martedì 14 aprile 2009

ballata per piccoli sciacalli

(roma)

poi ogni tanto succede che qualcuno esagera e gli addetti ai lavori e non solo si interrogano sui limiti di.
leggevo un commento di un editorialista, che raccontava di quando ai suoi tempi i giovani cronisti venivano spediti a casa delle vittime, per rubare qualche foto. e qualcuno, leggendo quello stesso pezzo, avrà pensato, ma dai, mica può essere vero. verissimo, invece. le stesse cose mi furono raccontate, dieci anni fa, da un vecchio cronista.
c’è stato, per molti, chiaramente non per tutti, un episodio che ha fatto da spartiacque, a un certo punto della carriera. il suo fu proprio all’inizio. in realtà capita a tutti che succeda proprio all’inizio; lì si decide tutto quello che verrà.
a lui capitò di dover andare a casa della vittima di un incidente, per chiedere alla vedova una foto (o, in alternativa, rubarla). appena arrivato si rese conto che la donna non era ancora stata avvertita dell’incidente. non aveva idea di essere diventata vedova. succedeva spesso, all’epoca, che il giornalista arrivasse prima della notizia. succede ancora adesso, in qualche caso. comunque, lui non se l’è sentita. quando si rese conto che la donna non aveva idea di cosa fosse successo, si spacciò per un vecchio amico del marito, disse che era solo passato per un saluto, e se ne andò. sulle scale incrociò altri due cronisti, molto più scafati di lui. quando li avvertì che la donna ancora non sapeva niente, quelli risero e gli risposero, adesso ti facciamo vedere noi come si fa questo mestiere. suonano. la donna apre. loro le danno la notizia. lei non dice una parola; sviene. crolla per terra lì davanti. diceva, quel vecchio giornalista, che quella scena non se la sarebbe mai scordata, per il resto della sua vita. dei due cronisti che gli hanno fatto vedere come si fa questo mestiere, non ho mai saputo il nome, e non posso fare a meno di chiedermi se adesso se ne stiano alla scrivania a scrivere editoriali in cui tuonano contro certa informazione, contro certo sciacallaggio del dolore. possibile. probabile.
la socia, una delle donne di cui sono più fiera al mondo, circa un mese fa, interrogata su quali siano i limiti di, ha detto: dipende sempre e solo dal nostro bagaglio culturale. ed. è. verissimo. purtroppo. limiti e grandezza di questo mestiere; sta tutto lì.
c’è una strada dalle parti di monteverde che io, svariati anni fa, non ho percorso fino alla fine. donna morta. asfalto. guardo il corpo sotto il lenzuolo verde. mi chiamano dalla redazione per darmi l’indirizzo dei suoi. vai lì e vedi se c’è qualche familiare. vado lì. il portone è alla fine della strada, inizio a vedere il citofono, mi giro mentre cammino e torno indietro. non mi sono nemmeno fermata per poi girarmi, ho proprio girato su me stessa mentre camminavo. al giornale ho raccontato che ho suonato ma non c’era nessuno.
mi piacerebbe poter dire di essere nata senza peccato originale, di essere pura e incontaminata.
persone come la socia, col bagaglio culturale di un certo tipo, ci sono proprio nate. credo che la socia sia venuta al mondo con un intero set di trolley, tutti riempiti di roba fantastica. quello che le ho sempre invidiato è che lei sa sempre a priori cosa è giusto e cosa è sbagliato, e si muove in automatico verso il giusto. io no. io ho solo il mio vecchio zaino-borsone blu, che si incastra nelle porte troppo strette. io spesso me lo chiedo per ore, per giorni, cosa è giusto e cosa è sbagliato; e una volta che ho più o meno deciso, poi non è per niente detto che io vada nella direzione giusta.
quel citofono a cui non ho suonato non è stato il mio primo citofono; è stato l’ultimo. la strada che non ho percorso fino alla fine è stata l’ultima di un reticolo di strade che invece ho percorso; alla fine ognuna di quelle strade aveva dei citofoni, e io a quei citofoni ho suonato. non ho suonato a quello specifico citofono, perché gli altri me li ricordavo. tutti. soprattutto uno. la socia non l’avrebbe fatto. io l’ho fatto e poi non ho suonato più. c’è chi suona ancora. c’è chi suona e contemporaneamente stigmatizza altri che suonano. pare che in questi casi si dica, è la stampa, bellezza.

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