lunedì 29 ottobre 2007

leprechaun street

(roma)

“devo ricordarmi che non sono un autobus”
l’imperatrice galattica (bloccando il traffico sul muro torto)


per dire, in che mani è finito il destino della galassia. altro che i governanti terrestri: qualcuno di loro sarà stato convinto di essere napoleone; ma un autobus, mai.

l’altra sera, dopo aver apportato il nostro fondamentale contributo alla teoria del parcheggio a roma (parcheggio a spina col semaforo, parcheggio sul marciapiede in curva sulle strisce arrivandoci contromano, parcheggio in comunione mistica con un autobus - un autobus vero, non l’imperatrice galattica in una delle sue crisi d’identità), siamo andati a un concerto per lepricauni e guinness.
funziona così: alcuni lepricauni invisibili forniscono al cantante un numero di pinte di guinness che parte da dieci e tende all’infinito; le pinte di guinness si fondono col cantante, si appropriano del microfono e rievocano la verde irlanda, mentre gli spettatori fanno scommesse su quando il cantante rotolerà giù dal palco. va detto che il concerto a me è piaciuto, i musicisti erano bravi, non avevo idea che esistesse il banjo elettrico, e il cantante non è rotolato giù dal palco.

poi, con sua galatticità abbiamo avuto quei due-tre secondi di, iniziamo un discorso rischiosamente serio sui luoghi cui sentiamo di appartenere, più che sentire che appartengano a noi, su dove e come è casa e dove pensiamo di andare e cos’è il tornare e. ma per fortuna siamo state interrotte, quindi siamo rimaste in modalità cazzeggio standard, che comunque ci dona.
però, passiamo tanto tempo a chiederci se esiste la persona per noi, e dov’è il luogo per noi, e cos’è che dobbiamo fare per essere noi, e io ho il sospetto che esistano persone che sono geneticamente impostate per cercare sempre, e non trovare mai, e temo di essere una di loro.

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