della storia della vecia. la vecia è stata l’ultima persona che ha fatto seriamente incazzare la pennuta. pare che la settimana scorsa abbiano ritrovato un pezzo di costola. l’hanno messo nella scatoletta insieme al frammento di rotula e a quei due centimetri di cartilagine. a quel punto la signorina urp mi ha dato il triplo dei libri che ci servivano e ha detto di salutarle tanto la pennuta. e che qualsiasi cosa le serva, basta chiedere. possibilmente, tramite interposta persona. le ho detto che le manderemo dei confetti rossi. l’ho lasciata che stava cercando su internet il più vicino centro anti-veleni.
mentre tornavo a casa mi sono distratta e per errore sono passata davanti alla mia banca. è scattato l’allarme e si sono catapultati fuori un branco di feroci manager che si sono schierati davanti al bancomat in tenuta anti-prelievo. sono fuggita.
ora sono un po’ stanca. ma poi passa.

domenica 26 ottobre 2008

androidi ben temperati

(roma)

stamattina hanno citofonato due secondi dopo che mi ero scaraventata giù dal letto (io non mi alzo dal letto, mi ci kamikazemizzo) (che non so che lingua sia). ho risposto e il citofono funzionava e quindi ho immediatamente pensato, borg. che non è un’imprecazione di quando ti citofonano la domenica mattina alle 10 (quella è borgo pio); è una presa di coscienza.
comunque il tipo mi fa, è una cosa privata, e io, guardi c’è l’apposita cassetta per la pubblicità, e lui, riguarda dio, e io, guardi c’è l’apposita cassetta per la pubblicità, e lui, perché sentiamo tutti l’esigenza di rispondere a domande come, se esiste dio e perché ci sono le guerre, e io, guardi c’è l’apposita cassetta per la pubblicità, e lui, la resistenza è inutile, sarete assimilati.
a quel punto è successo che la comunità di microbi borg che ha preso possesso del mio apparato respiratorio si è sentita insultata e ha risposto, tu saresti cosa e vorresti assimilare chi, scusa?, e hanno iniziato a litigare al citofono, i borg dentro e i borg fuori, e io li ho lasciati lì a discutere e ho messo su la mia canzone.

io sono quel tipo insopportabile di persona che quando mi chiedono che musica ascolti rispondo un po’ di tutto. perché è vero. saltello da guccini alle sigle dei cartoni animati al clavicembalo che gli hanno appena fatto la punta a qualsiasi cosa. però, se poi mi chiedessero, sì, ma tu come ti senti, che musica ti senti, che è una domanda che non ti fanno mai, cercano sempre tutti di capire come stai, e nessuno che si faccia venire l’idea di chiederti, che musica ti senti, che allora tutto sarebbe chiaro senza stare lì a impazzire a cercare le parole che tanto quelle giuste non vengono mai per il semplice fatto che non esistono, allora io direi, io sono paranoid android. non il testo; la musica. io mi sento quella musica lì.
a volte mi copre tutta la settimana, che uno magari ha un martedì che corrisponde al punto a due minuti e 42, e un sabato a quattro minuti e 5. a volte dura un giorno, che ti svegli al primo minuto e 13 e a metà pomeriggio sei a cinque minuti e 40. a volte mi sento tutta la canzone in una sola ora, che poi è quando la mia amica w. mi chiede se voglio le goccine, scherzando (credo, scherzando. ma forse no. però no, non le voglio le goccine).
ecco, io mi sento così. ma so che marvin si sentiva peggio.

comunque credo che a quelli alla fine sia venuta la bronchite, mentre io risposte sull’esistenza di dio e delle guerre non ne ho trovate. a parte che continuo a venerare la grande divinità del bradipo, i cui seguaci la domenica mattina non rompono le gonadi a nessuno perché hanno cose più serie da fare. tipo dormire o rileggere la guida o ascoltare quel clavicembalo e chiedersi ma perché invece non mi sento così o semplicemente cercare di non pensare.

(e tu, buh.lagna:
a parte che chinaski lo abbiamo linkato un anno fa, comunque stai barando.
diventare grandi, ci ho pensato su parecchio dall’ultima volta che ne abbiamo parlato, e ho stabilito che è una cosa che non succede. è una leggenda metropolitana.
io col bastone della pioggia più che parlarci gli rispondo. cioè, in genere inizia lui.
appena smetto di sentire ovunque odore di sciroppo e propoli vado a recuperarti i libri.
non devi avere fiducia nell’umanità, pennuta. non esiste nemmeno l’umanità. è una leggenda metropolitana pure quella)

(che musica ti senti?)

anche io sono quasi sempre io, ma non sempre

(buh.lagna)

Sono di pessimo umore ultimamente. non riesco neanche a spiegare. poi però faccio finta di nulla e a volte rido e mi diverto, anche. forse diventare grandi vuol dire anche questo.

poi ho scoperto che paolo nori ha un blog
e non so perché, ma questo mi da fiducia nel genere umano.

ah, chinaski77, sappi che ti abbiamo inserito fra i link di questo pregevolissimo blog. anche se non ci dai per nulla fiducia nel genere umano.
e anche questa è fatta.

take care.

venerdì 24 ottobre 2008

dipende dalla velocità del vento

(roma)

c’è questo filosofo svedese che non mi ricordo come si chiama, che se anche me lo ricordassi non saprei scriverlo, che non sono per niente sicura che sia mai esistito davvero, e che comunque ormai come tutti i nomi svedesi ricorda poltrone strane cucine componibili e cosi per metterci le cose, che forse ha detto: quando l’ape disdegna il fiore, tu, fiore, vola via.

a parte che dipende dalla velocità del vento, come tutto.

il problema del fiore che vola via è, innanzitutto, che lui la frase se la ricordava con una farfalla, non con un’ape. quando il fiore è andato a controllare e ha trovato l’ape ci è rimasto male. perché ci aveva pensato la notte e aveva visualizzato questa farfalla e questo fiore e aveva riflettuto sul fatto che le farfalle assomigliano moltissimo ai fiori e i fiori moltissimo alle farfalle, e se un fiore vola via magari diventa una farfalla. tipo, che le farfalle sono fiori volanti. con l’ape tutto questo gioco non si può fare, che se un fiore assomiglia a un’ape vuol dire che il camioncino del fioraio ha avuto proprio un bruttissimo incidente.
comunque, superato il primo problema da ape, il secondo problema del fiore è che a volte, quando vola via, gli manca la farfalla/ape.
(ora il fiore, che è un fiore problematico, potrebbe riflettere sul fatto che se uno si ricorda una farfalla invece che un’ape è perché spesso non capisce niente delle persone, cioè, delle api, delle farfalle, di tutto quanto, ma il fiore non se la sente di mettersi a riflettere anche su questo, adesso)
(ha mal di testa)
(e comunque le api hanno il loro perché, soprattutto se il fiore ha la bronchite e sono tre giorni che va avanti a miele per farsi passare la tosse)
(sì, è un fiore che tende a divagare)
allora abbiamo questo fiore che, o sta fermo e guarda l’ape disdegnarlo, o vola via ponendosi serie domande sulla direzione e la velocità del vento, sulle api-farfalla, su come tutto sommato non è che stesse meglio, ma si sentisse più a suo agio, più nella sua natura, a non volare via.
però, il filosofo col nome da scarpiera in effetti non ha mica indicato la direzione al fiore, gli ha solo detto di volare. via, sì, ma via è un’indicazione vaga (come anche piazza o vicolo o).
quindi il fiore ora si sta chiedendo se sia possibile semplicemente volare, senza volare via.

martedì 21 ottobre 2008

cronache dalla città-vassoio

(roma)

il bastone della pioggia, l’albero di natale nano ed io abbiamo salutato la pecora e siamo scesi dal monte armadio. mentre ci allontanavamo, la pecora ci ha detto di riflettere sul fatto che, a volte, tendiamo a confondere i monti armadi coi fossati ripostigli. a noi sembra semplice: sui monti ci si arrampica, nei fossati si precipita. volontariamente o no, questo è un altro discorso.
comunque, invece di tornarcene a casa abbiamo deciso di fare il giro di tre regioni in un giorno, usufruendo di regionali, intercity, eurostar e praticamente qualsiasi mezzo su rotaia (se)movente (cioè, ipoteticamente in grado di muoversi; nel caso di certi treni, ipotetica dell’irrealtà).
è stato così che abbiamo scoperto che il tragitto fino alla città-vassoio è bello di una bella bellezza. abbiamo avuto modo di apprezzarlo veramente bene, aiutati dal regionale che, per non farci perdere nessuna sfumatura del paesaggio, in qualche punto che riteneva particolarmente significativo si fermava e ci lasciava lì quella ventina di minuti ad ammirare lo spettacolo fuori dal vagone. o anche dentro il vagone, che abbiamo condiviso con una squadra di tressette impegnata in un’accesa discussione sul liscio e busso, un allenatore che arringava la folla sul modulo 2-3-5, un indiano che ha passato tutto il tempo a chiedere al bastone della pioggia di scrivergli parole complicate in italiano sul cellulare, mami di via col vento e il matto dei regionali, che inspiegabilmente ha subito fatto amicizia con l’albero di natale nano.
nella città-vassoio è stato inciso un pregevole video e sono state scattate delle ottime fotografie della sottoscritta che si esibiva in una delle più spettacolari figure tapine della sua esistenza. l’iniziativa ha riscosso un tale successo che verrà replicata a dicembre a roma e in seguito a torino, sempre che nel frattempo io non emigri su betelgeuse. di tutto ciò che ho detto, e che il mio inconscio ha deciso prontamente di rimuovere per autodifesa, l’unica frase che ricordo è: perché pensiamo di doverci difendere da loro, mentre in realtà sono loro a doversi difendere da noi. loro chi? noi chi? perché? cosa? non lo sapremo mai.
il regionale che abbiamo preso in piena fuga dalla nostra inadeguatezza nei confronti dell’universo, è chiaramente arrivato in ritardo (legge di murphitalia: se un treno può arrivare tardi, lo farà), e l’intercity che doveva portarci a bologna ha ingaggiato una lotta spietata a chi arrivava dopo con un altro intercity; alla fine ha fatto il suo ingresso nella stazione nel bel mezzo del nulla in cui l’aspettavamo da assoluto trionfatore, tra gli applausi della folla entusiasta. un successo di pubblico straordinario: come sempre solo posti in piedi.
a bologna siamo stati raccattati dal pulch e portati in un luogo amico dove la pennuta mi ha dato dell’uva, alla faccia della signora del post sotto. il giorno dopo, per coerenza nei confronti del mio essere del tutto cretina, ho imbucato delle lettere di presentazione con cv scordandomi di affrancarle. tipo, che sappiano da subito con chi hanno a che fare. sono un genio, lo so.
poi, dopo essermi fatta perdonare da bologna e averle dichiarato di nuovo eterno amore, ho fatto un biglietto per roma e non per milano, perché per una volta l’idea è cercare di stare bene finché si può.

venerdì 17 ottobre 2008

la volpe, l'isbn e l'uva

(roma, discount del quartiere-paese)

reparto frutta e verdura. una signora si lamenta. cioè, rompe. così, a vuoto. si gira, mi vede e decide di lamentarsi con me. ecco, io già sono naturalmente portata ad interagire col mio prossimo con felicità e spensieratezza, figuriamoci quando il mio prossimo è una signora che si lamenta della qualità della vita, dell’universo, di tutto quanto e, nello specifico del tutto quanto, dell’uva. che lei si sta scegliendo acino per acino, e che quindi alla fine lascerà devastata e inavvicinabile per chiunque altro.
sul sito di isbn edizioni, nel manifesto, massimo coppola scrive, è stanlio chi e solo chi si batte per affermare il seguente principio: se ho una fetta di torta e due affamati, uno taglia e l'altro sceglie quale fetta mangiare.
coppola è quello che per anni ogni notte a mezzanotte mi ha ripetuto che un altro mondo era possibile, che io comunque siccome lo amo di quell’amore puro incontaminato e spensieratamente menefreghista con cui si amano solo le persone che non esistono, quasi ci credevo.
e però, per quanto più giovane, io sono assai più disillusa cinica e pessimista. esisterà pure la possibilità di un altro mondo in cui la signora non si frega tutta l’uva buona e non rompe. in questo, il massimo che si possa ottenere è che o rompe ma non devasta l’uva, o devasta l’uva ma non rompe.
e invece puntualmente rompe e devasta l’uva.

(stamattina mi sono svegliata incazzata e ho scritto un lunghissimo post su gomorra bolzaneto la guerra il razzismo gli italiani brava gente il papa certi governi e chi li vota; non l'ho pubblicato per due motivi. il primo è che era pieno di scemenze; il secondo è che cazzo ne parliamo a fare, finché la gente fa così con l'uva. che sembra che non c'entri niente, ma devi partire dall'uva, se non risolvi il problema dall'uva non risolvi niente)
(mi girano tantissimo che sono rimasta senza uva)
(sì, l'ho cazziata la signora, certo che sì)
(sì, mi ha detto vaffanculo)
(pazienza)
(un altro mondo è possibile)

mercoledì 15 ottobre 2008

sono riusciti a cambiarmi? ci sono riusciti? lo sai?

(roma)

poi sono andata a letto e mi sono tirata la coperta sopra il mento e ho pensato a un tuo vecchio post, in cui mi immaginavi sul tuo divano che urlavo, “non mi avrete mai”.
come volete voi.

si fumava insieme. mi spiegava perché non vuole più partire, mi diceva, non sono più così ambiziosa, non sono più così interessata, non sono più così decisa.
io la ascoltavo e pensavo, ecco. non sono più.
non sono più così arrabbiata, non sono più così triste, non sono più così sicura, non sono più così felice, non sono più così, non sono più, non sono.
non.

non è nemmeno una riflessione sulla vita l’universo e tutto quanto, questa. mi stavo solo chiedendo se abbia senso provare a scrivere ancora o se forse dovrei lasciar perdere, che tanto non ci riesco più. io mi rileggo e non c’è niente.
ed è ovvio che sia così.

lunedì 13 ottobre 2008

trompe-l'oeil

(roma)

ogni volta alzi lo sguardo. è il tuo modo di salutarla. anche se non sei sicura che esista davvero. ci pensi spesso, che in realtà sia solo dipinta sul vetro. è immutabile. sono passati quattro anni, da quando fai questa strada. in quattro anni non ha mai cambiato posizione, acconciatura, aspetto. in quattro anni non ha mai cambiato espressione.
non ti ricordi quando l’hai vista per la prima volta. a te piace guardare le case. a te piace guardare. di giorno le finestre ti oppongono solo schermate scure che danno sul vuoto. puoi ascoltare discorsi e cadenze che a volte sanno di passato, ma non ti è concesso vedere. di sera ci sono luci che ti ricordano il natale in qualsiasi stagione. la finestra illuminata di una cucina ti ha sempre dato un’idea di famiglia che non sai.
hai guardato le stagioni passare come nel piano-sequenza di un film romantico; hai mandato avanti veloce le foglie ingiallite e il nevischio e il fiato che si fa nuvola fredda e i primi germogli e i raggi che sanno di calore incerto e l’afa e l’asfalto stremato e il bagliore.
per quattro volte.
è sempre stata lì. dipinta sul vetro.
a volte, quando piove, ti siedi con le gambe incrociate davanti alla finestra della cucina. tieni la luce spenta. da te non è mai natale. ti chiedi se qualcuno, passando, possa alzare lo sguardo e pensarti dipinta sul niente. ma le persone guardano sempre davanti, camminano veloci, non si distraggono mai.
sei uscita di mattina presto, di pomeriggio, di sera. hai camminato sotto l’acqua senza ombrello e hai sbuffato sotto il sole. hai avuto fretta e non hai avuto meta. sei stata sola e hai sorriso a qualcuno al tuo fianco.
e ogni volta vi siete guardate.
ti piace pensare che conosca la tua vita meglio di chiunque altro. ti piace pensare che ricordi. che nella memoria le capiti di sfogliare i tuoi giorni. che sovrapponga le giacche e i tagli di capelli e gli amici e i sorrisi e l’incertezza dei passi.
è ferma come il muro su cui è dipinta. mentre tu passi come le foglie.

domenica 12 ottobre 2008

una notte sul monte armadio

(roma)

il bastone della pioggia, l’albero di natale nano ed io abbiamo preparato gli zaini e siamo andati in escursione sul monte armadio, per perlustrare le famose e accoglienti caverne (*) locali. voleva venire anche la poltrona verde, ma da quando ha perso i feltrini sotto le zampette non si sposta più di tanto, per evitare di disturbare gli inquilini del piano di sotto. sono bravissime persone, ma cerchiamo di non innervosirli; non ci convince molto che abbiano le inferriate fatte di ossa umane (e anche quello strano posacenere sul tavolo del terrazzo, bianco, cavo e con i denti, ci lascia un po’ perplessi).
comunque, dopo una scarpinata di ore, abbiamo trovato una grotta (*) che aveva l’aria di essere accogliente; del resto diluviava e avremmo trovato accogliente anche il forno della casetta di marzapane della strega di hansel e gretel. siamo entrati e dopo pochi metri abbiamo trovato lei. non la strega di hansel e gretel.
la pecora.
stavolta l’ho fregata sul tempo e le ho detto: beh?
ha sbadigliato. ogni tanto ho l’impressione che cerchi di innervosirmi.
le ho chiesto, che ci fai tu qua. mi ha risposto, che ci fai tu, qua. ho detto, perlustro. ha replicato, bah.
poi ha dispiegato le sue grandi ali nere e quando la sua ombra è scesa sul villaggio alle pendici del monte, tutta una serie di scheletri, no, niente, quello era un altro monte.
poi ha sbadigliato di nuovo e mi ha chiesto se c’è una qualche motivazione logica che mi porti a isolarmi in una caverna in cima a un monte ogni volta che non sto bene, a diffondere missive in cui avviso che parto per un’altra galassia e non so quando torno, a spegnere il cellulare e ignorare persino il citofono.
le ho fatto presente che il citofono si è rotto da solo, il che è una fortuna, visto che in genere viene usato soprattutto dai droni del parroco borg che ormai cercano di assimilare qualsiasi cosa che respiri, rantoli o dia l’idea di averlo fatto in un più o meno recente passato (li ho visti lasciare volantini al posacenere strano di quelli del piano di sotto, la settimana scorsa, ribadendogli, ogni resistenza è inutile. che poi lui in realtà non stava cercando di resistere affatto).
e poi le ho detto che i gatti vanno a morire negli armadi.
mi ha chiesto se io abitualmente miagolo o faccio le fusa.
le ho spiegato che, no, ma se è per questo non miagola nemmeno gatto; quanto alle fusa, dipende se ho la bronchite.
mi ha chiesto se io sono in grado di fare salti di un metro e mezzo solo per dare la caccia a qualche insetto.
le ho spiegato che sono allergica a qualsiasi tipo di insetto esistente, esistito o in via di esistenza, e che la reazione più calma e ponderata che ho quando ne vedo uno è fuggire urlando, barricarmi in un’altra stanza e bloccare la serratura con scatole di cortisone.
mi ha detto, appunto. le ho detto, appunto.
mi ha ribadito che secondo lei sono stupida. le ho ribadito che sono d’accordo.
poi abbiamo giocato a carte tutta la notte e ha vinto l’albero di natale nano perché, lo sanno tutti, bara.

(*) volevo dire che io l’ho cercata, sul dizionario, la differenza fra grotta e caverna, ma se c’era, non sono stati chiari, ecco.

giovedì 9 ottobre 2008

celeste

(roma)

hai aspettato qualche giorno raccontandoti di rispetto e star bene e.
hai aspettato qualche giorno perché non volevi andarci e basta, perché stai stabilendo il record di non vitalità, perché ti hanno appena detto che tu forse no, perché ti guardavi allo specchio e ti chiedevi, dove vuoi andare.
hai aspettato qualche giorno pensando che fare finta di niente fosse la soluzione migliore, finché hanno smesso di fare finta di niente dall’altra parte. allora sei andata davanti allo specchio, hai guardato, hai sospirato. hai preso tutti i trucchi che hai, e hai capito perché si chiamano trucchi. hai dato un colore alla pelle e uno sguardo agli occhi e un sorriso alle labbra. sei uscita.
sei entrata. vi conoscete da tantissimo tempo, a volte pensi, da troppo. vi leggete. lei legge la maschera con cui vai in giro. tu leggi il movimento millimetrico delle sue sopracciglia. è un leggere rassicurante, ti dice che comunque sia andata, comunque vada, tutto ha avuto un senso.
lui è molto piccolo e buffo e stavolta non ti sei commossa.
sei andata via. davanti a te c’era l’ombra lunga del tardo pomeriggio, era fortissima e nera, eravate saldamente attaccate. hai ceduto solo per qualche secondo, il tempo di ricordarti che hai deciso di non farlo più. hai pensato a quanto ti piace camminare, a come è bella la luce a quell’ora e com’è bella l’ombra, hai guardato alla tua sinistra il palazzo in cui hai vissuto una giornata particolare, hai sorriso andando oltre il disegno a matita.

mercoledì 8 ottobre 2008

the day after

(roma)

ho passato buona parte della nottata a combattere contro la sindrome da decollo che ha colpito la mia camera da letto. appena mi sono schiantata sulle lenzuola, il letto ha iniziato a girare vorticosamente su se stesso; sono riuscita a fermarlo, ottenendo però che iniziassero a girare vorticosamente, in senso contrario, le pareti. ora ho un leggerissimo mal di testa e una certa nausea. però sono riuscita a far sì che il palazzo non decollasse roteando alle due di notte, e quindi sono fiera di me.
stamattina sono strisciata in cucina e la sedia mi ha guardato con compassione; pare che io non abbia un bell’aspetto. e questo è niente, dovrebbe vedere l’espressione che ha messo su il mio fegato. probabilmente nei prossimi giorni in effetti la vedrà, visto che sono ripiombata nel girone dantesco di quelli che hanno i medici coscienziosi.
comunque. in paris trance di dyer c’è questo dialogo qui.
- Oh, sì, io odio i bronci. La vita è troppo lunga per certe cose.
- Troppo corta, vorrai dire.
- No, troppo lunga.

ecco, è tutto quello che ho da dire su questa faccenda. almeno finché non esco e compro qualcosa per il mal di testa.

martedì 7 ottobre 2008

Musa di nessuno

(quando manca vuol dire che è bologna)

Come spesso, quasi sempre, mi sembra tutto sbagliato.
Solo che era un po' che mi sembrava di no.
Solo che si sta bene quando i problemi, gli ostacoli, le prese di coscienza dolorose sono seppellite sotto una soffice coltre di cose da fare, telefonate, scadenze.
Solo che spesso, sempre più spesso, si confonde la vita col lavoro, e viceversa.
Solo che io sarei un po' stanca.
Solo che non c'é testa, tempo, risorse mentali, fisiche e volontà per fare altro.
Solo che l'altro va fatto.
Solo che oltre al fatto che le cose vanno fatte perché si deve, ci sarebbe anche che le cose vanno fatte perché si vuole.
Ma questo non è mai stato il mio forte.

E poi volevo dire che sto leggendo.
E che ho anche sentito un pezzo degli Afterhours.
Forse ho ancora qualche speranza come essere umano.
O forse no.

domenica 28 settembre 2008

malinverno

di fabio lubrano
ed. zandegù



(malinverno è il sognatore delle notti bianche, che cammina nella schiuma dei giorni, solo come un mago baol)

(roma, vicolo malgrado)

pennuta.
come al solito qui tocca regalarsi libri a distanza, che la presenza per noi è qualcosa di sporadico e breve. per ora, almeno. sto facendo del mio meglio per avvicinarmi alle due torri; intanto, mi avvicino cambiando dimensione, e ti accompagno in libreria. ti regalo un romanzo nuovo.
me ne sto appollaiata da qualche parte sopra la cassa, ti guardo che lasci il grigio dell’autunno fuori dalla porta e punti dritta verso l’azzurro di questo inverno strano. la cassiera sorride e ti passa una busta leggera e pesante di malinconia. fa bene a sorriderti, perché riderai molto, leggendolo. se vuoi sapere com’è che la malinconia fa così ridere, è una questione di luce. non si direbbe, ma è dotata di un suo certo qual splendore.
quando l’ho letto, ho pensato che malinverno era il sognatore delle notti bianche che camminava nella schiuma dei giorni, solo come un mago baol. è la frase che ho messo accanto alla copertina, per chiunque non fossi tu, di passaggio da queste parti, con la voglia di comprarsi un libro. a te dico solo che malinverno è malinverno. leggi, o donna. che magari la prossima volta in libreria ci andiamo insieme davvero.

giovedì 25 settembre 2008

la miglior difesa è la fuga

(roma)

il bastone della pioggia mi ha rimproverato il fatto di non imparare mai dai miei errori. non sono per niente d’accordo. io imparo tantissimo dai miei errori, infatti ogni volta li faccio meglio. dieci anni fa non me lo sognavo neanche, il potenziale autodistruttivo di cui posso andare fiera adesso. il bastone della pioggia sostiene che, no, non è esattamente questo che si intende, quando si parla di imparare dai propri errori.
va bene, ma allora spiegatevi meglio, eh.
comunque ieri sera all’improvviso ho realizzato che sono a roma. considerato che sono tornata sabato, non si può dire che io abbia dato sfoggio di una spettacolare prontezza di riflessi. come sempre, del resto. cosa io abbia fatto da sabato a ieri, non mi è molto chiaro. so che ho avuto una torta di compleanno con una settimana di ritardo, che ho spento una candelina, che al momento di esprimere il desiderio ho considerato il fatto che i miei desideri non si avverano mai, ma che c’è sempre l’eccezione (cioè, per me ancora non c’è stata, ma non si sa mai); allora ho scelto un desiderio di grado intermedio, che se si avvera sono contenta ma da cui non dovrebbe dipendere la mia sopravvivenza. so che non ho ancora fatto la spesa. so che mi è stato dato del lavoro da fare. so che non ho più voglia di fare niente. so che me ne voglio andare.
sull’arte della fuga, grandi pensatori si sono espressi con parole alte e nobili, sulla vita che va affrontata a testa alta e non svicolando laterali, che per quanto tu possa scappare non puoi fuggire da te stesso, che.
non saprei. io sto iniziando a prendere un certo margine su me stessa, e secondo me alla prossima curva riesco a perdermi di vista del tutto. poi magari fra un paio d’anni mi mando una cartolina da una qualche località esotica, o forse invece è quello che sto facendo adesso. mi sto mandando una cartolina in cui saluto quella che ero, da cui me ne sono andata fin troppi anni fa. e un po’ mi manco.

lunedì 22 settembre 2008

eclissi

(roma, autunno, luna)

eclissi di sole. l’unica ombra che stia sulla terra, e che non sia attaccata a nulla che abbia a che fare con la terra.

ti svegli. apri gli occhi. è buio. cerchi di leggere l’ora. ti sembra la solita, quella in cui in genere ti svegli, quando c’è già il sole. stavolta no.
ti alzi. non capisci il buio.
pensi che in realtà stai ancora dormendo, e quindi hai letto l’ora sbagliata.
pensi che in realtà stai ancora dormendo, e quindi stai solo sognando di esserti svegliata.
pensi che è tutta colpa tua.
l’eclissi di sole è l’ombra della luna. cade sulla terra, ma non è attaccata a nulla che abbia a che fare col pianeta, con l’atmosfera, con niente. l’eclissi è totalmente, perfettamente libera. è staccata da tutto. può salvare tutte le ombre, coprirle, proteggerle, curarle. le abbraccia e le racchiude, e loro si staccano da tutto ciò che fa male, che non le lascia vivere. che non trattiene più la luce.
pensi che è colpa tua perché hai mentito alla tua ombra, anche se non sapevi che le stavi mentendo. le hai detto che avevi ancora dei sogni. non è vero. non ne hai più nessuno.

ti senti un’ombra. ti senti l’unica persona che stia sulla terra, e che non sia attaccata più a nulla che abbia a che fare con la terra.

e quindi, torni a dormire.

domenica 21 settembre 2008

milano, i momenti più belli

(roma. non sono io, è che mi disegnano così)

io che, zaino in spalla, tento di uscire dalla porta di casa, che però è più stretta dello zaino; mi incastro, spingo al massimo per liberarmi, ci riesco ma vengo catapultata contro la ringhiera del ballatoio (quarto piano); a due centimetri dalla ringhiera e dalla morte per spiaccicamento al suolo la cinghia dello zaino si attorciglia intorno alla maniglia della porta e mi ribalta indietro di botto, facendomi spalmare di schiena contro il muro. i cinque minuti successivi li ho passati cercando di arrivare alla cinghia per liberarla senza riuscirci, esibendomi in una pregevole imitazione di una tartaruga cappottata sul guscio.
(al ritorno a roma mi è successa una cosa simile quando la cinghia si è incastrata in un tornello della metro, scaraventandomi addosso a una turista tedesca che per fortuna l’ha presa molto a ridere).

il matto della consapevolezza che sale sul tram, si guarda intorno, inspiegabilmente nota subito me e inizia a riversarmi addosso una serie di apprezzamenti di cui il più gentile, in italiano, è stato “maledetta puttana”, e in anglomilanese, “bladicànt”, tra la mia rassegnazione e le facce di circostanza un po’ imbarazzate un po’ sghignazzanti degli altri passeggeri.

l’uomo che, subito dopo avermi tirato una mazzata sui denti, mi guarda serissimo e mi dice: dovresti darti alla chick lit, tipo bridget jones (che in effetti come scena è molto da bridget jones, lo devo ammettere. forse voleva suggerirmi un incipit).

il perfetto autocontrollo che ho dimostrato quando, dopo alcuni giorni caratterizzati da una serie di sfighe accessorie, ho anche scoperto che non potevo ripartire, e con indiscutibile freddezza e esemplare dominio vulcaniano delle emozioni, ho iniziato a urlare in mezzo alla strada contro uno sconosciuto che non c’entrava niente, ma che aveva commesso l’errore di rivolgermi la parola proprio in quel momento.

il momento in cui, camminando davanti alla scala, sette anni e mezzo di milano si sono scontrati dentro di me all’improvviso, come uno spettacolare incidente fra tir in autostrada, scatenando un incendio grigio e blu, da cui sono scintillate fuori panchine nei parchi vecchie di sette anni e di pochi minuti, frasi dette e scritte e taciute, buffi fagiani e dondoli, file al supermercato per regalarsi la cioccolata, prati e fontane e musica, ombre sempre più sbiadite e trattenute a tutti i costi, notti passate sui divani, pioggia e freddo e cielo bianco e sole, viaggi mai fatti verso punti d’incontro inesistenti e neve che non può cadere, tutto quello che è stato vissuto e tutto quello che non sarà vissuto mai; e alla fine l’incendio si è spento consumando tutto e, nel momento peggiore e più bello, milano e io abbiamo fatto pace. era ora, eh.

sabato 20 settembre 2008

rimorso per quel che m'hai dato

(roma)

mi è stato riferito da persona di fiducia che bologna ce l’ha con me. bologna non nel senso, l’altra metà del blog, ma proprio bologna la città, bologna arrogante e papale, bologna la rossa e fetale,
bologna la grassa e l' umana etc etc. quella bologna lì.
lo so benissimo perché bologna è offesa. allora adesso le spiego una cosa. anzi, gliela rispiego, che già l’avevo scritta.
bologna per me è pace.
per me, pace, è una parola rarissima. io sono in guerra da quando sono nata; per non farmi mancare niente sono nata prematura così ho dovuto iniziare a combattere dall’incubatrice. e non ho più smesso. ho combattuto con la mia famiglia, con la scuola, con il lavoro, ho combattuto tantissimo con l’amore e ho perso sempre, ho combattuto con intere città, quando non avevo nessun altro con cui combattere ed ero sola ho combattuto con me stessa.
l’unico posto al mondo dove io penso “pace”, è bologna. che è anche l’unico posto al mondo dove le persone che mi hanno voluto bene, mi hanno solo voluto bene, e non hanno sentito l’irrefrenabile necessità di farmi del male, visto che mi volevano così bene. a bologna non sono mai stata ferita, a bologna non ho mai perso nessuno, in tutta bologna non c’è un angolo, una piazza, un vicolo che mi faccia piangere. ogni volta che vado a bologna accumulo solo altro bene. martedì sera ho guardato una certa strada, un ricordo della mia visita precedente a bologna, e sono stata incredibilmente felice.
quando io sto male non scrivo di bologna.
quando io sto male vado a bologna.
così poi sto bene. e riparto, e rovino tutto, ma questa è un’altra storia.
quindi, la persona di fiducia dicesse a bologna di farsela passare. che io la amo e lei lo sa, e quindi, dai, bologna.

giovedì 18 settembre 2008

cose che vedi a milano

(roma, on the road)

entri in galleria vittorio emanuele. vedi camminare una donna. è buffa. ha uno zaino blu sulle spalle che sembra pesare il doppio di lei. non sai da dove viene, chi ha appena visto, chi ha paura di non rivedere. la ferma un ragazzo africano, uno di quelli che vendono libri per strada. li osservi parlare. non puoi sentire cosa si stanno dicendo, sei lontana anni-luce, dalla parte sbagliata di un corridoio blu. capisci che lei non comprerà i suoi libri, ma che non sembra importare. li segui con lo sguardo mentre continuano a parlare. poi lei inizia a piangere. non sai perché. sei sempre troppo, troppo lontana, per poterlo capire. ma lei piange, e lui la abbraccia. e li guardi abbracciati in mezzo alla galleria. e poi lui cerca di farla ridere, e lei si asciuga gli occhi, gli sorride. si allontana, e sai che lui la sta ringraziando per qualcosa, e lei lo sta ringraziando per qualcosa. e poi lei va via.
credo che lui le abbia detto che non deve piangere più.

venerdì 12 settembre 2008

tre civette sul karmico comò (ovvero, di gente che prende la vita sul serio)

(roma)

sto qui che leggo delle trattative alitalia difficili, delle trattative alitalia in stallo, delle trattative alitalia che niente più trattative alitalia.
ci manca una cosa. ci manca il sentire (non il sapere, non il capire) che c’è dell’umanità varia, lì in mezzo.
ieri notte l’umanità varia ha suonato verso le undici e tre quarti. noi, dopo sei birre e non so davvero quanto whisky, si stava in queste posizioni: io che ridevo con le lacrime, aggrappata alla spalliera della sedia; b. che stava prendendo la mira per lanciarmi una bottiglia in fronte; l. che cercava di dare spago a b. ed evitare così un omicidio a casa sua. abbiamo riso tantissimo. poi hanno suonato alla porta, era l’umanità varia che è arrivato tardi perché a fiumicino cercavano di capire cosa gli sarebbe successo, anche semplicemente il giorno dopo. era l’umanità varia che diceva di quello che aveva pensato quando aveva visto gli aerei parcheggiati dove in genere invece devono muoversi. era l’umanità varia che parlava di otto anni di precariato in quel ruolo, della fatica fatta, dei sogni che c’erano; e che non parlava della spesa da fare tutte le settimane, dell’idea di avere un figlio per cui c’è già una stanza pronta, di cos’altro si può trovare in questo momento in cui non si trova niente.
poi siamo finiti a parlare della gente che butta gli gnocchi nel water e i preservativi sul tetto, e abbiamo ricominciato a ridere, perché funziona così.
però, quando lo leggi sul giornale, degli gnocchi dell’umanità varia non c’è traccia, e allora non senti. sai, capisci, ma non senti.

giovedì 11 settembre 2008

L'angolo del buonumore di sbab

Ieri riflettevo:
se una quindicina di anni fa mi avessero detto che vivere sarebbe stato così faticoso avrei preso più seriamente in considerazione i miei istinti suicidi.

specie di

(roma, altrove)

c’è una vignetta dei peanuts, in cui un personaggio è arrabbiatissimo con charlie brown, e sta cercando di dirgli la cosa più offensiva del mondo. sta lì che cerca le parole, “tu, specie di... specie di...”, e alla fine le trova: “specie di charlie brown!”.
e charlie brown, sconsolato: “che offesa”.
ecco, certa gente, per quanto ti ci impegni, l’unico modo di definirla è quello che è.
tu, specie di tu.

mercoledì 10 settembre 2008

in quale

(?)

multiverso sono, oggi, io?

lunedì 8 settembre 2008

giornatina sì

(roma, ma non sembra)

a me gli altri mi stan sui coglioni.
(paolo rossi)

lunedì 18 agosto 2008

solo, come si è soltanto nei sogni, dove ciò che fai non cambia il mondo.
(stefano benni)

giovedì 14 agosto 2008

nero in argento

(roma)

lo immagino come una specie di laboratorio di alchimisti. è pieno di ampolle e alambicchi e altri oggetti con nomi e forme strane. sta da qualche parte tra cuore e testa. prende alcuni sentimenti, il dolore, gli scatti di rabbia, la delusione delle aspettative sbagliate. li fa passare attraverso labirinti di cristallo. li pulisce, li lucida, li trasforma. toglie la patina di nero, toglie tutto quello che non serve. distilla. purifica.
è un processo complicato, brucia tantissima energia. logora gli strumenti, logora gli stessi alchimisti, se non funziona logora tutto, lo distrugge, lo fa esplodere.
se funziona, invece, crea l’argento. e si ricomincia da capo, ogni volta, sperando che funzioni sempre, che non vinca il nero.

sabato 9 agosto 2008

il kiribati!

(roma, kiribati)

il più bello tra quelli che hanno sfilato è senza dubbio il kiribati. il kiribati è il senso di tutto, è la risposta a tutto, secondo me in una qualche lingua galattica kiribati vuol dire 42.
ho scoperto ravanando su enciclopedie online che è un arcipelago, e se ne sta piazzato nell’oceano a farsi gli affari suoi. è difficile da raggiungere perché ci vanno solo due compagnie aeree locali, e a una delle due ogni tanto sequestrano l’aereo. che è l’unico della flotta, quindi è un problema. è una repubblica democratica, lo è sempre stata, da ancora prima che arrivassero gli occidentali a spiegargli cos’era una repubblica (e a invaderli, già che c’erano). il loro parlamento ha un nome bellissimo. vanno alle olimpiadi in tre, e se ne fregano dei discorsi sul medagliere. che a me tutti questi discorsi su quante medaglie vincerà chi mi innervosiscono, sempre a stare a guardare il guadagno, cosa ce ne viene, sempre a fare a gara. loro, no. non vinceranno niente e lo sanno. ci vanno per il motivo per cui ci si deve andare: perché a loro piace, quello che fanno. che è una cosa bellissima.
il kiribati è il senso del fare le cose anche se non te ne viene niente. il kiribati è il senso dell’amare qualcosa anche se non te ne viene niente. il kiribati è privo di anche se, in effetti. il kiribati ama quella cosa, quei tre sport, che non ho idea di quali siano? bene, il kiribati li ama, quindi li fa. tutto l’anno, in kiribati questi tre atleti giocano, che poi sarebbe carino se ogni tanto qualcuno si ricordasse che questo è lo sport, un gioco. poi arriva il momento che salgono su un qualche aereo, magari dissequestrato per l’occasione, e si fanno un viaggio lunghissimo, che a loro costa pure, solo per andare lì ed essere felici di quello sport che amano. non ottengono assolutamente niente, non vincono nessuna medaglia, ma stanno bene. vengono eliminati e se ne tornano a casa, sul loro aereo dissequestrato. e ricominciano a giocare.
e basta. senza pretendere, senza avvilirsi, senza.
chissà come fanno.
io dico a tutti che stai in kiribati.
e fossi in te ci andrei a nuoto, e lascerei perdere la flotta aerea locale.

it's time to say arrivederci

(bologna, ancora per poco)

stasera si parte.
non l'ho detto alla farnesina, ma qui sì.
noi si va in portogallo.
e si torna il 24.

ieri la mente-catta di Lamou ha boicottato la cerimonia di apertura delle olimpiadi, dormendo tutto il tempo dentro una sporta piena di giacconi invernali che giace lì in attesa di teletrasportarsi in tintoria (le liste d'attesa per il teletrasporto sono molto lunghe, da queste parti).

poi ha tentato di boicottare anche la nostra partenza, facendosi uscire delle inquietanti crosticine sulla pancia e le zampe. ma quest'anno non ce l'ha fatta.
il veterinario l'ha subito smascherata. figurati se non aveva anche gli sfoghi di pelle psicosomatici...

vabbé.
ci si vede.

nel caso diglielo tu a frattini dove siamo.
anzi no, fagli uno scherzo e digli che siamo a Saint Kitts e Nevis o in Dominica (almeno a questo le cerimonie di apertura delle olimpiadi servono. a parte che alcuni stati sono palesemente inventati, tipo santa lucia, ma chi l'ha mai sentita?!?)

venerdì 1 agosto 2008

on every street

(roma?)

quello che vuoi è la neve che cade ballando su un ponte; l’odore di ferro che ha la pioggia in qualsiasi città. quello che vedi sono fiocchi finti oltre una ringhiera e macchine stanche che sollevano onde.
quello che vuoi è un palazzo di cui non hai capito la forma e che immagini come un re di cui insegui la corte; quello che accetti è un angolo duro con una fermata del tram, il grigio del cemento e dell’acqua e della follia fuori campo.
quello che vuoi sono vento e fontane e note che riconosci da sempre; quello che hai è un luogo irreale in cui suonano musica blu.
quello che vuoi sono due ombre, e in ogni strada in cui cerchi non ne vedi nessuna.

lunedì 28 luglio 2008

don't panic

(roma)

gatto, il bastone della pioggia, l’albero di natale nano, la cyclettattaccapanni, la poltrona verde ed io (feat. il cuscino del divano) ci siamo riuniti e abbiamo analizzato la situazione.
la frase “potrebbe andare peggio” secondo noi ci porta sfiga: è noto che se una cosa può andare peggio, lo farà. “in fondo non va poi così male” ci provoca reazioni che variano, a seconda dell’umore del momento, da un attacco di risate a un attacco di gastrite. anche “su, su, andrà meglio” non ci convince del tutto, chissà perché, sarà quella faccenda del pessimismo comico. “la fortuna è cieca ma la sfiga ci vede benissimo” già la troviamo più adatta, ma è anche vero che non è che ci migliori il morale un granché. quella storia del “se c’è soluzione di che ti preoccupi se non c’è soluzione di che ti preoccupi” abbiamo provato per giorni a introiettarla, ma si deve essere incastrata e abbiamo dovuto estroiettarla per non soffocare.
alla fine abbiamo votato all’unanimità per “don’t panic”. certo, ci torna sempre in mente quella scena dell’aereo più pazzo del mondo in cui dopo un po’ compare la scritta “ok, panic”; ma a quel punto muoviamo la bacchetta magica scandendo “riddikulus”.
poi al limite si tira qualche sana normale bestemmia e ci si stappa una birra, eh.

venerdì 25 luglio 2008

menomale che ci sono le amiche

(roma, seratina allegra al quartiere-paese)

s. – e quindi spero che mi operino in day hospital...
c – day hospital? ma non se ne parla proprio!
b – infatti non credo proprio.
c – una mia amica ha fatto lo stesso intervento che devi fare tu e l’hanno ricoverata per una settimana!
s. – una sett....?
c – sì sì, una settimana. sarai ricoverata una settimana. minimo.
b – calcola che devono farti tutte le analisi...
c – l’anestesia totale...
b – le complicazioni...
c – poi a parte l’intervento l’anestesia in sé non è mica uno scherzo! si muore, eh!
s. – una sett....?
b – sai anche qual è il suo problema?
s. – suo di chi?
b – che vive da sola.
s. – mio?
c – ma certo! metti che si sente male prima dell’intervento, che poi con la lista d’attesa che c’è!
s. – dite a me?
b – è quello che dico io. sta da sola, e se si sente male?
s. – (sono diventata invisibile. evviva! un superpotere!)
b – come l’altra volta quando si è fatta male, è stata fortunata che c’ero io a roma, ma metti che quel sabato ero partita?
c – ma infatti! io ad esempio non c’ero, ero partita!
b – e metti che non riusciva a raggiungere il telefono e chiamarmi?
s. – non so, sarei passata alla storia come la prima persona al mondo uccisa da una microfrattura a un piede?
b – tesò, devi avere sempre il telefono a portata di mano.
s. – potrei appendermelo al collo come i campanacci delle mucche.
b – brava! ti compro una di quelle cordicelle che servono per tenere il cellulare attaccato al collo.
s. – non sei iscritta al club degli amanti del sarcasmo, vero?
c – poi naturalmente in ospedale ti accompagniamo noi.
s. – se volete direttamente noleggiare un carro da morto...
b – visto che sei da sola. se solo tu vivessi con un uomo, eh.
s. – certo, le solide basi di una convivenza. chi non si pone il problema di andare a vivere con un uomo perché un giorno potrebbe succedere che essendo in lista d’attesa per un intervento e sentendosi male e non avendo un cellulare appeso al collo ed essendo partite le sue amiche e...

giovedì 24 luglio 2008

cosmic nastrinos

(roma)

ieri sera ho tolto la sicura a una granata e l’ho tirata in una polveriera. poi me ne sono andata tranquilla ad aspettare il botto, previsto da lì a 12 ore (è una granata mia, quindi anche le sue azioni sono governate dal grande spirito del bradipo), partecipando a un torneo notturno di scala 40 insieme al bastone della pioggia, all’albero di natale nano e alla cyclettattaccapanni.
il bastone della pioggia e la cyclettaccapanni, che di recente hanno riletto cosmic bandidos, hanno iniziato una discussione su robert e le sue granate. sostengono che dovrei prendere esempio da lui, che esce indenne da ogni esplosione; mentre io ogni volta che tiro una granata praticamente me la faccio esplodere in faccia. l’albero di natale nano ha fatto presente che sia io sia robert otteniamo esattamente quello che vogliamo: lui ne vuole uscire indenne, io voglio proprio che mi esploda addosso. l’ho guardato malissimo, ho chiuso di mano e gli ho fatto pagare 200.
poi, all’alba, sono andata dalla pecora a porre la grande domanda. la pecora mi ha fissata e ha detto:
- non puoi tagliare un nastrino colorato che non esiste.
- veramente pensavo che la risposta fosse 42 – ho obbiettato.
- non puoi tagliare 42 nastrini colorati che non esistono.
- avrei un’altra domanda.
- sentiamo.
- sai che è stato detto, se c’è una soluzione, perché ti preoccupi? se non c’è una soluzione, perché ti preoccupi?
- beh?
- e se non sai se la soluzione c’è o non c’è?
- come al solito non hai capito niente.
come al solito è verissimo. mentre tornavo a casa mi è arrivato un dispaccio che diceva che la mia granata è scomparsa in un varco spazio-temporale. ma non c’è di che preoccuparsi: quale sia lo spazio, quale sia il tempo, quel varco punta dritto addosso a me.

sabato 19 luglio 2008

dell’utilità del tn25spruff

(roma)

vago per casa cercando di ricordarmi in quale cassetto ho chiuso il senso dell’umorismo, quando vedo una scatola muoversi saltellando in soggiorno. penso che sia il solito virus alieno che colpisce ogni oggetto che entra in questo appartamento (tempo poche ore e parlano e si muovono da soli) finché non mi accorgo che da un buco nel cartone spunta una coda. do un’occhiata del tipo “che diamine stai facendo?” all’inquilino della scatola, che mi risponde con un’occhiata del tipo “perché, non hai mai visto un gatto sistemarsi in una scatola e poi farla muovere saltellando per casa?”. no.
del mio senso dell’umorismo non c’è traccia nemmeno nel ripostiglio. credo che in parte dipenda dal fatto che, su due gambe che mi sono state fornite da madre natura, al momento una funziona male e l’altra peggio; e che qualsiasi richiesta di lavoro io faccia, spaziando da commessa in libreria a responsabile del settore comunicazione di un pianeta vicino a betelgeuse, non venga nemmeno respinta, ma semplicemente risucchiata in un buco nero che funziona come porta temporale che sbuca direttamente nella preistoria, quando la scrittura non era ancora stata inventata e quindi nessuno è in grado di leggere il mio curriculum.
mi pongo serie domande sui rischi connessi ai viaggi nel tempo. sono anni che mi chiedo chi sia l’idiota che abbia dato il via alla moda di inserire il termine “proattivo” negli annunci di lavoro e nelle relative risposte. mi guardo allo specchio e mi viene un orribile dubbio.
decido di usare il trova-sostituisci e cambio tutti i proattivo proattiva proattivamente, con quando tra qualche annetto vi verrà in mente di inventare i responsabili risorse umane (1), ricordatevi che il motivo per cui li avete progettati è solo e unicamente quello di testare il nuovo smaterializzatore cellulare di ultima generazione tn25spruff (2).

(1) ogni allusione a responsabili risorse umane che conosco è casuale; finché qualcuno non si deciderà ad assumermi i post di questo tenore saranno parecchi, e non è che ogni volta possa stare a pormi il problema che.
(2) niente, mi piaceva l’idea di mettere un’altra nota.

lunedì 14 luglio 2008

ai confini della galassia, e oltre

(bologna)

grazie, troppo buoni.
il viaggio spazio-temporale nel quadrante z mi ha rovesciato come un calzino.
se mi avessero picchiato ininterrottamente per tutto il week-end con un bastone nodoso credo starei sensibilmente meglio.
ma se lo avessero fatto con un punzone elettrificato credo che starei sensibilmente peggio.
quindi.
sono andata.
ho testimoniato di fronte a quello che era evidentemente un finto prete interpretato da un caratterista con ambizioni registiche, che prima ha cazziato un bambino che aveva portato un palloncino in chiesa e poi al momento della firma del libro mi fa:se mentre firmi ti alzi un po', guardi in camera e sorridi vedi che la foto viene meglio. segue mio sguardo allibito.
sono tornata.
Fra i più cari ricordi di questa bella trasferta-kamikaze conserverò: acqua-caffé-giornale-lenzuola di vero cotone offertici dalla gentile compagnie de wagon-lits all'andata, lo stupore di fronte ai miei capelli che si fanno arricciare in graziosi boccoli, tutte le mise delle ciancianti dame intervenute al lieto evento, il "mueve la colita sìsìsì" ballato con mio nipote, il trenino con il sosia di bernardo provenzano, la macchina delle bolle di sapone, e infine il ritardo di due ore dell'eurostar lamezia-roma che ci ha fatto perdere la coincidenza a roma, regalandoci altre 3 ore circa di viaggio da farsi comodamente in piedi davanti ai cessi di prima classe. che chiccheria.

Bilancio del week-end: 48 ore totali di cui 22 circa di viaggio, 3 di preparazione psico-fisica alla cerimonia, 1 di messa, 4 di cena, 4 di attesa degli sposi tra una fase e l'altra del tour nuziale casa dello sposo-casa della sposa-chiesa-ristorante fuori-ristorante dentro-ristorante fuori-fila per le bomboniere.

e per favore non mi chiedete neanche perché non siamo andati in aereo.

quasi dimenticavo: al momento del lancio del bouquet mi sono ben guardata dall'unirmi alla folla delle sgomitanti. solo che l'animatrice della serata ha chiamato ad una ad una tutte le donne single intervenute (forse esiste una lista pubblica, tipo quella dei cattivi pagatori, ho pensato). insomma alla fine mancavo solo io. mi ha chiamato di nuovo, un paio di volte. tutti si sono voltati verso di me. e io ho dovuto urlare (cerco sempre di adeguarmi ai costumi dei luoghi che visito): "no, no, grazie" e la zia di cla, sbigottita: "perché?" e io, bella come il sole: "e poi se lo prendo?!?"
lo so, lo so, sei fiera di me...

questa nave stellare si autodistruggerà fra

(roma, quadrante non mi ricordo della galassia)

mi è arrivata una mail dal mio organismo, in cui, con tono parecchio irritato, mi si ricorda che il processo di autodistruzione deve essere autorizzato da tre ufficiali superiori. quindi dovrei smetterla di fare cose cretine tipo prendermi la bronchite a luglio, avvelenarmi con roba molto carina e colorata comprata al discount e rompermi qualche osso nei momenti in cui mi annoio. mi è stato altresì ricordato che si disapprovano anche altri comportamenti del tutto contrari al regolamento della federazione stellare, quali fumare troppo, bere troppo, mangiare troppo poco e considerare lo sport una sorta di buffo e affascinante reality show che viene trasmesso in tv, ma che occasionalmente può anche essere seguito dal vivo, in cui gente strana compie movimenti strani che il grande spirito del bradipo che governa il mio sistema motorio non farebbe mai.
ho scritto una mail di risposta parecchio irritata anch’io, in cui chiedevo, di grazia, che mi venisse specificato quali dovrebbero essere gli altri due ufficiali superiori, e in cui proibivo categoricamente che si debordasse sul religioso, il filosofico e il metafisico. quindi ho avuto un’illuminazione mistica su star trek. mi è apparso chiaro che, così come i romulani sarebbero i cinesi, i klingon i sovietici e i vulcaniani i giapponesi (e quei cosi con le orecchie buffe di cui non ricordo il nome gli arabi), allo stesso modo i tre ufficiali superiori che sovrintendono all’autodistruzione rappresentano la logica, il pathos e
e?
mai che riesca ad avere un’illuminazione mistica completa, io.
il più grande operatore di telefonia liquida solida e gassosa dei multiversi mi ha di nuovo bloccato la posta in uscita, sostenendo che si tratti di spam. inizia a venirmi il dubbio che abbia ragione lui.
comunque, grazie agli studi che porto avanti ormai da sei anni, ho elaborato una teoria. i maya sostenevano che la fine del mondo sarebbe datata maggio 2012. io, conoscendo una certa personcina e gli effetti devastanti del suo compleanno sull’equilibrio di almeno un paio di multiversi, sposterei la data di un paio di mesi. ho quattro anni per farmi fuori da sola senza interventi esterni. si deve darmi atto che ce la sto mettendo tutta.
col consueto ritardo, congratulazioni per essere stata messa al mondo contro la tua volontà e per essere ulteriormente invecchiata, mia adorabile pennuta.

mercoledì 9 luglio 2008

ovina saggezza

(roma, angolo sperduto del quartiere-paese)

sono uscita e sono andata di nuovo dalla pecora. la pecora è una pecora. lo so che ho l’abitudine di dare soprannomi alle mie amiche, la pennuta, la rana, poi uno legge la pecora e pensa che sia chissà chi. è proprio una pecora. vive in un angolo che non conoscevo del quartiere-paese. me la sono trovata davanti un giorno mentre andavo in perlustrazione; poi, quando sono tornata a trovarla, mi ha dato dei buoni consigli. insomma, se murakami può parlare con un uomo-pecora in ben due romanzi, io potrò passare qualche minuto a parlare con una pecora-pecora. così non sto sempre a discutere col bastone della pioggia o con l’albero di natale nano.
oggi mi ha guardata e mi ha chiesto, beh? e io le ho spiegato tutto, nei limiti in cui riuscivo a spiegare, nei limiti in cui riuscivo a capire. e lei mi ha scrutata con quella sua faccia un po’ perplessa un po’ seccata, e mi ha rimproverata:
- cosa ti avevo detto, io?
- di stare all’ombra - rispondo.
- e poi?
- che gli esseri umani sono stupidi perché stanno al sole.
- e poi?
- di bloccare cuore e mente fino a domani.
- ed è domani, oggi?
- no, oggi è indiscutibilmente oggi, ma tu domani me l’avevi detto ier...
- e allora torna domani.
- ma ormai è oggi.
- non esiste l’ormai. potrei anche lanciarmi in una dotta disquisizione sul fatto che non esista nemmeno l’oggi, ma sei troppo stupida per capire.
che poi anche questo è verissimo.

lunedì 7 luglio 2008

mi cerchi, mi cerchi, alla fine mi trovi

(roma)

frase pennutesca che tradotta vuol dire: se ce la metti tutta per farmi incazzare, alla fine ci riesci. che, detto fra noi, non è per niente una buona idea.

mercoledì 2 luglio 2008

stazioni

(roma)

quelle piccole, dei paesi dove torni e il sole brucia. quelle piccolissime, dei quartieri-paese dove certe sere cerchi solo ombra e silenzio. quelle più grandi, di città dove vorresti andare a nasconderti adesso; dove vai a nasconderti quando stai così. quelle che non hai mai visto, di posti dove, viviamo qui per sempre, sì. quelle che ti piacciono, ma non si sa come, ti fai sempre male, lì, anche quando nemmeno ci sei.
quelle grandissime che conosci da una vita, che ci andavi a quattordici anni quando non sapevi dove andare; che hai continuato ad andarci anche dopo, e hai continuato anche a non sapere dove andare. quelle dove sei andata a prendere persone. quelle dove sei andata a restituirle. quelle dove, una volta però è successo davvero che il treno si è rotto, allora magari. quelle dove non atterrano gli ufi. quelle che di solito quando scendi le scale per prendere la metro vai in automatico e non ti perdi mai. quelle che invece stavolta ti sei persa. quelle che cerchi di concentrarti sugli altri che non ti sembra un buon momento per pensare a te. quelle piene di specchi in cui non ti vuoi guardare. quelle che hai paura dello spazio fra il treno e la banchina e se ti avvicini così tanto vuol dire proprio che. quelle che, sì, era lo stesso binario. quelle che il capotreno fischia e la porta si chiude e dietro però. quelle che in fondo di ritrovarti non avevi voglia. quelle che sei così felice e stai così male che stringi gli occhi e sorridi. quelle che poi indietreggi fino a una colonna e ti tiene su lei. quelle che quando scendi le scale c’è sempre la stessa canzone, quella in cui la fine non la scrivi mai tu.

venerdì 27 giugno 2008

tutto (quasi) normale

(roma)

verso le 5, dopo aver passato le ultime ore a immaginare scenari futuri tra il terrificante, il catastrofico e l’apocalittico, mi alzo e convoco una riunione con gli abitanti del soggiorno.
spiego all’uditorio (un po’ assonnato, soprattutto il cuscino del divano) che, a quanto pare, ho ricominciato a soffrire d’insonnia, e che dobbiamo delineare un piano d’azione per evitare che vada a finire come le altre volte, con me lì sveglia che parlo coi mobili. la lampada mi fa garbatamente presente che è proprio quello che sto facendo, stare lì sveglia a parlare coi mobili. le rispondo che, no, così va bene: sono del tutto cosciente e consapevole del mio parlare coi mobili e ho la situazione perfettamente sotto controllo. quello che intendo io è che si dovrebbero evitare certe scene, ammettiamolo, poco edificanti, accadute in passato, col mobilio che polemizzava con me mentre se ne andava a spasso su e giù per il soggiorno. la poltrona verde sbuffa e insiste che lei non c’entra niente, che sono mesi che me lo ripete: non si è mossa di un millimetro da dove stava, mi sono immaginata tutto io. la guardo malissimo e le rispondo, certo, certo; e adesso vorrai anche sostenere che non solo tu eri ferma, ma il bastone della pioggia non ha nemmeno parlato. la poltrona verde scuote un bracciolo mentre il bastone della pioggia tossisce con aria vaga.
mi accendo una sigaretta e faccio presente, con molta pazienza, che sto solo chiedendo un po’ di collaborazione; spiego che questo è un buon periodo, per me; sono tranquilla, contenta, non c’è nulla che mi spaventi, nulla che mi faccia male, sono felice così. l’albero di natale nano mi chiede, se va tutto così bene, che cazzo ci faccio in piedi alle 5 di mattina a parlare coi mobili. sto per dargli una risposta logica ed esaustiva, però decido che io, con gli alberi di natale nani, ci parlo solo tra dicembre e gennaio. quindi me ne torno a letto, ad aspettare l’alba abbracciata al cuscino.

mercoledì 25 giugno 2008

non riesco

(roma)

a scrivere assolutamente niente.
ci tenevo a scriverlo, ecco.

domenica 22 giugno 2008

ti stimo molto (volevo solo dormirle addosso)

(roma)

l’aspetto più complicato del cercare lavoro, per me, sono le lettere di presentazione/motivazione. quegli ameni esercizi di falsità in cui devi far passare il concetto che loro sono una grande azienda, tu sei una persona responsabile entusiasta e proattiva, e il motivo per cui vuoi lavorare per loro è che li ami (non, fare la spesa; non, pagare le bollette. no. li ami. perché loro sono una grande azienda e tu sei proattiva).
ecco, io mi aspetterei, dopo tutti gli sforzi che faccio, almeno una mail di incoraggiamento. qualcosa del tipo, guarda, il lavoro non te lo diamo neanche morti, però si vede che a scrivere quella robaccia ti ci sei proattivamente impegnata, brava.
comunque, adesso basta. si apre una nuova era delle lettere di presentazione. d’ora in poi le scriverò:
- solo ed esclusivamente in stato di esuberanza alcolica, con qualche variante (solo alcool, alcool e prodotti di erboristeria, da sola, in compagnia, facendo ubriacare un’amica e convincendola a dettarmi una lettera sulla mia adorabile personcina);
- cercando sul vocabolario aggettivi col metodo, apro qui qui e qui e punto il dito sulle pagine scelte dal fato (appena fatto: è venuto fuori che sono piccante, disagevole e asiatica; con questi requisiti non vedo come potrebbero non assumermi);
- parlando del più e del meno (sì, lavorare ho lavorato, delle qualità ce le avrei anche, ma ora voglio raccontarle di quella volta che ho investito il postino);
- puntando tutto sulla sincerità (la vostra azienda mi fa orrore e quanto a me sono una persona orribile; non trova che siamo fatte l’una per l’altra?).
non sto scherzando. da oggi faccio davvero così.
comunque, il mondo è una grande azienda. dal profondo della mia proattività, lo stimo moltissimo.

mercoledì 18 giugno 2008

a chi tradisce gli amici

(roma)

mellonta tauta

di aver sperato
non mi vergogno
né di sperare
chico
non credo
alle scritte enormi dei palchi
credo alla carne
da tatuare

alba.
amici comuni
recensiscon sconfitte

notte.
di nuovo il suono
di calci di fucile
che sfondano porte

rosa.
e poi siamo soli
lasciate il mondo
alla fine
alle ruspe
ai re della droga
ai pipistrelli
a chi tradisce
gli amici.

(stefano benni)

domenica 15 giugno 2008

dramma della gelosia - tutti i particolari in cronaca

(roma, spoiler)

non è il più famoso tra i film di ettore scola, né tantomeno il più apprezzato; qualche critico c’è anche andato giù un po’ duro. io lo amo. nelle sue imperfezioni e nel suo essere indefinibile; perché poi, cosa sia, se il film drammatico più divertente che abbia mai visto, o la commedia più struggente, non lo so. è un film. bello, di una bella bellezza. che poi lo spoiler è relativo, perché il finale è chiaro già dalla prima scena, quando il commissario porta giannini e mastroianni dove è morta la vitti per ricostruire com’è andata. e, a fare un piccolo sforzo di fantasia, si capisce già dal titolo.
comunque, c’è la vitti che ama sia mastroianni sia giannini, non riesce a decidere fra i due, sta un po’ con uno un po’ con l’altro. alla fine, mentre lei e giannini stanno andando a sposarsi, incontrano mastroianni. tra i due uomini scoppia una lite e mastroianni, per errore, colpisce a morte la vitti. queste sono le battute finali di lei che sta morendo. non si trovano da nessuna parte, in nessuna antologia di battute celebri di film, su nessun sito; e non riesco a spiegarmelo, perché è una di quelle cose che le senti e pensi, è tutto qui. non c’è altro da dire.

vitti (a giannini) : te perdóno.
giannini: non sono stato io, è stato lui.
vitti (a mastroianni) : te, te possino ammazzatte.
mastroianni: ma come? a lui te perdono, e a me, te possino ammazzatte?
vitti: a te, te amo de più.