lunedì 17 novembre 2008

caospoli

(roma)

qualche giorno fa, io e un’entità occulta abbiamo giocato a una specie di mix fra il gioco dell’oca, gli scacchi, il monopoli, un labirinto e qualcos’altro, usando come tabellone il centro della città. funzionava che io dovevo cercare di raggiungere un punto al centro del tabellone, e lui, con la scusa che c’era un corteo di segnalini di un altro gioco, mi metteva davanti tutta una serie di ostacoli tipo posti di blocco, imprevisti e assurdità varie, per non farmici arrivare.
che qualcuno avesse cambiato il regolamento io l’avevo capito già dalle prime caselle, perché in tanti anni che faccio questo gioco, una simile quantità di omini imbottiti, pedoni con manganelli e pistole, macchinine corazzate e unità rumorose volanti non l’avevo vista mai. comunque, l’entità occulta aveva ideato una simpatica variante: io in centro ti ci faccio entrare, ma vediamo se poi riesci a uscire.
funzionava così, tu entravi da una parte e dopo dieci metri ti trovavi tutta questa serie di pedoni imbottiti che ti dicevano, di qua non puoi passare. però di là sì. allora passavi di là, e dopo dieci metri altri pedoni imbottiti, e poi altri e altri ancora. non è che non ci si potesse muovere, solo si doveva allungare il percorso di chilometri, fare il giro dei palazzi, svicolare dietro le macchinine corazzate, consolare i turisti in lacrime perché era la sedicesima volta che passavano in quel punto del labirinto e non riuscivano più a uscirne. se vi ricordate di quando j.k.jerome racconta la scena in cui harris cerca di guidare i turisti fuori dal labirinto, ecco, uguale, c’era pure la focaccina.
io mi aggiravo perplessa per questo centro di questa città sconosciuta, perché questo posto pieno di macchinine corazzate e omini imbottiti non sembrava più la mia città, ma la città di qualcun altro. e cercavo di tranquillizzarmi pensando che questa città non è mai stata di nessuno, appartiene solo a se stessa, che ne ha viste tante e sono passate tutte, e lei sta lì nella sua eternità bianca e indolente e ci guarda e se la ride. solo che lei, in quanto eterna, si può permettere di ridere, di considerare pochi anni nell’ordine di pochi secondi, giusto il tempo di una risata, appunto. io, insomma, no.
poi quando sono arrivata esattamente a dieci metri dal traguardo, sono incappata in un’altra serie di omini imbottiti, e uno mi ha detto che, no, di lì al traguardo non potevo arrivarci. ma magari potevo provare a circumnavigare il palazzo a destra, o due palazzi a sinistra, o tornare alla casella di partenza e ricominciare da capo. e quando io ho avanzato qualche perplessità sul nuovo regolamento, lui ha detto due cose che hanno rischiato di farmi squalificare. la prima, che lui stava eseguendo degli ordini; che è proprio una frase da bambino tipo che non è colpa mia, me l’ha detto lui di fare così. io non l’ho mai trovata una giustificazione, questa frase qui. cioè, stiamo giocando, uno può scegliere se fare il segnalino di se stesso o il segnalino di qualcun altro, se tirarsi i dadi da solo o lasciare che li tiri un altro per lui. io ho scelto di muovermi il segnalino da sola, che se faccio un errore, è tutto mio, non me l’ha detto nessuno di farlo. lui ha fatto una scelta diversa, e va bene. ma la scelta di entrambi non è un vanto né una giustificazione, secondo me, è una scelta e basta.
poi il problema c’è stato quando si è raddrizzato in tutti i suoi centonovanta centimetri per circa una novantina di chili fra se stesso, la sua pistola, il suo manganello e le sue imbottiture varie e ha detto, è lei che ha sbagliato zona. e io mi stavo allontanando, ma lì mi sono fermata, mi sono raddrizzata nei miei centosettantasette centimetri per cinquantanove chili e quattro, al netto di felpa, jeans, giacca e scarpe, e ho risposto una cosa che secondo me lui non ha sentito bene, altrimenti finivo in prigione direttamente e senza passare dal via.
io non ho sbagliato zona. posso aver sbagliato paese o epoca in cui nascere, al limite, ma dal momento che ormai ci sono nata, nessuno, senza nemmeno sapere dove sto andando, perché ci sto andando, che motivazioni ho nell’insistere ad andare avanti nonostante tutto, nessuno si può permettere di dire a me che io ho sbagliato zona. perché io, tirando i dadi di me stessa, il tabellone dall’alto lo vedo molto meglio di te che stai ad altezza segnalino. e quindi semmai hai sbagliato gioco tu.

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