venerdì 2 novembre 2007

la stazione tor di quinto resterà chiusa per lavori dal 5 novembre. ci scusiamo per gli eventuali disagi.

(roma)

la signora sbuffa, mentre l’inviato di qualche tg cerca nasi sotto cui piazzare il suo microfono. la signora sbuffa e a bassa voce elenca: il treno infrequentabile, le stazioni che sono una peggio dell’altra e quella di tor di quinto non era neanche la più pericolosa, le rapine ai parcheggi quando non ti fregano direttamente la macchina, due volte a me è successo, e la mattina alle otto sali e sono tutti già ubriachi e c’è un odore di fiato di alcool che fa schifo, e la sera chi si fida più a venire in stazione; e ora se ne accorgono e arrivano a fare visite e interviste, e domani se ne sono già scordati. la signora sbuffa e fa la sua tirata e sbuffano anche le altre signore accanto a lei, soprattutto quando il giornalista riesce a trovare un uomo disposto a dargli retta. gli schiaffa il microfono davanti alla bocca e chiede: com’è questo treno? e l’uomo ride amaro, ovviamente. mentre le signore sbuffano.

ho fatto un giro in centro per comprare un regalo a un’amica. sono entrata in stazione per prendere il treno che porta al quartiere paese. c’era un cartello che diceva, la stazione di tor di quinto resterà chiusa per lavori dal 5 novembre. ho pensato, meglio. io a quella stazione non sono scesa mai. che mi fa molta più paura della mia, il che è un bel record. un paio d’ore dopo in stazione è entrata una donna. avrà visto il cartello, si sarà posta il problema, perché lei lì ci abitava. ci avrà pensato una mezz’ora, non di più. poi è scesa dal treno. fine.

non sopporto chi si rivolge alla pancia della gente. si deve parlare alla testa delle persone, a volte al cuore, mai alla pancia. la pancia del quartiere paese, e di tutta la linea che segue il fiume e la ferrovia, dice, paura. ma lo dicono anche cuore e testa, e lo dicevano da prima. che qui non si è sorpreso proprio nessuno. abbiamo raggiunto un nostro equilibrio testa cuore pancia paura, e ci sopravviviamo. abbastanza spaventati da avere il problema di difendere la nostra vita, non abbastanza da smettere di viverla. ora in teoria dovrebbero saltarci gli equilibri, e il primo politico in pre-campagna elettorale che arriva e si rivolge alla pancia, dovrebbe trovare terreno fertile. e invece no. quello che ottiene sono fastidio e signore sbuffanti e uomini che ridono amaro. e questo è ovvio e chiaro, e lo capirebbe se vivesse qui. c’è tutto un insieme di contrasti che dal di fuori non sono comprensibili, ed è difficile spiegarli. e ci sono pensieri che fa male confessare anche a se stessi. la paura che c’è ed è dolorosamente giustificata, ma anche la fierezza per il quartiere paese che non se n’è uscito (almeno non in massa) con discorsi forcaioli; la solidarietà, anzi, la tenerezza per i vicini rumeni che non escono di casa da giorni e aspettano che passi anche questa, e per il commesso del negozio in piazza che ha perso parecchia della sua verve e che sta lì a controllare se lo si guarda male, ma anche il sollievo perché sono spariti pure gli “irregolari” e per qualche giorno, una settimana almeno, si terranno alla larga, e la speranza dura e inconfessabile che se ne vadano all’inferno per sempre; la rabbia per la morte di quella donna, così prevedibile e annunciata e chiara a tutti fuorché a chi davvero doveva porsi il problema, e la consapevolezza che non puoi far vivere gli esseri umani come se fossero rifiuti, e poi sdegnarti se non si comportano più da esseri umani ma da rifiuti; lo sguardo obliquo che lanciamo a chi vediamo rovistare nei cassonetti, caricando roba che noi abbiamo buttato, su biciclette che una volta erano nostre, ma ci sono state rubate; la comprensione e la pietà che si fermano dove comincia la nostra pelle. poi arriva uno che magari qui nemmeno c’era mai stato, e dice vergogna. che è esattamente quello che pensiamo noi, vergogna, ma in tutt’altro senso.

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