mercoledì 7 maggio 2008

原爆文学

(roma, hiroshima)

in sintesi, è successo che qualcuno ha scattato delle foto subito dopo che. poi chiaramente è morto, perché trovarsi a hiroshima quel giorno dava poche possibilità di sopravvivenza. un soldato americano entrato in città pochi giorni dopo, ha trovato la macchina fotografica, ha sviluppato le foto, se le è tenute per 50 anni, le ha donate a un’università, dopo 13 anni sono state rese pubbliche. anche in rete. in un commento, un giornalista dice una cosa verissima, eppure, per motivi che non capisco, in questo caso, per me, non vera.
dice che tutte le foto dei massacri sono “oscenamente simili”. questo è vero. negli anni ci siamo trovati davanti un numero sempre maggiore di foto di cadaveri, cataste di cadaveri, montagne di cadaveri. abbiamo iniziato con le foto dei lager, reperti della memoria, e poi il passato e il presente si sono avvicinati sempre di più, fino a coincidere, e le immagini di questi rilievi innaturali di cadaveri sono diventate testimonianze in tempo reale. le fosse comuni, le guerre, le stragi, in qualsiasi parte del mondo, in qualsiasi momento negli ultimi decenni, ormai purtroppo ci sono familiari. non che ci lascino indifferenti, tutt’altro; ma a volte mi chiedo, mostrare una sola di queste immagini a qualcuno vissuto anche solo un secolo fa, che effetto gli farebbe? e non è solo una questione di assuefazione. è che, davvero, le cataste di cadaveri, di qualsiasi epoca e luogo, si assomigliano, nella spersonalizzazione delle vittime, nel mucchio che diventa singolo, nei fagotti che una volta erano esseri umani, individui, distinti; separati fra loro da aria, terreno, spazio vitale, respiro, calore, e adesso ammonticchiati in quanto non più singole persone ma simbolo collettivo di, cosa? follia? malvagità? e così, che si guardino le montagne dei campi di concentramento, le valli delle fosse comuni, le colline di soldati e civili dal vietnam all’iraq, si sta guardando una diversa angolazione della stessa immagine, una ripresa fatta più in alto o in basso o a destra o con maggiore o minore esposizione, ma si sta guardando la stessa foto. in genere. oggi, per me, no.
cadaveri, cioè persone morte. cadavere è già un nome che indica qualcos’altro, qualcosa che è passato oltre e ormai è diverso e quindi va indicato in un altro modo, ma un cadavere è una persona che prima era viva e respirava e, per esempio, stava attraversando la strada di corsa perché si era scordata di comprare qualcosa per una cena, e quindi aveva i suoi impegni e i suoi pensieri e tutte quelle cose che passano nella testa di tutti, e poi è successo che una macchina non ha frenato in tempo. o che un aereo ha scaricato una bomba. e quindi tutta la vita e l’individualità di questa persona si è dissolta nella parola cadavere. solo che con un singolo, se vogliamo, tornare indietro, al prima, ci riesce facile, mentre con una montagna di singoli no. la montagna può diventare simbolo, ma non torna indietro, non ridiventa, la cena da preparare, la lite col coniuge, i soldi che non bastano, il piccolo regalo a poco prezzo che però è stato importante, il bottone da riattaccare, la vita quotidiana.
insomma, io oggi a guardare quelle foto mi sono sentita abbastanza male. tutto qui.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Forse la cosa che più colpisce è la subitaneità. Uno si rende conto di come la morte è arrivata inaspettata. Un secondo prima bestemmi al semaforo ed un secondo dopo sei un manichino di cera. Gli internati dei campi nazisti ce li immaginiamo segnati dal destino e dalla continua consapevolezza che lì si era stati portati per morire. E in un modo o nell'altro lo si sapeva. Per questo si riesce forse a porre una barriera, una distanza, tra noi ed i pupazzi di carne spostati dalle ruspe.
Qui no. Qui sei tu che pensi che non ce la fai a stendere tutti i bucati che fai o che stai andando di là ad aprirti uno yoghurt al limone e poi sei una foto grigia che mostra un manichino sciolto da film dell'orrore di serie Q. Il pensare che questo poteva succedere in ogni singolo istante della nostra vita, è il terrore che ci ha accompagnato, per tutti gli anni '80.
Ricordo un film americano di quelli belli, quando ancora li facevano, in cui Henry Fonda fa il presidente degli USA che deve sganciare una bomba su New York per pareggiare i conti con la bomba che gli USA hanno accidentalmente sganciato su Mosca e per evitare che scoppi la guerra nucleare. Alla fine lo fa. E il film mostra una miriade di foto di newyorkesi, persone normali, in ogni altro tipo di faccenda affaccendati, tristi, allegri, solitari, ingrugniti, vivi. Tutti in pochi secondi. E' questo secondo me. Sì. Il fatto che una di quelle foto potrebbe tranquillamente essere la tua.

Anonimo ha detto...

no, ma anche la tua, eh.
e de tu' nonno, eh.
tiè!
ti dico solo che da quando ho letto il tuo commento sto chiedendo a tutti gli uomini che conosco di compiere gesti apotropaici per me.
(pennuta, vedi di intercedere anche con colui che tutto puote, per favore).
tiè tiè tiè!

Anonimo ha detto...

Ah ah ah, vabbè, facciamo che fosse una seconda persona impersonale (bello eh? Domani mi invento la ferma velocità), allora, così non ti preoccupi ;-)

Anonimo ha detto...

E comunque
シモは悪いです